Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24882 del 20/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/10/2017, (ud. 04/04/2017, dep.20/10/2017),  n. 24882

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11548/2016 proposto da:

S.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE ANGELICO 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO D’AMATI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI NICOLA

D’AMATI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IL MATTINO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCELLO DE LUCA TAMAJO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

nonchè da: Ricorso successivo senza numero di R.G.:

S.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE ANGELICO 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO D’AMATI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI NICOLA

D’AMATI, giusta delega in atti;

– ricorrente successivo –

contro

IL MATTINO S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCELLO DE LUCA TAMAJO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 41/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/06/2015, R. G. N. 3803/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI D’AMATI;

udito l’Avvocato ANTONIO ARMENTANO per delega verbale DE LUCA TAMAJO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 41/2015, depositata l’11 giugno 2015, pronunciando in sede di rinvio, a seguito di cassazione – disposta con sent. n. 10732/2011 – di precedente sentenza della Corte d’appello di Campobasso, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame proposto da S.M. nei confronti della sentenza del Pretore di Napoli che ne aveva respinto il ricorso per l’impugnazione del licenziamento intimatogli in data 27/1/1997, in relazione allo stato di crisi aziendale, dalla S.p.A. EDI.ME., editrice del quotidiano “Il Mattino”, di cui il ricorrente era stato redattore. La Corte, ricondotto il recesso datoriale alla fattispecie legale di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3, anzichè ad un’ipotesi di licenziamento collettivo (configurata, invece, nella sentenza cassata), osservava come le ragioni indicate dalla società, e pertanto lo stato di crisi aziendale, con la conseguente necessità di contenimento dei costi, trovassero dimostrazione nel decreto del Ministero del Lavoro che, per il periodo dal 28/1/1995 al 27/1/1997, aveva concesso il trattamento di CIGS e negli accordi successivi che erano intervenuti con il comitato di redazione del quotidiano; nè in senso contrario, rispetto ad una soppressione del posto di lavoro giustificata dal processo in corso di ampia e complessiva riorganizzazione aziendale, poteva rilevare il fatto che la società avesse fatto ricorso a lavoro straordinario e a collaborazioni esterne, il primo essendo insito nel carattere non programmabile a priori del lavoro giornalistico e le seconde rappresentando, per esigenze di elasticità e di contenimento dei costi, una scelta discrezionale del datore di lavoro.

Quanto alla possibilità di una diversa collocazione aziendale, la Corte rilevava come le relative deduzioni fossero inidonee a soddisfare l’onere di allegazione posto a carico del lavoratore; in particolare, osservava, a tale riguardo, che la possibilità di una ricollocazione non poteva essere ravvisata nel posto dei giornalisti dimissionari o di quello deceduto, posto che nulla era stato dedotto dal ricorrente circa le mansioni dai medesimi svolte e la compatibilità di queste con la propria professionalità e che, d’altra parte, le dimissioni erano state rassegnate tutte prima della verifica di cui al verbale di accordo del dicembre 1996.

Con riferimento, infine, alla dedotta violazione dell’art. 34 del contratto collettivo dei giornalisti, la Corte rilevava preliminarmente il difetto di specificità dell’appello e, nel merito, comunque rilevava che il parere del comitato di redazione era obbligatorio esclusivamente nel caso di mutamento di mansioni idonee a dare luogo a risoluzione del rapporto da parte del giornalista.

Per la cassazione di detta sentenza il S. ha proposto due distinti ricorsi, peraltro di identico contenuto, affidati a tre motivi; ad entrambi ha resistito I Mattino S.p.A. (già EDI.ME. S.p.A.) con controricorso.

Il ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve, in primo luogo, disporsi ex art. 335 cod. proc. civ. la riunione dei ricorsi, di identico contenuto, proposti dal lavoratore nei confronti della medesima sentenza della Corte di appello di Napoli n. 41/2015.

