Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24885 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30233 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Associazione A. C. Chioggia – Sottomarina, in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Sonino Ruggero,

Chiampan Patrizia e Gobbi Goffredo, Orsini Elisabetta, Silanos Aldo,

per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, via Maria Cristina, n. 8, presso lo studio di

quest’ultimo difensore;

– ricorrente principale –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui ufficio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 729/06/2014, depositata in data 5 maggio

2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla Associazione A.C. Chioggia Sottomarina, associazione non riconosciuta e avente per oggetto esclusivo lo svolgimento di attività sportive, due avvisi di accertamento, relativi, rispettivamente, all’anno di imposta 1 luglio 2005-30 giugno 2006 nonchè all’anno di imposta 1 luglio 2006-30 giugno 2007, con i quali era stato rideterminato in via induttiva il reddito ai fini Ires, Irap e Iva; avverso i suddetti atti impositivi l’associazione aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati parzialmente accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia; l’Associazione A.C. Chioggia Sottomarina aveva, quindi, proposto appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale;

la Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale, in particolare ha ritenuto che: con riferimento all’appello principale, era inammissibile il motivo di appello relativo alla violazione dell’art. 12, comma 7, Statuto del contribuente nonchè il motivo di appello relativo alla decisione del giudice di primo grado con cui, tenuto conto degli esiti della c.t.u., era stata ritenuta legittima la pretesa, sebbene per un importo inferiore a quello di cui agli avvisi di accertamento; con riferimento all’appello incidentale, era infondato il motivo con il quale era stata contestata l’illegittima acquisizione, in sede di operazioni peritali, di documentazione non esibita dalla contribuente al momento della richiesta di informazioni da parte dell’amministrazione finanziaria; l’accertamenti peritale, dunque, era corretto e poteva farsi riferimento alle conclusioni in esso contenute;

l’Associazione A.C. Chioggia Sottomarina ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a quattro motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso, contenente ricorso incidentale; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Umberto de Augustinis, ha deposito le proprie osservazioni scritte con la quali ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso incidentale e l’assorbimento di quello principale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

sui motivi di ricorso principale

1. con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, e per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere ritenuto tardiva la proposizione dell’eccezione di nullità degli avvisi di accertamento nonostante la stessa fosse stata proposta nei ricorsi introduttivi e trattandosi, comunque, di eccezione rilevabile d’ufficio;

il motivo è inammissibile;

in particolare, va considerato che, in sostanza, parte ricorrente lamenta la non corretta valutazione degli atti di causa, in particolare del ricorso introduttivo del giudizio con il quale, secondo la tesi difensiva prospettata, avrebbe proposto anche il motivo di nullità degli avvisi di accertamento per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7;

va quindi precisato che, secondo questa Corte, l’interpretazione della domanda e, in genere, del contenuto degli atti delle parti, rientra nella valutazione del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove motivata in modo sufficiente e non contraddittorio (Cass. civ., 24 luglio 2012 n. 12944); pur ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel “thema decidendum” – il dedotto errore del giudice attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, sicchè detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. civ, 13 agosto 2018 n. 20718; Cass. civ., 5 febbraio 2014 n. 2630);

orbene, il giudice del gravame ha esaminato il contenuto degli atti difensivi, precisando che, diversamente da quanto contenuto nella successiva memoria e in atto di appello, parte ricorrente non aveva proposto il motivo di nullità degli atti impositivi in sede di ricorso introduttivo;

rispetto a tale accertamento di fatto del giudice del gravame, parte ricorrente non riproduce in alcun modo il contenuto del ricorso introduttivo, ma si limita a evidenziare che la censura era stata formulata nei ricorsi introduttivi “laddove espressamente il contribuente eccepisce come l’accertamento debba ritenersi nullo”; il motivo di ricorso in esame è, sotto tale profilo, privo di specificità, in quanto il mero riferimento al termine “nullo”, per la sua ampia genericità e in mancanza della specificazione del fatto in relazione al quale è dedotta la suddetta conseguenza giuridica, non è evidentemente riconducibile in modo univoco alla prospettazione di una ragione di contestazione della legittimità della pretesa impositiva sotto il profilo della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, come invece inteso dalla ricorrente;

prive di rilievo sono le ulteriori considerazioni espresse nella memoria illustrativa depositata in questo giudizio dalla ricorrente principale;

