Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24885 del 06/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 24885 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

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ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 12033/2012 proposto da:

AVV. SOFI VINCENZO MARIA (C.F.: SFO VCN 37B16 M018A), rappresentato e difeso, ai
sensi dell’art. 86 c.p.c., da se stesso e domiciliato presso il suo studio, in Roma, via
Salvatore Lorizzo, n. 140; – ricorrente principale —
contro
SOFI DOMENICA (C.F.: SFO DNC 39D43 M018Q), rappresentata e difesa, in virtù di
procura speciale a margine del controricorso (contenente ricorso incidentale), dall’Avv.
Massimo Serra ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, via del
Consolato,

n.

6;

SOFI GIUSEPPE, SOFI MARIA EMILIA e SOF! FRANCESCA;

– ricorrente incidentale – intimate –

per la cassazione della sentenza n. 3084 del 2011 della Corte di appello di Roma,
depositata il 12 luglio 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 ottobre 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

Data pubblicazione: 06/11/2013

letta la memoria depositata nell’interesse del ricorrente;
sentiti gli Avv.ti Sofi Vincenzo Maria (quale ricorrente principale in proprio) e Serra

Massimo per la ricorrente incidentale;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Ignazio Patrone, che ha concluso in senso conforme alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 18 febbraio 2013, la

seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione de127.01.1999, la sig.ra Domenica Sofi conveniva in giudizio, innanzi il Tribunale civile di Roma, i germani Francesca, Vincenzo Maria, Giuseppa e Maria Sofi, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria dell'immobile sito in Villa San Giovanni, viale Marconi n. 4, pervenuto per successione legittima del "de cuius" Pietro Sofi. L'attrice chiedeva che il convenuto Vincenzo Maria Sofi le corrispondesse un'indennità in ragione del godimento esclusivo dell'immobile, oltre ad interessi e rivalutazione. Si costituiva il sig. Vincenzo Maria Sofi, respingendo le pretese di parte attrice ed eccependo l'avvenuta usucapione della quota spettante alla sorella Domenica. Il Tribunale, con sentenza del 27 giugno 2002, rigettava la richiesta di usucapione e disponeva la divisione per quote dell'immobile, condannando il sig. Vincenzo Maria al pagamento di una somma, a titolo di indennizzo. Con citazione notificata in data 19.03.2004 Sofi Vincenzo Maria proponeva appello avverso tale sentenza, Si costituiva la sig.ra Sofi Domenica, contestando il gravame proposto, chiedendone il rigetto; proponeva, altresì, appello incidentale. Rimanevano contumaci le sigg.re Sofi Francesca, Sofi Maria e Sofi Giuseppa. Con sentenza n. 3084 del 2011, depositata il 12 luglio e notificata il 10 marzo 2012, la Corte d'Appello di Roma dichiarava l'appello inammissibile e condannava l'appellante, in 2 atti. accoglimento dell'appello incidentale, a versare alla sig.ra Sofi Domenica, la somma di euro 50.105,03, quale sua quota per il canone di locazione. Avverso tale sentenza il sig. Sofi proponeva ricorso per cassazione, notificato 1'8 maggio 2012 e depositato il 25 maggio 2012, deducendo tre motivi. Si costituiva con controricorso Domenica Sofi, la quale proponeva, altresì, ricorso Con il primo complesso motivo il ricorrente in via principale ha denunciato, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., la violazione dell'art. 244 e seguenti c.p.c. e la violazione dei principi regolatori del giusto processo ex art. 111 Cost, nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della causa, in virtù della mancata assunzione della prova testimoniale asseritamente richiesta per provare l'avvenuto acquisto per usucapione della proprietà dell'immobile oggetto della causa. Con il secondo motivo, il sig. Sofi Vincenzo Maria ha lamentato la violazione dell'art. 358 c.p.c., in riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c., asserendo che l'appello non poteva essere dichiarato inammissibile, difettando i presupposti prescritti dal citato art. 358 c.p.c. . Con il terzo motivo, lo stesso ricorrente principale ha dedotto la violazione dell'art. 1102 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nella parte in cui, con la sentenza impugnata, egli era stato condannato alla restituzione dei frutti goduti. La prima doglianza appare, all'evidenza, inammissibile. Infatti, il costante insegnamento della Suprema Corte, pone a carico della parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo a richiamarle specificamente, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dal momento che tale controllo, per il principio di necessaria specificità del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non 3 incidentale, sulla base di due motivi. è consentito sopperire con indagini integrative ( cfr. Cass. n. 28336 del 2011; Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 4201 del 2010; v., anche, Cass. n. 6440 del 2007 secondo cui, "è privo di autosufficienza il ricorso fondato su un motivo con il quale viene denunciato vizio di motivazione in ordine all'assunta prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di cfr., pure,Cass. n. 5479 de 2006, alla stregua della quale "ove trattasi di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio del ricorso per cassazione, indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, quale ne fosse la rilevanza, ed a quale titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza"). Nel caso di specie, il richiamato principio di necessaria specificità non risulta rispettato, essendo evidente che il ricorrente non ha provveduto a richiamare i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente considerati decisivi, né ha indicato i testimoni e il titolo sulla base del quale questi avrebbero potuto essere a conoscenza delle circostanze dedotte. Anche la seconda doglianza dedotta con il ricorso principale appare inammissibile, poiché la sentenza di secondo grado risulta perfettamente coerente sia con il dettato normativo dell'art. 342 c.p.c., che prescrive che l'atto di appello debba contenere i "motivi specifici dell'impugnazione" (nel caso di specie omessi dal ricorrente con la proposizione dell'atto di appello, per quanto puntualizzato nella stessa sentenza impugnata), che con l'orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale "nell'atto di appello, ossia nell'atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame rilevabile di ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice" (cfr. Cass. n. 12984 del 2006; Cass. n. 23299 del 2011). 4 pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell'impugnata sentenza"; Peraltro, il motivo in questione risulta del tutto sprovvisto dell'indicazione del requisito prescritto dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dal momento che, con esso, il Sofi Vincenzo Maria si è limitato a dedurre genericamente la violazione dell'art. 358 c.p.c., in base alla mera argomentazione che di tale norma non ricorresse alcun presupposto. Infine, risulta inammissibile anche il terzo ed ultimo motivo, evidenziandosi come non giurisprudenza di questa Corte, così come imposto dall'art. 360 bis, n. 1), c.p.c.. Infatti, per confutare quanto esposto dal ricorrente (il quale, senza indicare alcun orientamento giurisprudenziale a supporto della propria tesi, si è limitato ad eccepire che "egli non ha mai impedito il godimento pro quota da parte degli altri condividenti"), è sufficiente riportare quanto affermato in Cass., n. 12260 del 2002, secondo la quale, "il singolo coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi solo attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività (o per come ritenuto alcune volte mediante atti di "interversio'); sicché a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus"; poiché, peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, provvedendo fra l'altro al pagamento delle imposte e alla manutenzione, il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario" (v., nello stesso senso, anche Cass. n. 9903 del 2006 e Cass. n. 19478 del 2007). Nel caso di specie è, peraltro, lo stesso ricorrente principale — per quanto desumibile dallo svolgimento della stessa doglianza in esame - a negare la sua volontà di possedere uti 5 siano stati offerti motivi tali da comportare il mutamento dell'orientamento della dominus esclusivo, ammettendo di aver posseduto l'immobile garantendo e riconoscendo agli altri condividenti (ivi compresa la controricorrente) la possibilità di godere "pro quota" dell'immobile dedotto in controversia. Inoltre, la deduzione del ricorrente circa la determinazione dei frutti, che sarebbero dovuti solo dal giorno della domanda giudiziale e andrebbero determinati in base ai parametri Appello ha semplicemente applicato principi assolutamente pacifici in giurisprudenza (cfr. fra le tante, Cass. n. 21013 del 2011; Cass. n. 7881 del 2011; Cass. 12818 del 2004; Cass. n. 9659 del 2000; Cass. n. 7716 del 1990). Per quanto concerne, invece, il ricorso incidentale proposto da Domenica Sofi, con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 820, comma terzo, 821, comma terzo, e 832 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. . La sig.ra Sofi aveva chiesto, in sede di precisazioni delle conclusioni, che Vincenzo Maria Sofi fosse condannato al pagamento dei frutti civili, oltre agli interessi e alla rivalutazione, dalla data di apertura della prima delle successioni che avevano determinato l'acquisto della comproprietà dei beni in capo agli eredi. Tale doglianza appare, all'evidenza, fondata. Infatti, la Corte romana, dopo aver correttamente applicato i principi in materia di ripartizione dei frutti civili dei beni in comunione, per averne Vincenzo Maria Sofi goduto in via esclusiva in pendenza dello stato di indivisione, è incorsa nella violazione del diritto della sig.ra Sofi Domenica alla percezione dei frutti civili, relativi all'appartamento attribuitole in proprietà esclusiva dalla sentenza di divisione. In particolare, la Corte territoriale ha individuato, in capo al ricorrente principale, l'obbligo di restituzione dei frutti percepiti solo sino alla pubblicazione della sentenza di appello e non già, come chiesto in sede di gravame, "fino all'integrale soddisfo", violando, in tal modo, il diritto della sig.ra Sofi alla restituzione dei frutti civili maturati nel periodo 6 della legge sull'equo canone, è agevolmente ricavabile dall'osservazione che la Corte di intercorrente tra la data di deposito della sentenza d'appello e la data di effettivo conseguimento del possesso dell'appartamento, assegnatole in proprietà esclusiva e dalla stessa non goduti a seguito del mancato rilascio dell'immobile da parte del sig. Sofi Vincenzo Maria (sul diritto alla restituzione cfr. Cass. n. 6586 del 1997; Cass. n. 10296 del 1990; Cass. 4779 del 1988). 360, comma primo, n. 4 c.p.c., avendo la Corte d'Appello omesso di pronunciare sulla domanda di restituzione dei frutti civili, con riferimento al periodo successivo al deposito della sentenza di gravame. Anche tale doglianza appare, ad avviso del relatore, manifestamente fondata. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato è evidente: infatti, la ricorrente in via incidentale aveva espressamente richiesto, fin dalla sua prima difesa in grado di appello, la restituzione dei frutti civili fino al soddisfo, anche con riferimento a quelli maturati successivamente alla sentenza impugnata. La stessa domanda è stata poi ritualmente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Tuttavia, la legittima proposizione di detta richiesta, la Corte territoriale non si è pronunciata su tale domanda, avendo disposto esclusivamente la restituzione pro quota dei frutti civili maturati manente comunione, senza minimamente considerare il periodo successivo allo scioglimento della comunione. L'omessa pronuncia su un capo della domanda, costituisce un vizio denunciabile ai sensi dell'art. 112 c.p.c., come ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "il vizio di omessa pronuncia, in quanto incidente sulla sentenza pronunciata dal giudice del gravame, è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 4 c.p.c. e, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, integra un error in procedendo, in relazione al quale la Suprema Corte è anche giudice di fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti in causa e, in particolare, le 7 Con il secondo motivo ha denunciato la violazione dell'art. 112 c.p.c.in relazione all'art. istanze e le deduzioni delle parti" (cfr., ad es., Cass. n. 375 del 2005 e Cass. n. 978 del 2007). In definitiva, si riconferma che, nel caso di specie, sembrano sussistere i presupposti per la definizione del ricorso nelle forme del procedimento camerale ex. art. 380 bis c.p.c., potendosi ravvisare l'inammissibilità dei motivi del ricorso principale, in relazione all'ipotesi incidentale, avuto riguardo all'art. 375 n. 5 c.p.c. >>.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti
nella relazione di cui sopra, avverso la quale la memoria difensiva, depositata dal
ricorrente principale ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. (con la quale, peraltro, lo
stesso risulta aver rinunciato al primo motivo di ricorso proposto), non contrappone
ulteriori argomentazioni idonee a confutare la relazione stessa e senza che dalla
discussione orale dei difensori siano emersi nuovi elementi di valutazione;

