Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24886 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5309/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

V.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandra Stasi e

dall’Avv. Luigi Marsico, con domicilio eletto in Roma, viale Regina

Margherita, n. 262, presso lo studio di quest’ultimo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, Sezione staccata di Foggia, n. 116/26/13 depositata il 1

luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 luglio

2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a V.L., esercente le attività di lavoro dipendente di insegnante e di lavoro autonomo di ingegnere, due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta, rispettivamente, 2005 e 2006, con i quali accertò componenti positivi (ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP) e operazioni imponibili (ai fini dell’IVA) non dichiarati per complessivi Euro 307.609,00 per il 2005 ed Euro 465.393,00 per il 2006 e, conseguentemente, le corrispondenti maggiori IRPEF, addizionali regionale e comunale all’IRPEF, IRAP e IVA, oltre a interessi, irrogando le correlative sanzioni pecuniarie;

gli avvisi di accertamento – emessi dopo lo svolgimento, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7), di indagini bancarie sui conti correnti intestati a V.L. o contestati allo stesso V.L. e alla moglie D.D.M. e, per l’anno 2006, anche su un conto corrente intestato al padre V.S. (conto sul quale V.L. era delegato a operare), nonchè sulle operazioni effettuate da V.L. e dalla moglie anche al di fuori di tali rapporti di conto corrente – si fondavano, come meglio si dirà, secondo il contribuente, esclusivamente sulle presunzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) e, secondo l’Agenzia delle entrate, anche sulla determinazione sintetica del reddito ai sensi dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (commi 4, 5 e 6) (cioè sul cosiddetto redditometro);

i due avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Foggia che rigettò i ricorsi del contribuente;

avverso tali pronunce, V.L. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Puglia, Sezione staccata di Foggia (hinc anche: “CTR”) che, riuniti i due ricorsi, li accolse;

