Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24884 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. NOVIK ADET Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28878 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui ufficio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

CAMST – Cooperativa Albergo Mensa Spettacolo e Turismo, Società

cooperativa a responsabilità limitata (già Coesis s.c.s.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dall’Avv. Luca Gastini, elettivamente domiciliata in Roma,

via Oslavia, n. 7, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Rombolà;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, n. 137/31/2013, depositata in data 21

ottobre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Coesis s.c.s. (ora CAMST – Cooperativa Albergo Mensa Spettacolo e Turismo, Società cooperativa a responsabilità limitata) una cartella di pagamento, relativa all’anno di imposta 2002, a titolo di Iva, Irap, Irpef, addizionali regionali e comunali, irrogando le conseguenti sanzioni; la società aveva proposto ricorso con il quale aveva riconosciuto la legittimità della pretesa relativa agli importi richiesti a titolo di Irap e Iva, contestandone la legittimità con riferimento all’importo richiesto a titolo di ritenuta alla fonte, addizionale regionale e comunale, avendo provveduto, a seguito del ricevimento dell’avviso bonario, a pagare la sola sanzione nella misura ridotta, come previsto dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, sicchè nessun ulteriore importo a titolo di sanzione poteva essere richiesto; la Commissione tributaria provinciale di Alessandria aveva accolto il ricorso; l’Agenzia delle entrate aveva quindi proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: non era contestato il fatto che la società aveva versato solo l’importo relativo alle sanzioni di cui all’avviso bonario, non anche le imposte e interessi; il versamento dell’importo dovuto a titolo di sanzione comportava la definitività dell’atto impositivo, con la conseguenza che era corretto il pagamento nella misura ridotta della sanzione; l’importo finale dovuto doveva riguardare unicamente quanto ancora da versare a titolo di imposta e interessi;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale affidato a due motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

in via preliminare, va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse della ricorrente, basata sulla considerazione che, avendo parte ricorrente censurato solo la parte della sentenza relativa agli effetti e alla qualificazione giuridica della imputazione di pagamento, sarebbe divenuto definitivo l’accertamento, compiuto dal giudice del gravame e non oggetto di specifica impugnazione, del fatto che l’importo corrisposto dalla società era da imputarsi al pagamento della sanzione (nella misura ridotta), sicchè l’eventuale accoglimento delle ragioni di censura proposte con i motivi di ricorso non avrebbe un effetto incidente su tale accertamento;

invero, la sentenza censurata ha precisato che la questione da definire aveva riguardo al fatto se, per potere ottenere il vantaggio della riduzione della sanzione, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, la società era tenuta al pagamento dell’intero importo richiesto con l’avviso bonario, ovvero se la stessa poteva versare la sanzione nella misura ridotta, con effetto estintivo della pretesa relativamente al pagamento della sanzione; in questo ambito, la questione della imputazione del pagamento a titolo di sanzione non ha costituito un passaggio autonomo della pronuncia censurata, ma la circostanza di fatto sulla cui base le parti del giudizio hanno fatto discendere conseguenze diverse: da un lato, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’imputazione del pagamento a titolo di sanzioni non poteva avere l’effetto di far venire meno la pretesa per la parte della sanzione non corrisposta, con la conseguenza che doveva procedersi ad una ripartizione proporzionale rispetto alle diverse voci costituenti il credito erariale, così come fatto valere con la cartella di pagamento; dall’altro, la società ha ritenuto, invece, che il solo fatto di avere provveduto al pagamento della sanzione nella misura ridotta comportava, di per sè, il venire meno della pretesa sull’intera sanzione;

sicchè, non può ragionarsi in termini di autonomia di due capi di decisione nell’ambito della stessa sentenza, in quanto alla circostanza della imputazione del pagamento la sentenza censurata ha fatto riferimento non al fine di definire un profilo di contrasto tra le parti, ma per decidere sulla idoneità del suddetto pagamento produrre gli effetti favorevoli alla contribuente di cui al D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2;

in sostanza, quel che parte ricorrente censura, con i motivi di ricorso in esame, è il passaggio della motivazione della sentenza, avente contenuto a sè sfavorevole, con il quale è stato ritenuto che, pur in mancanza di versamento dell’intero importo dovuto, di cui all’avviso bonario, la società aveva acquisito il diritto alla riduzione dell’importo della sanzione per il solo fatto di avere imputato il pagamento eseguito ad estinzione della sanzione, in misura ridotta;

