Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24889 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, (ud. 05/02/2018, dep. 09/10/2018), n.24889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5334/2014 proposto da:

ATA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa in forza di procura speciale rilasciata in

calce al ricorso dagli avvocati Gianfranco Barbagallo e Mario

Rispoli, elettivamente domiciliata in Roma, Via E. Caracciolo n. 6,

presso lo studio dell’avvocato Antonio Curatola;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore, e

C.F., rappresentati e difesi dall’avvocato Bartolo

Arena, giusta procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliati in Roma, presso la cancelleria della Corte

di cassazione;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1397/2013 della Corte d’appello di Catania,

depositata il 12 luglio 2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5

febbraio 2018 dal Consigliere Dott. Gianluca Grasso;

vista la memoria difensiva depositata dalla ricorrente ex art. 380

bis c.p.c., comma 1.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che con atto di citazione notificato il 22 febbraio 2007 il condominio (OMISSIS), sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Catania, la ATA s.r.l., società costruttrice del complesso condominiale, per sentire dichiarare la proprietà comune di alcuni spazi condominiali destinati alla manovra delle automobili, che la convenuta, rimasta proprietaria di alcune unità immobiliari, aveva recintato e destinato a locazione, con condanna al ripristino dello stato dei luoghi e al pagamento dei canoni di locazione indebitamente percepiti;

che si costituiva in giudizio la ATA s.r.l. eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore condominiale per aver agito senza una preventiva autorizzazione dell’assemblea. Contestava nel merito le deduzioni attoree e svolgeva domanda riconvenzionale per far accertare la proprietà esclusiva di tutti gli spazi in contestazione, mai venduti o riconosciuti come comuni;

che in corso di causa interveniva volontariamente C.F., in qualità di condomino, aderendo alle domande proposte dal condominio e chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale;

che il Tribunale di Catania, con sentenza depositata il 2 ottobre 2009, rigettava la domanda proposta dal condominio in quanto privo di legittimazione attiva, accogliendo le domande svolte dal C. con l’intervento adesivo. Rigettava, di conseguenza, la domanda riconvenzionale proposta dalla ATA s.r.l.;

che la ATA s.r.l. impugnava la pronuncia di prime cure avanti alla Corte di appello di Catania, chiedendone la riforma;

che si costituivano in giudizio sia il condominio sia C.F. chiedendo di respingere il gravame;

che, con sentenza depositata il 12 luglio 2013, la Corte d’appello di Catania dichiarava la nullità della sentenza impugnata per difetto di integrazione del contradditorio con tutti i condomini dell’edificio F, ove sono situati gli spazi oggetto di causa, disponendo, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., la rimessione della causa al giudice di primo grado. Dichiarava pertanto assorbiti gli altri motivi di gravame, con condanna della società ATA s.r.l. a rifondere in favore degli appellati le spese del giudizio di appello;

che avverso la sentenza della corte d’appello la ATA s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattordici quesiti;

che hanno resistito in giudizio il condominio Orto dei Limoni e C.F. con controricorso.

Considerato che, in via preliminare, l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica ratione temporis ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del menzionato decreto, fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (Cass. 19 novembre 2014, n. 24597);

che, pertanto, i plurimi quesiti contenuti nel ricorso devono essere intesi quali motivi di impugnazione, pur dandosi atto della ridondanza e ripetitività delle censure, comuni e trasversali a più punti delle diverse doglianze, non sempre chiaramente intellegibili;

che con il primo, il secondo, il quinto, il sesto e il tredicesimo motivo la ricorrente eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 – 100 – 102 c.p.c., nonchè degli artt. 948 – 11081117 – 1130 – 1131 – 1136 c.c. In particolare, si evidenzia la carenza di legittimazione attiva del condominio e dell’interveniente e, quindi, la mancata instaurazione del contraddittorio, controvertendosi in tema di rivendica di diritti reali rimasti nella signoria del costruttore del complesso condominiale. Si eccepisce, inoltre, la nullità della vocatio in ius per mancanza del potere ad agire dell’amministratore, senza una delibera dell’assemblea condominiale o un mandato conferito da ciascuno dei condomini. Parte ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha limitato l’integrazione del contradditorio ai soli condomini della palazzina F, in luogo di tutti i partecipanti al condominio, affermando erroneamente l’esistenza di un condominio parziale;

che con il settimo motivo si contesta che possa essere riconosciuta a chi agisce in rivendica la titolarità di aree che il costruttore non ha mai ceduto a terzi e allocate in uno spazio privato;