dopo avere rigettato “le eccezioni di diritto riproposte dal contribuente”, la CTR: a) asserì che, “(n)el merito, entrambe le impugnate sentenze meritano una rivisitazione dal momento che i due avvisi di accertamento sono la conseguenza di indagini bancarie che sono state avviate in quanto i redditi dichiarati dal coniuge dell’appellante, Signora D.D.M., non risultavano coerenti con gli incrementi patrimoniali rilevati negli anni 2004, 2006 e 2007. Infatti, tale capacità di spesa ha indotto l’Agenzia ad avviare l’indagine finanziaria con estensione sull’intero nucleo familiare, per poi chiedere al solo coniuge V.L. le giustificazioni di tutte le movimentazioni bancarie, compreso le operazioni effettuate dalla moglie considerate anch’esse quali redditi non dichiarati dall’odierno appellante, nonostante che la Signora D.D. fosse titolare di partita Iva, come confermato dalla stessa Agenzia e senza tener conto che la predetta signora era anche amministratrice di diverse società di capitali operanti nel campo dell’edilizia, come precisato nel contraddittorio precontenzioso e durante il precedente giudizio. I giudici provinciali, invece, hanno interpretato che gli avvisi di accertamento scaturivano dalla incoerenza degli indici di capacità di spesa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 4 e 5 e poichè il contribuente non aveva dimostrato le fonti della provvista, in contrasto con la motivazione contenuta negli avvisi, hanno respinto i ricorsi con le sentenze gravate, trascurando di esaminare le giustificazioni che erano state fornite con riferimento alle singole movimentazioni bancarie, sia dell’appellante che dei suoi congiunti”; b) reputò che, pertanto, “si rende necessario procedere all’analisi delle singole movimentazioni bancarie, sia in addebito che in accredito, secondo lo schema prospettato con gli avvisi di accertamento e la numerazione delle operazioni riportata negli atti difensivi del contribuente, tra l’altro, non contestati dall’Ufficio, tralasciando le movimentazioni finanziarie riferite all’anno d’imposta 2005 per Euro 146.969,54 in quanto già giustificate dalla stessa Agenzia”; c) dopo avere singolarmente analizzato le operazioni sui conti correnti intestati a V.L. o contestati allo stesso V.L. e alla moglie D.D.M. nonchè le operazioni effettuate da V.L. e dalla moglie anche al di fuori di tali rapporti di conto corrente, le ritenne irrilevanti ai fini di una maggiore pretesa fiscale; d) quanto al conto corrente intestato a V.S., dopo avere affermato che l’Agenzia delle entrate aveva “presu(nto) che i movimenti bancari ivi contenuti erano riconducibili all’attività di ingegnere svolta da V.L.”: d.1) osservò che “il conto corrente è intestato a V.S. e non si comprende come mai tutte le movimentazioni bancarie vengano imputate all’appellante V.L. nonostante che, come risulta da documentazione bancaria rilasciata da Banca Credem (all. 51), risultavano due delegati ad operare sul conto, V.L. ed il fratello V.A.”; d.2) affermò che, “(Un ogni caso, l’operato dell’Agenzia è da considerarsi errato in diritto in quanto la stessa, al fine di imputare all’appellante tutti i versamenti e prelevamenti transitati sul conto del padre V.S., aveva l’onere di dimostrare ex ante la riconducibilità delle suddette movimentazioni bancarie a V.L.”; d.3) asserì che, “(fermo) restando quanto innanzi, anche nel merito, le movimentazioni bancarie transitate sul conto corrente bancario intestato a V.S. trovano la loro giustificazione, secondo quanto rappresentato dalla difesa appellante e non contestato dall’Agenzia. Il signor V.S. risultava proprietario di diversi immobili locati, come si rileva dai relativi contratti (all. 52-53-54-55-56-57-58-59-60-61-61 (sic)-63-64), per i quali con periodicità incassava i relativi canoni che, con sistematicità, transitavano nella movimentazione dei conti correnti” e che le stesse movimentazioni “sono da considerarsi giustificate e (…), comunque, rilevano l’estraneità di tali operazioni in capo all’appellante e la relativa irrilevanza reddituale”; d.4) dopo avere singolarmente analizzato le operazioni sul predetto conto corrente, ribadì che “dalle movimentazioni bancarie sopra elencate non sembra potersi rilevare operazioni effettuate dall’appellante, essendo le stesse attribuibili esclusivamente al titolare del conto V.S. ovvero, in talune occasioni, al figlio V.A., fratello dell’appellante”; e) concluse che “dalle posizioni innanzi illustrate riferite ad entrambe le annualità 2005 e 2006 emerge che le movimentazioni finanziarie transitate sui conti correnti bancari personali nonchè su quelli del coniuge D.D.M. e del padre V.S. non sono riconducibili a maggiori ricavi imponibili in capo all’appellante, trattandosi di versamenti e/o prelevamenti ampiamente giustificati dalla documentazione prodotta in giudizio”; f) per tali ragioni, annullò gli avvisi di accertamento;

avverso tale sentenza della CTR, con ricorso notificato il 5 luglio 2013 e depositato il 9 luglio 2013, V.L. proponeva domanda di revocazione parziale, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., unico comma, n. 4), con riguardo alla statuizione sulle spese;

avverso la stessa sentenza – depositata il 1 luglio 2013 e non notificata – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 17/20 febbraio 2014, a sei motivi;

V.L. resiste con controricorso, notificato il 7 marzo 2014;