invero, viene ulteriormente ribadito che nel ricorso la questione era stata proposta avendo fatto richiamo al termine “nullo”, ma tale profilo, come detto, per il suo contenuto generico, non può avere alcuna valenza al fine di individuare specificamente la ragione sottesa alla ritenuta nullità;

il riferimento, inoltre, a quanto poi precisato nella memoria illustrativa non immuta la genericità dell’affermazione di nullità dell’avviso di cui al ricorso, poichè è con tale atto introduttivo, come correttamente posto in evidenza dal giudice del gravame, che la parte ricorrente deve delineare esattamente il thema decidendum, indicando sulla base di quali fatti si basano le ragioni di contestazione, potendo la successiva memoria solo chiarire ed illustrare la prospettazione che deve necessariamente essere contenuta nei motivi di ricorso;

peraltro, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, questa Corte (Cass. civ., 9 giugno 2017, n. 14395) ha precisato, in tema di violazione del diritto al contraddittorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, che: “Non è rilevabile d’ufficio il vizio derivante dall’inosservanza del suddetto termine, trattandosi di violazione di una norma posta a difesa del diritto del contribuente al pieno dispiegarsi del contraddittorio con l’amministrazione finanziaria, conseguendone dunque l’onere di contestare il vizio nel ricorso d’impugnazione dell’avviso d’accertamento”;

2. con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nella natura non commerciale dell’attività della contribuente in relazione alle operazioni contestate, in particolare per non avere considerato che gli importi ricevuti non consistevano in remunerazioni di servizi commerciali di sponsorizzazione, ma erogazioni liberali a vario titolo eseguiti dai soci sostenitori;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, difetta di specificità, in quanto prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo, la natura non commerciale dell’attività svolta e la natura di mera erogazione liberale dei contributi dei soci sostenitori, profili di cui non risulta in alcun modo che erano stati oggetto di contestazione con il ricorso introduttivo del giudizio, e in ordine ai quali, peraltro, non sono stati forniti elementi concreti di valutazione che consentano di apprezzare la rilevanza della censura prospettata, al di là della generica affermazione contenuta nell’atto di appello, come riportato a pag. 9 del ricorso;

3. con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi

dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, per non avere accolto l’eccezione di nullità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione, sia in quanto i suddetti atti impositivi non avevano tenuto conto, al fine di determinare il reddito della contribuente, del secondo semestre di ciascun esercizio preso in considerazione, sia sotto il profilo della mancata allegazione della documentazione richiamata dai medesimi avvisi di accertamento;

il motivo è inammissibile;

va, invero, evidenziata la novità della questione prospettata, in quanto parte ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del motivo, non ha specificato in alcun modo che la questione del difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, nei termini illustrati con il presente motivo, era stata prospettata sia in primo grado che in grado di appello, senza, peraltro, che siano stati riprodotti gli avvisi di accertamento nonchè elementi di prova da cui potere evincere che, effettivamente, la determinazione del reddito era stato compiuto non tenendo conto del secondo semestre di ciascun anno preso in considerazione ovvero sulla base della mancata allegazione della documentazione richiamata;

peraltro, la censura in esame, poichè sul punto il giudice del gravame non si è pronunciato, avrebbe dovuto essere prospettata come violazione dell’art. 112, c.p.c., per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e, in tal caso, era onere della parte, come detto, specificare che la questione era stata proposta in primo grado e successivamente posta all’attenzione del giudice del gravame;

nè può assumere rilievo quanto osservato dalla ricorrente nella memoria illustrativa secondo cui nel ricorso introduttivo aveva affermato che si trattava di un “documento non conosciuto nè ricevuto dal contribuente” e che quindi l’ufficio avrebbe dovuto allegare agli avvisi di accertamento come prescritto “dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56”;

oltre che evidenziare, anche in questo caso, che si tratta di passaggi parziali del contenuto del ricorso originario da cui non è dato evincere chiaramente che la questione del difetto di motivazione, nei termini delineati, era stata espressamente prospettata, va comunque osservato che non vi è alcuna osservanza del principio di autosufficienza in ordine al fatto che la medesima questione era stata posta all’attenzione del giudice del gravame;