rilevato, altresì, che la sopravvenuta costituzione nel presente giudizio di
legittimità delle altre intimate Sofi Maria, Sofi Giuseppa e Sofi Francesca, a mezzo
dell’Avv. Sofi Maria Vincenzo, deve ritenersi inammissibile sia perché realizzata a titolo di
intervento sia perché avvenuta con il conferimento della procura speciale al predetto
difensore apposta in calce ad una memoria e, quindi, al di fuori dei casi previsti dall’art. 83,
comma 3, c.p.c., risultando, invece, necessario — ai fini di una valida costituzione – il
rilascio della procura nelle forme stabilite dallo stesso art. 83, al comma 2;

ritenuto

che, pertanto, il ricorso principale (considerata anche

l’intervenuta rinuncia alla prima censura formulata) deve essere rigettato, mentre quello
incidentale deve essere accolto, con la conseguenza cassazione, in relazione a
quest’ultimo ricorso, della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione
della Corte di appello di Roma, che, oltre ad attenersi ai principi di diritto sopra enunciati,
provvederà anche sulle spese della presente fase di legittimità.
8

prevista dall’art. 375 n. 1 c.p.c., e la manifesta fondatezza dei motivi del ricorso

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza
impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase di

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 4 ottobre 2013.

legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

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