lo stesso V.L. ha depositato due memorie, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c., con le quali, tra l’altro, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività della sua proposizione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4) e dell’art. 112 c.p.c. “per omessa pronuncia”, sotto i profili che la CTR: a) ha contemporaneamente asserito l’inapplicabilità alla fattispecie di causa del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e – ciò che “implica (..) l’esatto contrario” – che “è stata la “capacità di spesa” ad aver “indotto l’Agenzia ad avviare l’indagine finanziaria”, sicchè questa ha avuto un ruolo servente rispetto alla prima”, con l’effetto che “non può negarsi che tale contemporanea affermazione e negazione dello stesso assunto risulti ontologicamente insuscettibile di costituire una motivazione che pertanto va ritenuta meramente apparente ma in realtà inesistente”; b) “sembra censurare che si siano ascritti a redditi del V. le operazioni compiute dalla moglie “nonostante che la Signora… fosse titolare di partita Iva… e… amministratrice di diverse società”, cioè con argomenti “del tutto inidonei a costituire motivazione per la loro carenza di significato”, in quanto “non superavano in alcun modo quella presunzione, non giustificando di per sè nè un reddito personale e distinto da quello del V., visto che la moglie non ne dichiarava alcuno, nè le operazioni su un conto cointestato a lei stessa e al marito, perchè come amministratrice di società essa poteva operare unicamente sui conti di queste e non sul proprio, e d’altra parte le operazioni svolte su un conto cointestato col marito determinavano comunque una confusione delle somme versate dall’una e dall’altro, rendendole disponibili a entrambi”; c) ha escluso “i/ fondamento sull’art. 38/600 d(egli) accertamenti” – nonostante in essi “si (fosse) partiti dalla considerazione dei redditi dichiarati nei due anni dal contribuente accertato di Euro 27.724,00 e 46.698,00”, “si (fosse) evidenziato che la moglie del contribuente, pur dichiarando in entrambi gli anni redditi nulli, era stata segnalata per due acquisti immobiliari nel 2004, 1 nel 2006 e uno mobiliare nel 2007 (acquisto col marito di una quota societaria per Euro 100.000,00)”, “si (fosse) affermato espressamente che solo “al fine di determinare l’effettiva capacità contributiva dei soggetti verificati, è stato ritenuto opportuno effettuare indagini finanziarie””, “si (fossero) considerate anche le “operazioni non rilevanti ai fini del controllo”, cioè di quello svolto ex art. 32/600, “ma comunque rilevanti, se inerenti il contribuente, per individuare le disponibilità finanziarie del soggetto, quindi indirettamente la sua capacità contributiva” e “alla fine, ricostruita la capacità contributiva anche con l’aiuto delle indagini bancarie, si (fosse) determinato l’imponibile con espresso riferimento al “D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e… art. 39, comma 1, lett. d”” – con la conseguenza che gli stessi accertamenti, “essendo fondati sull’art. 38/600, non potevano essere annullati sulla sola considerazione delle giustificazioni (…) fornite dalla parte ai movimenti bancari, perchè esse comunque nulla toglievano nè alla capacità di spesa manifestata da entrambi i coniugi, ed anzitutto dagli acquisti della moglie del contribuente, nè all’inferiorità del dichiarato rispetto alle somme necessarie per quegli acquisti; dovendosi poi considerare anche i cospicui acquisti dello stesso contribuente, tra cui un’imbarcazione da oltre Euro 580.000,00. In altre parole, se pure si volesse escludere che tutti i movimenti bancari ingiustificati individuassero maggiori redditi, non potrebbe negarsi rilievo a quelli che incontestabilmente esprimono acquisti (…). Ciò vuol dire che la C.T.R., pur a voler convalidare (…) le giustificazioni fornite dalla parte ai fini di cui all’art. 32/600, non poteva tuttavia omettere di tener conto ai fini dell’art. 38/600 almeno di quelli tra i movimenti bancari esprimenti effettivi acquisti dalla parte documentati, perchè l’accertamento sui conti nella specie non perseguiva i fini tipici del cit. art. 32, bensì quelli dell’art. 38; e per tali voci doveva controllare se la parte avesse provato di aver sostenuto i relativi costi con redditi esenti, o già assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o con somme provenienti da rendite, vincite o risarcimenti danni: prove di cui nella specie non vi è traccia in alcuno dei due giudizi”, ciò che “vale in particolare per le operazioni” di cui numeri romani da III a VI, VIII, XXV, XXVI, XXVII, XXXII e XXXIII, XVII, XXVIII e XXIX, XXI, XXIV e XXV, XXXII, XXXIII, XXXIV e XXXV della sentenza impugnata (numerazione aggiunta dalla ricorrente); d) omesso, di conseguenza, di “rideterminare gli imponibili accertati”, così incorrendo nel vizio di omessa pronuncia;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e dell’art. 112 c.p.c. “per extrapetizione”, per avere la CTR annullato integralmente i due avvisi di accertamento nonostante l’impugnazione del ricorrente investisse solo una parte delle contestazioni dell’Agenzia delle entrate – in particolare: a) “l’A.F. aveva contestato (..) n. 24 versamenti e 19 prelevamenti per il 2005 (…) e ben n. 146 versamenti e 47 prelevamenti per il 2006 (…), mentre il ricorrente nei ricorsi di I grado, ha inserito nel suo prospetto di giustificazioni “caselle” di censura per n. 13 prelievi nel 2005, e n. 23 operazioni in entrata e 22 in uscita per il 2006″; b) “vi sono, nel ricorso di I grado 2005, 6 operazioni in cui la parte ammette espressamente di “non ricordare” nulla dato il tempo trascorso (..) e che quindi devono ritenersi incontestate” – “laddove per il resto vi era acquiescenza, sicchè l’annullamento delle ulteriori riprese era “extra petitum””;

