Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24889 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 25/11/2011), n.24889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

OPERE PUBBLICHE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI 31,

presso lo studio dell’avvocato PULSONI FABIO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati, CORRERA

FABRIZIO, SGROI ANTONINO, CALIULO LUIGI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4770/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/09/2006 R.G.N. 9654/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato RAFFAELLA RAPONE per delega PULSONI FABIO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Opere pubbliche spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Roma pubblicata il 5 settembre 2006.

S.G., dipendente della società, licenziato il 7 marzo 1994, impugnò il licenziamento e fu reintegrato con sentenza del 17 luglio 1997, che condannò la società al pagamento di tutte le retribuzioni, nonchè al versamento dei contributi previdenziali dal licenziamento sino al giorno della sentenza.

Il giorno 11 dicembre 1997 le parti conciliarono la controversia concordando la somma di L. 212.500.000 milioni.

Lo S. agì in giudizio nei confronti della società e dell’INPS, assumendo che tale accordo, efficace per le retribuzioni, non poteva avere effetto di rinuncia ai contributi, materia indisponibile, e chiedendo che la spa fosse condannata a pagare, e l’INPS tenuta ricevere, detti contributi. Il Tribunale respinse il ricorso. La Corte d’appello in riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Opere pubbliche spa al versamento all’INPS, in favore di S.G., dei contributi previdenziali e assistenziali per il periodo dal 7 marzo 1994 al 17 luglio 1997, ritenendo che a seguito della sentenza di annullamento con efficacia ex tunc, in tale periodo il rapporto di lavoro era in atto e che con la conciliazione il lavoratore poteva rinunciare alle retribuzioni, ma non ai contributi, che costituiscono un diritto indisponibile.

La società Opere pubbliche ricorre per cassazione, articolando due motivi. Ha inoltre depositato una memoria. Lo S. non ha svolto attività difensiva.

L’INPS ha notificato e depositato controricorso.

Con il primo motivo la società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., degli artt. 1321, 1322, 1965 c.c., nonchè dell’art. 410 c.p.c. e dell’art. 2113 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La tesi è che la conciliazione abbia comportato una transazione novativa, stante l’espressa volontà delle parti di concludere un nuovo rapporto di lavoro, diretto a costituire, in sostituzione di quello precedente, nuove autonome situazioni giuridiche. Il ricorso è inammissibile in quanto si basa su di una diversa interpretazione della conciliazione stipulata tra le parti senza specificare quali dei canoni ermeneutici legali, che vengono tutti richiamati con una indistinta denunzia di violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., sarebbero stati violati e perchè sarebbero stati violati. Parimenti generica è la denunzia di vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto. La motivazione non può dirsi omessa. Non si spiega perchè sarebbe insufficiente e in cosa sarebbe contraddittoria.

In realtà, dietro lo schermo di queste generiche censure, si chiede alla Corte di cassazione di interpretare la conciliazione in modo diverso da come l’ha interpretata la Corte d’appello, intendendo la rinuncia fatta dal lavoratore “alle statuizioni di cui alla sentenza del pretore” come rinuncia non solo alle retribuzioni, ma anche ai contributi previdenziali ed assistenziali. Rinuncia che non è esplicitata nel testo e non senza ragione, perchè la materia non è disponibile ed involge interessi pubblici che vanno al di là di quelli del singolo lavoratore. Alla Corte di cassazione si chiede, in modo peraltro generico, di procedere ad una nuova valutazione di merito, che è estranea al giudizio di legittimità.

Inammissibile è anche il secondo motivo con il quale la società sostiene la tesi che il lavoratore non aveva interesse a chiedere la condanna del datore di lavoro a corrispondere i contributi e l’ordine all’INPS di riceverli, perchè tale effetto derivava direttamente dalla sentenza di reintegrazione e condanna passata in giudicato.

L’INPS ha eccepito che si tratta di questione proposta solo in cassazione, in quanto la società costituendosi in giudizio non ha formulato tale eccezione di carenza di interesse del lavoratore. Deve peraltro sottolinearsi che la tesi collide con la posizione assunta con il primo motivo, che si basa sul presupposto della controvertibilità, a seguito della conciliazione, del diritto vantato dal lavoratore e quindi della sussistenza di un suo preciso interesse a farlo accertare in giudizio. Il ricorso è pertanto inammissibile con riferimento ad entrambi i motivi. Nulle le spese dell’intimato S. che non ha svolto attività difensiva. Quelle dell’INPS vengono liquidate in dispositivo e vanno poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la società ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di legittimità all’INPS, liquidandole in 40,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre accessori. Nulla spese quanto allo S..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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