che con il terzo, il quarto e il nono motivo si contesta l’esistenza del condominio parziale, limitato ai soli condomini della palazzina F, mentre il condominio è composto da aree di pertinenza di ciascuna delle cinque palazzine, nonchè l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie in ordine ai diritti sugli spazi comuni. Si lamenta, altresì, la violazione dell’art. 81 c.p.c., in quanto assodato che l’amministratore del condominio non aveva legittimazione attiva, si sarebbe dovuto affermare che anche il C. non era portavoce della volontà dei condomini in ordine all’azione di rivendica di diritti reali. Di conseguenza, ne discenderebbe la nullità di entrambe le sentenze di merito;

che con l’ottavo e il quattordicesimo motivo si lamenta l’erroneità della decisione in punto spese dei due gradi di giudizio, rilevando che le sentenze impugnate hanno dichiarato la carenza di legittimazione attiva e passiva (per la domanda riconvenzionale) del condominio, cui andrebbe addebitata la pronuncia di nullità della Corte d’appello. La ricorrente, pertanto, non potrebbe vedersi addebitata la condanna al pagamento delle spese;

che con il decimo e l’undicesimo motivo si eccepisce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perchè la Corte d’appello ha attribuito all’intervento del C. la legittimazione attiva idonea a tenere in piedi il giudizio, mentre ciò doveva essere escluso in quanto si verteva in materia di diritti reali che coinvolgevano tutti i condomini, mentre egli poteva agire solo in proprio e con intervento adesivo. La ricorrente lamenta altresì la nullità della decisione sull’assunto che il C., nelle more del processo, aveva alienato il posto auto che lo legittimava a intervenire in causa, senza che tale circostanza fosse conosciuta dalla Corte d’appello;

che con il dodicesimo motivo si lamenta il difetto della motivazione perchè la Corte d’appello non ha valutato che l’integrazione del contradditorio era necessaria in virtù del tenore della domanda di accertamento della proprietà comune svolta dal condominio, attore in primo grado. Parte ricorrente contesta altresì che la carenza imputabile a parte attrice potesse ripercuotersi negativamente a suo carico in punto di spese;

che le doglianze, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta correlazione, sono infondate con riferimento ai profili della mancata integrazione del contraddittorio e della condanna al pagamento delle spese, mentre inammissibili risultano gli ulteriori motivi di censura;

che qualora un condomino, convenuto dall’amministratore per il rilascio di uno spazio di proprietà comune occupato sine titulo, agisca in via riconvenzionale per ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva su tale bene, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la contro domanda sull’estensione dei diritti dei singoli (Cass. 15 marzo 2017, n. 6649);

che, nel caso di specie, gli attori (intendendosi anche l’interveniente adesivo) hanno agito correttamente dal punto di vista processuale, in quanto dalle domande proposte non scaturiva la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri condomini;

che, a seguito della domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà esclusiva in capo alla convenuta, vi erano i presupposti per affermare il litisconsorzio necessario con tutti i condomini, questione ignorata dal giudice di primo grado e invece correttamente rilevata dalla Corte d’appello;

che, con riferimento agli atti che evidenzierebbero la pertinenza del bene all’intero complesso condominiale e non solo alla palazzina F, va evidenziata la mancanza di specificità, mentre la questione dei limiti dell’integrazione del contraddittorio può essere riproposta al giudice del rinvio;

che nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale e che nel caso di specie potranno essere riproposte al giudice di primo grado, cui la Corte d’appello ha rimesso gli atti dopo aver dichiarato la nullità della sentenza impugnata (Cass. 5 novembre 2014, n. 23558; Cass. 1 marzo 2007, n. 4804);

che la decisione d’appello non ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione ma l’ha ritenuta assorbita nel difetto di integrazione del contraddittorio, lasciando impregiudicata la relativa questione;

che nel caso di rinvio della causa al primo giudice, il giudice di appello può condannare alle spese la parte che egli – con apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità riconosca soccombente per aver dato causa alla nullità che ha dato luogo al rinvio (Cass. 19 aprile 1975, n. 1506; Cass. 3 maggio 1967, n. 838);

che la Corte d’appello ha evidenziato che la necessità di integrare il contraddittorio è scaturita dalla domanda riconvenzionale della ATA s.r.l., che già in primo grado avrebbe dovuto agire processualmente di conseguenza, mentre essa ha ritenuto di eccepire solo in sede di gravame il difetto del contradditorio;

che le spese seguono soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che si liquidano in Euro 2900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 5 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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