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere la CTR “acco(lto) giustificazioni non proposte con il ricorso di I grado ma solo tardivamente”, quali, “ad. es.”, quelle relative alle operazioni di cui numeri romani II, VIII, XIII e XV della sentenza impugnata;

con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4 e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la CTR ritenuto “giustificate” delle operazioni – in particolare, quelle sul conto intestato a V.S. (di cui ai numeri romani da XLII a LXVII della sentenza impugnata) e quelle di cui ai numeri romani I, II, XV, XXXIV e XXXV, XVII, XVIII e XXII e XXIV della stessa sentenza – e avere conseguentemente annullato le riprese a tassazione a esse correlate, sulla base di documenti che non erano stati esibiti o trasmessi dal contribuente nella fase del contraddittorio procedimentale, “inutilmente (…) affanna (ndosi) a ribadire che l’Ufficio possa “non aver contestato” tali documenti, poichè la norma (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4) ha valore assoluto e tassativo, indipendentemente da qualsiasi contestazione e dall’ambito applicativo dell’art. 115 c.p.c.”;

con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), atteso che, premesso che, ai sensi della prima di tali disposizioni, il contribuente deve provare, nel caso dei versamenti, che “si (…) tratta (…) di somme contabilizzate ovvero non soggette ad imposta, o che l’hanno già scontata con ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” e, nel caso dei prelevamenti, “di somme pure contabilizzate o di cui sia indicato il beneficiario”: a) la CTR, “quanto ai versamenti, (…) non afferma in alcun caso di aver riscontrato la contabilizzazione delle relative voci (…) nè, più in generale, che controparte ne avesse tenuto conto ai fini della dichiarazione dei redditi (…), e tanto meno di aver riscontrato che si trattasse di operazioni esenti o già tassate; non ha quindi alcun rilievo, in difetto di tali elementi, la “spiegazione” (…) che si fornisce delle operazioni in questione”; b) “non vale che la parte abbia opposto di essere tenuta solo ad una contabilità semplificata, perchè egli doveva comunque provare, con ogni mezzo, di aver tenuto conto delle operazioni bancarie “ai fini della determinazione del reddito soggetto a imposta” e non lo ha fatto. Ciò vale anzitutto per le operazioni menzionate al motivo 1″;