4. con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi

dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, per avere ritenuta legittima la determinazione induttiva del reddito nonostante il fatto che non erano stati riconosciuti tutti i maggiori costi sostenuti, ma solo quelli rilevati nella contabilità della contribuente;

il motivo è inammissibile;

va in primo luogo osservato che il motivo di ricorso in esame è rivolto a contestare, più che il contenuto decisorio della pronuncia censurata, l’operato dell’amministrazione finanziaria e gli esiti dell’avviso di accertamento, senza rivolgere, quindi alcuna specifica ragione di doglianza alla sentenza;

peraltro, è vero che, questa Corte (Cass. civ., 17 luglio 2019, n. 19191) ha affermato il principio di diritto secondo cui, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, ed ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi. Va, dunque, applicata l’imposta sull’utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfettariamente stabiliti; pertanto, dei costi sì deve tenere conto anche quando il reddito viene accertato con il metodo induttivo “puro” o, comunque, in conseguenza della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, in entrambi i casi utilizzandosi le presunzioni supersemplici; tuttavia, il motivo in esame risulta privo di specificità, non avendo parte ricorrente allegato o riprodotto il contenuto dell’atto di appello da cui evincere che la questione era stata prospettata dinanzi al giudice del gravame;

inoltre, si evince dallo stesso ricorso (vd. pg. 13) che l’amministrazione finanziaria aveva tenuto in considerazione i costi, sebbene nei limiti di quelli di cui vi era prova della loro esistenza;

la questione, dunque, della sussistenza di ulteriori costi non presi in considerazione non costituisce un vizio di violazione di legge, quanto, eventualmente, di difetto di motivazione laddove si deduca la mancata considerazione di fatti decisivi per il giudizio non presi in considerazione dal giudice di appello;

per completezza, va comunque osservato che, ove la parte ricorrente avesse ritenuto che dovevano essere presi in considerazione costi ulteriori rispetto a quelli tenuti presenti in sede di accertamento, su di essa gravava l’onere di prova, allegando la specifica documentazione in merito, profilo di cui la parte ricorrente non offre alcuno specifico elemento di valutazione;

Sui motivi di ricorso incidentale

1.1. con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per non avere pronunciato sull’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dalla contribuente in quanto non conteneva alcuno specifico motivo di gravame, limitandosi a richiamare singole argomentazioni difensive svolte nel precedente grado di giudizio in modo del tutto generico e senza alcuna connessione la decisione impugnata o introducendo nuovi motivi mai dedotti in precedenza; le considerazioni espresse con riferimento al ricorso principale hanno valore assorbente del presente motivo di ricorso incidentale; 2.2. con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere ritenuto legittima l’acquisizione della documentazione in sede di svolgimento delle operazioni peritali nonostante il fatto che la stessa non era stata consegnata all’amministrazione finanziaria a seguito di richiesta contenuta nel questionario inviato alla contribuente, con conseguente inutilizzabilità della suddetta documentazione;

il motivo è infondato;

questa Corte (Cass. civ., 27 dicembre 2016, n. 27069) ha precisato che in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell’Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’Amministrazione purchè accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica, in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost., per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con l’amministrazione finanziaria;

si è, altresì, precisato (Cass. civ., 22 giugno 2018, n. 16548) che l’invio del questionario da parte dell’amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare, in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria, un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa;

tuttavia, ai fini della operatività della inutilizzabilità della successiva produzione documentale, è necessario che l’amministrazione finanziaria, con l’invio del questionario, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse, senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare l’azione dell’ufficio, come si evince dagli artt. 6 e 10 Statuto del contribuente (Cass. civ., 27 settembre 2013, n. 22126; Cass. civ., 14 maggio 2014, n. 10489; Cass. civ., 27 dicembre 2016, n. 27069);

è inoltre necessario, sempre ai fini della applicabilità della preclusione prevista dal citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, che il documento cui si riferisce la preclusione sia stato espressamente richiesto dall’Ufficio, dovendo tale disposizione normativa essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva richiamato dall’art. 53 Cost. (Cass. 13289 del 2011);

con riferimento al caso di specie, con il presente motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate si è limitata ad evidenziare di avere inviato un questionario alla contribuente senza, tuttavia, alcuna allegazione o riproduzione del contenuto del medesimo al fine di consentire di verificare, in primo luogo, che la documentazione successivamente prodotta in sede di svolgimento delle indagini peritali era stata richiesta con il questionario e, in secondo luogo, che la contribuente era stata avvertita delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alla richiesta;

in conclusione, sono inammissibili i motivi di ricorso principale, con conseguente rigetto del ricorso principale, è infondato il secondo motivo di ricorso incidentale, assorbito il primo motivo di ricorso incidentale, con conseguente rigetto del ricorso incidentale;

attesa la soccombenza reciproca, le spese di lite sono interamente compensate tra le parti;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensa interamente tra le parti le spese di lite del presente giudizio.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

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