Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24896 del 20/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/10/2017, (ud. 23/05/2017, dep.20/10/2017),  n. 24896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2060-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10180/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/01/2011 R.G.N. 7251/2006.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 15/1/2011, in riforma della pronuncia del locale Tribunale, accoglieva la domanda proposta da F.I., diretta alla declaratoria di nullità, per genericità della causale, del contratto di lavoro a tempo determinato da lei stipulato con la società Poste Italiane, D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 il 1/7/02 e con scadenza al 30/9/02 (motivato da esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario…ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie… nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo”); dichiarava sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato dalla data di assunzione e condannava la società Poste Italiane al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni maturate dal momento della costituzione in mora sino alla data della pronuncia;

per la cassazione di tale sentenza interpone ricorso la società, affidato a sei motivi;

resiste la lavoratrice con controricorso successivamente illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con sei motivi la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, dell’art. 12 preleggi, degli artt. 1362 c.c. e segg. e art. 1325 c.c.e segg., anche con riferimento alla interpretazione dei citati accordi sindacali del 2001-2002 (primo motivo) ed omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia (secondo motivo); violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, dell’art. 12 preleggi, degli artt. 1362 c.c. e segg. e artt. 1325 c.c. e segg., con riferimento alla statuizione in tema di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie (terzo motivo); violazione ancora degli artt. 115 e 116,244,253 e 421 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c. (quarto motivo) ed omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia (quinto motivo); violazione infine della L. n. 183 del 2010, art. 32 (sesto motivo);

2. si duole che la corte territoriale escluse erroneamente la legittimità della clausola appositiva del termine, che risultava invece sufficientemente motivata dalle plurime e concorrenti ragioni ivi indicate, e che comunque la società aveva tempestivamente chiesto di provare senza che la Corte di merito, erroneamente, desse ingresso alle richieste istruttorie;

denuncia altresì omessa ed insufficiente motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio, circa l’effettiva sussistenza delle ragioni tecnico produttive quali evincibili dai menzionati accordi sindacali del 2001/2002, nonchè la mancata ammissione dei relativi capitoli di prova richiesti e l’omesso esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice di merito sul punto;

lamenta l’erroneità della sentenza in ordine alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie derivanti dalla presunta illegittimità dell’assunzione, invocando allo scopo lo ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

3. i primi cinque motivi che possono congiuntamente trattarsi stante la connessione che li connota, vanno disattesi;

come affermato da questa Corte in fattispecie che presenta analogie rispetto alla vicenda dedotta in lite (vedi in motivazione, Cass. 23/10/14 n. 22545) deve ritenersi che la decisione dei giudici del gravame sia conforme al principio ripetutamente affermato in questa sede di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 27/4/2010 n.10033) secondo cui l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo – che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto – impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato; tanto al fine di rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare mediante la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa;

spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto;

del resto, come pure è stato chiarito (cfr. Cass. 21-2008 n. 12985) il nuovo sistema, previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 “anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”;

legittimamente, quindi, nel caso di specie, la Corte di merito, ha affermato, sulla base di una motivazione esente da vizi logici, che la sussistenza in concreto della causale, con riferimento all’assunzione a termine de qua, non era stata sufficientemente allegata nè provata, dalla società datrice di lavoro, sulla quale incombeva il relativo onere probatorio giacchè il contratto non chiariva in che modo i processi allegati avrebbero inciso sulla struttura cui la lavoratrice era destinata (cfr., in particolare, Cass. 1 – 2 – 2010 n. 2279).

4. per quanto concerne la doglianza attinente alla mancata ammissione dei mezzi di prova (testimoniale) richiesti e il mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio al riguardo, essa deve ritenersi in parte inammissibile e in parte infondata; innanzitutto la Corte di merito, sul punto, ha ritenuto sostanzialmente generici e inadeguati i capitoli di prova richiesti, rispetto all’esigenza di provare che il processo di mobilità riguardasse la sede di lavoro interessata dall’assunzione; tale motivazione risulta senz’altro congrua e conforme al principio sopra ribadito;

la censura, poi, parimenti generica, relativa al mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, risulta inammissibile;

nel rito del lavoro, infatti, “ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce unòpotere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto; tuttavia, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito.” (cfr. Cass. 26-6-2006 n. 14731; Cass. 12-3- 2009 n. 6023); peraltro, come pure è stato precisato, i poteri istruttori officiosi “non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale.” (cfr. Cass. 21-5-2009 n. 11847; Cass. 15-3-2010 n. 6205; Cass. 20-7-2011 n. 15899);

5. quanto alla censura formulata con riferimento al servizio prestato in concomitanza di assenze per ferie, la stessa appare inammissibile, in quanto non calibrata sulla specifica statuizione con la quale la Corte ha rimarcato l’insussistenza della dimostrazione di un nesso causale rispetto alle esigenze dell’ufficio di Macerata, essendosi la ricorrente limitata ad argomentare in ordine alla mancanza di necessità della indicazione del nominativo del lavoratore sostituito;

6. è meritevole di accoglimento il sesto motivo concernente la violazione dello jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

questa Corte ha infatti avuto modo di affermare il principio secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (Cass. s.u. 27-10-2016, n. 21691);

pertanto, il ricorso va accolto entro i limiti descritti con la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello designata in dispositivo.

PQM

la Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017

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