Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24886 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 04/10/2019), n.24886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1861/2018 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI

283, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CALA’, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROMUALDO PECORELLA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

OBIETTIVO LAVORO – AGENZIA LAVORO S.P.A. ora RANDSTAD ITALIA S.P.A.

in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato

ANDRE MUSTI che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA FORTUNAT;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 2762/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/12/2016 R.G.N. 2317/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte di Appello di Bari con sentenza resa pubblica il 30/12/2016 confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da F.R. volta a conseguire l’accertamento della nullità dei contratti di somministrazione a termine stipulati con Obiettivo Lavoro – Agenzia per il Lavoro s.p.a. (7/10/200415/1/2005 e relativa proroga, 1/4/2005-30/6/2005, 1/7/2005-30/9/2005) in forza dei quali aveva prestato la sua attività lavorativa in favore di Poste Italiane s.p.a. presso gli uffici di (OMISSIS) e di (OMISSIS), con mansioni di portalettere.

La Corte territoriale perveniva a tali conclusioni sull’essenziale rilievo della specificità delle causali apposte ai contratti di assunzione stipulati con la Obiettivo Lavoro – Agenzia per il lavoro – s.p.a. e della effettività delle esigenze giustificative della apposizione del termine, suffragate dalla documentazione prodotta dalla società Poste Italiane, che si palesavamo ampiamente esplicative delle ragioni sottese alla utilizzazione della lavoratrice in conformità alle indicazioni contenute nei singoli contratti di somministrazione (esigenze sostitutive e copertura del servizio di recapito in relazione ad assenze non programmabili ovvero di carattere strutturale).

Avverso tale decisione F.R. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi, successivamente illustrati da memória, al quale ha opposto difese Poste Italiane s.p.a. Ha resistito altresì con controricorso la s.p.a. Randstad Italia già Obiettivo Lavoro – Agenzia per il lavoro – s.p.a. che ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto specificate nei contratti di somministrazione le ragioni poste a fondamento della sua assunzione. Dal rinvio agli accordi del 29/7/2004 e del 22/3/2005 stipulati da Poste con le organizzazioni sindacali, non sarebbe stato possibile comprendere quali fossero state, in concreto, le esigenze temporanee che avevano determinato l’assunzione del ricorrente.

Nei contratti si faceva riferimento all’esigenza di “copertura di assenze non programmabili” e “ad assenze di carattere strutturale per l’ottimale copertura del servizio” ma non era chiarito in concreto a quale di tali esigenze l’assunzione fosse connessa.

Viene, quindi, rimarcato che il dovere di specificazione della clausola appositiva del termine, è certamente sussistente anche per i contratti di somministrazione, con riferimento alle esigenze tecniche, organizzative, produttive e sostitutive dell’utilizzatore, negandosi la possibilità di abdicare a tale esigenza sol perchè si riproducono clausole tipizzate da accordi collettivi.

2. Il motivo non è fondato.

La Corte territoriale, infatti, in esito ad un attento esame della documentazione versata in atti, ha accertato che i contratti di somministrazione, sulla base dei quali erano stati poi conclusi i contratti stipulati con la lavoratrice, recavano una specifica indicazione delle ragioni per le quali erano stati conclusi (sostituzione dei lavoratori assenti per aspettativa, congedo, ferie, partecipazione a corsi di formazione ovvero malattia e temporanea inidoneità a svolgere la mansione assegnata; esigenza di far fronte ad assenze non programmabili e ad assenze di carattere strutturale al fine di garantire l’ottimale copertura del servizio) e che specifiche erano poi le ragioni poste a fondamento dei singoli contratti a tempo determinato stipulati tra la società fornitrice ed il lavoratore.