è nei confronti di tale ragione della decisione, che ha costituto, come detto, il profilo centrale della sentenza censurata, che parte ricorrente ha fatto valere il proprio interesse alla proposizione dei motivi di ricorso, sicchè l’eccezione in esame non può trovare accoglimento;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 156c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), e art. 61, per avere pronunciato con una motivazione apparente;

il motivo è infondato;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016, n. 22232);

nella fattispecie, la sentenza censurata ha illustrato il percorso logico argomentativo seguito, in particolare ha illustrato le diverse posizioni difensive assunte dalle parti evidenziato che, in conseguenza del pagamento della sanzione nella misura ridotta l’atto di contestazione era divenuto definitivo, sicchè era corretto limitare la pretesa alle sole imposte dovute ed agli interessi, pertanto non può ragionarsi in termini di motivazione apparente;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 23 Cost., degli artt. 11,12 e 14 preleggi, degli artt. 1193 e 1194 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, del D.Lgs. n. 462 del 1997, artt. 2 e 3-bis, della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 147, della L. n. 212 del 2000, artt. 1,3,6 e 10;

preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del presente motivo di ricorso prospettata dalla controricorrente per carenza dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), nonchè per essersi parte ricorrente limitata a riportare la citazione testuale delle norme da applicarsi e l’interpretazione ritenuta più idonea alla propria difesa, senza tuttavia indicare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza che sarebbero in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie;

in realtà, con il motivo di ricorso in esame si è fornita una lettura interpretativa del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, diversa da quella seguita dal giudice del gravame, con specifico riferimento ai presupposti per la riduzione ad un terzo della sanzione in caso di ricevimento dell’avviso bonario, in particolare si è evidenziato che solo dal pagamento integrale delle somme indicate nel suddetto articolo (maggiori imposte, interessi, sanzioni nella misura ridotta) sarebbe potuto discendere il vantaggio di pagare la sanzione nella misura;

il motivo di ricorso in esame, pertanto, risulta avere chiaramente evidenziato quale diversa interpretazione doveva essere data alla previsione del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, ponendo peraltro l’attenzione sulla non rilevanza, ai fini interpretativi, delle disposizioni dello Statuto del contribuente, genericamente citato in sentenza, prospettando, in tal modo, la non correttezza della diversa interpretazione seguita dal giudice del gravame;

il motivo è fondato;

il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, prevede, al comma 1, che “Le somme che, a seguito dei controlli automatici, ovvero dei controlli eseguiti dagli uffici, effettuati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis e del D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 54-bis, risultano dovute a titolo d’imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati, nonchè di interessi e di sanzioni per ritardato o omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo”; inoltre, al comma 2 prevede che “L’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute con le modalità indicate nel D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 19, concernente le modalità di versamento mediante delega, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3 dei predetti artt. 36-bis e 54-bis, ovvero della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta. In tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo e gli interessi sono dovuti fino all’ultimo giorno del mese antecedente a quello dell’elaborazione della comunicazione”;

la previsione normativa in esame, dunque, consente al contribuente di provvedere al pagamento della sanzione nella misura ridotta ad un terzo qualora corrisponda le somme dovute, le quali, secondo quanto precisato nel comma 1 del medesimo articolo, consistono negli importi che lo stesso è tenuto a versare “a titolo d’imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati, nonchè di interessi e di sanzioni per ritardato o omesso versamento”;