con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), la violazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 2727 “e ss.” dello stesso codice e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), atteso che: a) la CTR “(p)er alcune operazioni (…) recepisce le affermazioni avversarie senza alcuna prova e senza alcuna reale motivazione: così per la n. XI (prelievo di 2.000 Euro per esigenze personali) non ha alcun significato preciso, e quindi non può costituire motivazione, l’affermazione che lo “Si ritiene ragionevolmente giustificato, anche in base a quanto documentato in relazione alle altre operazioni”, mentre nel ritenere “sproporzionato” pretendere la prova liberatoria per ogni singola operazione si viola il riparto dell’onere probatorio stabilito in capo al contribuente sia che si tratti di accertamento sintetico che bancario”; b) “per le numerose operazioni pretesamente indicanti restituzione di finanziamenti e per il prestito al V. (combinato con uno di essi: v. op XLI) non vi è prova (o non tempestiva) nè dei primi (asseritamente effettuati dalla D.D., priva di redditi) nè del secondo, cioè dei fatti che priverebbero gli accrediti di incremento reddituale”;

in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione – sollevata dal controricorrente nelle sue due memorie – in quanto proposto oltre il termine dell’art. 325 c.p.c., comma 2, da calcolare a decorrere dalla data della notificazione del ricorso per revocazione avverso la stessa sentenza poi impugnata col ricorso per cassazione; l’eccezione è fondata;

costituisce un orientamento ormai consolidato di questa Corte che il Collegio condivide e al quale ritiene, perciò, di dare continuità quello che la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria della notificazione, alla notificazione della stessa sentenza ai fini della decorrenza del termine cosiddetto breve per proporre ricorso per cassazione, con la conseguenza che la tempestività del successivo ricorso per cassazione avverso tale pronuncia va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno (ormai, di sei mesi) dal suo deposito ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione o del ricorso per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, su istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione ai sensi dell’art. 398 c.p.c., comma 4, secondo periodo, (Cass., S.U., 09/12/2019, n. 32114; Cass., 20/01/2006, n. 1196, 19/06/2007, n. 14267, 29/04/2009, n. 10053, 12/01/2012, n. 309, 22/03/2013, n. 7261, 05/09/2019, n. 22220);

tale orientamento è espressione di un generale principio di equipollenza della notificazione dell’impugnazione alla notificazione della sentenza ai fini della decorrenza dei termini previsti dall’art. 325 c.p.c. (Cass., S.U. n. 32114 del 2019; Cass., n. 1196 del 2006, 13/07/2017, n. 17309, 10/01/2019, n. 474), il quale ha la propria ratio nel fatto che la proposizione dell’impugnazione rivela, sia nei confronti della parte notificante sia nei confronti della parte destinataria della notificazione, quella stessa conoscenza legale del provvedimento – che qui deriva dall’essere esso sottoposto a critica nel processo mediante un’impugnazione – realizzata dalla notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., comma 1, (Cass., n. 10053 del 2009);

lo stesso orientamento deve ritenersi valere anche nel caso in cui, come nella specie, sia stata chiesta la revocazione solo parziale della sentenza di appello, atteso che la parzialità di tale domanda non esclude che la notificazione dell’atto introduttivo della stessa implichi la conoscenza legale della pronuncia nella sua integralità, e non per la sola parte impugnata (per un caso di riconoscimento dell’equipollenza della domanda di revocazione parziale – avente peraltro nella specie a oggetto proprio una sentenza di una commissione tributaria regionale – Cass., n. 22220 del 2019);

poichè dalla documentazione prodotta in allegato al controricorso si evince che la controricorrente notificò il ricorso per revocazione il 5 luglio 2013, applicando il suddetto orientamento al caso di specie, non risultando che sia stata disposta la sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, quest’ultimo, considerata la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (dal 1 agosto al 15 settembre), avrebbe dovuto essere proposto entro il 19 ottobre 2013, termine prorogato al 21 ottobre 2013 per essere il 19 ottobre 2013 sabato, mentre è stato proposto dalla ricorrente solo il 17 febbraio 2014;

ne consegue l’inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto proposto oltre il termine dell’art. 325 c.p.c., comma 2;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e sono liquidate come indicato in dispositivo;

poichè la ricorrente è un’amministrazione dello Stato ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Cass. S.U., 08/05/2014, n. 9938).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore di V.L., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00, oltre agli accessori di legge e alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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