In particolare, con riferimento al primo contratto la cui causale era riferita alla “sostituzione di lavoratori assenti per aspettativa, congedo, ferie…”, la Corte di merito ha argomentato che, alla stregua della documentazione prodotta, risultavano espressamente indicati i nominativi dei lavoratori assenti nel suddetto periodo, con enunciazione della causale, dei giorni di assenza e di quelli di presenza della ricorrente, sì da comprovare l’effettività dell’indicata esigenza sostitutiva. Con riferimento al secondo ed al terzo contratto, stipulati per la “copertura del servizio di recapito in relazione ad assenze non programmabili ovvero di carattere strutturale” risultavano, del pari, indicati i nominativi dei lavoratori assenti “nel suddetto periodo presso l’ufficio di destinazione, con le ulteriori specificazioni già rese in relazione al primo dei contratti stipulati fra le parti.

Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito appaiono del tutto congrui sotto il profilo logico, e corretti sul versante giuridico, perchè coerenti con i principi affermati da questa Corte secondo cui in tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, esplicitando il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta (cfr. Cass. 9/10/2017 n. 23513); all’uopo è infatti sufficiente che le ragioni sottostanti al ricorso alla somministrazione di lavoro siano indicate per iscritto nel contratto con un grado di specificazione tale da consentire di verificarne la loro effettiva sussistenza (vedi in motivazione, Cass. 6/10/2014 n. 21001).

In tal senso appare corretto l’approccio della Corte territoriale la quale, nel sottolineare la necessità che l’utilizzatore dia la dimostrazione della effettività dell’esigenza sottesa alla singola assunzione del lavoratore, l’abbia ritenuta, in concreto, soddisfatta, procedendo alla disamina dei documenti prodotti dalla società utilizzatrice.

Detta statuizione si sottrae, quindi, ad ogni sindacato di legittimità, che si esprime entro i rigorosi limiti sanciti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 1912, n. 134, applicabile ratione temporis, nell’interpretazione resa dalle Sezioni Unite di questa Corte (vedi Cass. 7/4/2014 n. 8053).

3. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole che la Corte di merito abbia ritenuto assolto l’onere gravante sulla parte datoriale – relativo alla conformità delle ragioni poste a fondamento della utilizzazione della lavoratrice rispetto alle indicazioni contenute nei singoli contratti di somministrazione – conferendo idonea valenza probatoria a schede unilaterali predisposte da Poste Italiane, in cui sono riportati dati privi di dignità di prova.

Viene altresì rimarcata la carenza di rilievo istruttorio del documento anche sotto il profilo della comparazione del tutto inconferente, fra i dati contenuti nella scheda che recano indicazione, da un canto dei giorni di assenza dei dipendenti tutti della filiale cui era stata adibita la ricorrente; dall’altro solo dei giorni di presenza di quest’ultima, laddove una corretta comparazione dati avrebbe dovuto postulare l’equiparazione di elementi omogenei, ovverosia i giorni di assenza di tutti i dipendenti e quelli di presenza di tutti i lavoratori in servizio presso quella filiale.

4. Il motivo va disatteso.

Non può, innanzitutto, tralasciarsi di considerare l’evidenza della violazione del principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, secondo i dettami dell’art. 366 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 e 6, non essendo riportato il tenore della documentazione oggetto di censura, nè risultando indicata la specifica collocazione in atti.

Secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (vedi ex aliis, Cass. 13/11/2018 n. 29093).

Il principio di specificità è infatti volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di Cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (cfr. Cass. 4/10/2018 n. 24340).

E detti oneri non risultano nella specie assolti da parte ricorrente, che ha omesso di riportare il contenuto della documentazione oggetto di critica e di indicarne la collocazione in atti.

5. Non può poi sottacersi che la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia gravata e non. anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che là parte onerata abbia assolto tale onere. In questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 17/06/2013 n. 15107 e Cass. 5/12/2006 n. 19064).

Nel caso in esame la Corte territoriale non ha operato alcuna inversione dell’onere della prova ma ha proceduto, piuttosto, ad una valutazione delle allegazioni delle parti e delle contestazioni mosse, pervenendo alla conclusione, per quanto sinora detto, compatibile con le emergenze istruttorie.

6. Alla stregua delle sinora esposte argomentazioni, il ricorso va pertanto respinto.

La regolazione delle spese segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata in favore di ciascuna delle parti controricorrenti. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che, ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di ciascuna delle parti che liquida, per ognuna, in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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