sicchè, differentemente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, non è sufficiente il versamento della sola sanzione, peraltro nella misura ridotta, per ritenere che sia venuta meno la pretesa relativa alla sanzione: il vantaggio della riduzione a un terzo della sanzione, invero, può essere riconosciuto solo ove il contribuente provveda al pagamento, entro il termine di trenta giorni, dell’intera pretesa fatta valere con la comunicazione;

sul punto, in particolare, si è già espressa questa Corte (Cass. civ., 6 giugno 2018, n. 14603) che ha affermato che “il beneficio della riduzione delle sanzioni al dieci per cento sull’imposta da versare è previsto dalla legge unicamente nel caso in cui il pagamento non effettuato venga eseguito nella sua interezza e non anche allorquando il contribuente effettui un pagamento parziale”;

secondo questa Corte, invero, “l’interpretazione restrittiva si impone sia perchè nulla è specificamente previsto dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 9 per il caso di pagamento parziale e, trattandosi di disposizione eccezionale (prevedendo un’agevolazione volta ad attenuare l’effetto punitivo della sanzione comminata), non può estendersene l’effetto oltre ai casi da essa specificamente regolati, sia in ragione dell’interesse dell’Erario di ottenere il puntuale conseguimento di quanto dovuto e non pagato entro un termine ragionevole a fronte di una congrua riduzione della sanzione”;

nè può seguirsi l’argomento utilizzato dalla controricorrente, secondo cui l’espressione “L’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte” contenuta nella norma, dovrebbe comportare che il contribuente possa decidere di definire una parte della pretesa contributiva;

in realtà, la suddetta espressione attiene all’importo che deve essere iscritto a ruolo e, sotto tale profilo, si tiene conto del comportamento del contribuente entro i successivi trenta giorni dalla comunicazione, nel senso che, ove questi provveda ad un parziale pagamento, si procederà solo in parte all’iscrizione a ruolo, il che, tuttavia, non esclude che la sanzione debba essere ridotta solo in caso di pagamento dell’intero importo dovuto;

nè può assumere rilevanza il riferimento al D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 3-bis, che ha previsto la possibilità della rateizzazione di quanto dovuto;

in primo luogo, va osservato che, secondo la suddetta previsione, “Le somme dovute ai sensi dell’art. 2, comma 2, e dell’art. 3, comma 1, possono essere versate in un numero massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila Euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo. 2. L’importo della prima rata deve essere versato entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Sull’importo delle rate successive sono dovuti gli interessi, calcolati dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della comunicazione. Le rate trimestrali nelle quali il pagamento è dilazionato scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre. 3. In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15-ter”;

in sostanza, è vero che la previsione normativa in esame ha consentito il pagamento rateale delle somme richieste con la comunicazione, ma è anche previsto che è necessario il pagamento della prima rata entro i successivi trenta giorni e che, in caso di mancato pagamento, sia di questa prima rata, che dei successivi pagamenti rateali, si determina la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena;

sicchè, la possibilità di ottenere una dilazione rateale dei pagamenti non implica che il contribuente possa non pagare gli importi, seppure nella misura prevista secondo le diverse scadenze, e limitarsi al pagamento della sola sanzione nella misura ridotta, poichè, in tal modo, verrebbe ad essere applicata la previsione di favore nonostante il mancato pagamento di quanto dovuto, il che contrasta con la finalità della disciplina in esame che consiste nella riduzione della sanzione se l’intero importo, che avrebbe dovuto essere iscritto a ruolo, è stato versato per intero nei termini previsti;

peraltro, non risulta in alcun modo che sussistevano i presupposti per l’applicazione della previsione di cui all’art. 3-bis, in esame, e cioè il fatto che la contribuente aveva presentato istanza di rateizzazione;

in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, infondato il primo, con conseguente cassazione della sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con rigetto del ricorso originario;

con riferimento alle spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite dei giudizi di merito, e, con riferimento al presente giudizio, la controricorrente va condannata al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente;

compensa le spese di lite dei giudizi di merito, condanna la controricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della ricorrente, che si liquidano in complessive Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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