Con il primo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione di varie norme di legge (art. 111 Cost.; artt. 115,116,132 e 384 cod. proc. civ.; art. 118 disp. att. cod. proc. civ.; artt. 1175,1345,1375 e 2697 cod. civ.; L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5; L. n. 300 del 1970, art. 18), nonchè motivazione apparente e nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 4), per avere la Corte di merito – qualificata la fattispecie come licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo – considerato sufficiente, ai fini della giustificazione del recesso, la verifica della situazione di crisi aziendale e della necessità di un contenimento dei costi attraverso la contrazione del numero dei giornalisti occupati, senza peraltro accertare, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, se il posto occupato dal ricorrente fosse stato realmente soppresso e se non sussistesse la possibilità di impiegare altrove il lavoratore licenziato.

Con il secondo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge (art. 111 Cost.; artt. 115,116 e 132 cod. proc. civ.; art. 118 disp. att. cod. proc. civ.; artt. 1352 e 1362 cod. civ.) e di fonte collettiva (art. 34 CNLG), nonchè motivazione apparente e nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4), per avere la Corte erroneamente ritenuto generico, e quindi inammissibile, il motivo di appello relativo all’inefficacia del licenziamento in quanto non preceduto dall’informazione e consultazione del comitato di redazione e comunque per avere affermato, con violazione delle regole di ermeneutica, che il contratto collettivo non prevede che, in occasione dei licenziamenti, sia obbligatorio richiedere il parere preventivo di tale comitato.

Con il terzo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge (art. 111 Cost.; artt. 115,116 e 132 cod. proc. civ.; art. 118 disp. att. cod. proc. civ.; L. n. 604 del 1966, artt. 3,5 e 6; L. n. 300 del 1970, art. 18), nonchè motivazione apparente e nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4), per avere la Corte posto a carico del lavoratore, anzichè del datore di lavoro, la prova specifica della impossibilità di una sua diversa ricollocazione e altresì per non avere considerato che il decesso di un giornalista, avvenuto nel gennaio 1997 (e cioè in epoca successiva alla verifica degli esuberi consolidata nel verbale di accordo in data 18/12/1996), lasciava libero un ulteriore posto in redazione per il ricorrente.

E’ fondato, e deve essere accolto, il primo motivo di ricorso.

La Corte territoriale, nel ricondurre il recesso intimato al ricorrente con lettera del 27/1/1997 alla categoria del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, L. 15 luglio 1966, n. 604, ex art. 3, seconda parte, ha, in primo luogo, osservato come lo stato di crisi, richiamato nella comunicazione del datore di lavoro, dovesse ritenersi, insieme alla conseguente necessità di un contenimento dei costi e di una riduzione del numero dei giornalisti occupati, adeguatamente comprovato dal decreto in data 9/2/1995 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che aveva autorizzato (per il periodo dal 28/1/1995 al 27/1/1997) il trattamento di CIGS.

La Corte territoriale ha, quindi, rilevato come dovesse ritenersi verificato nel caso di specie il “presupposto oggettivo” di un licenziamento ex art. 3 L. cit., e cioè la “sussistenza di esigenze tecnico organizzative e produttive”, e come “a fronte dell’accertata situazione di crisi economica dell’azienda, il ridimensionamento del numero dei giornalisti occupati, ed in particolare la scelta aziendale di privarsi della professionalità del ricorrente” risultassero “del tutto coerenti e ragionevoli” (cfr. sentenza, p. 12); con la precisazione che “la soppressione del posto di lavoro”, la cui necessità il ricorrente aveva sottolineato ai fini di un legittimo licenziamento per g.m.o., “doveva essere necessariamente inserita in un contesto di riorganizzazione aziendale complessivo e finalizzato ad arginare le perdite e ridurre i costi, quello appunto fotografato negli accordi in atti” (p. 13).

Peraltro, la fattispecie normativa astratta, di cui all’art. 3, seconda parte, L. n. 604, richiede: (a) che la posizione di lavoro del destinatario del provvedimento datoriale risulti venuta meno, per effetto della soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui il dipendente era stato addetto, non essendo, tuttavia, necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo, che vengano soppresse anche tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, le quali ben possono “essere solo diversamente ripartite ed attribuite” all’interno del nuovo e diverso assetto organizzativo (Cass. n. 21121/2004 e successive numerose conformi); (b) che la soppressione del posto di lavoro sia riferibile, sul piano causale, a progetti o scelte datoriali – non sindacabili in sede giudiziale quanto ai profili di congruità e opportunità, purchè connotati da effettività e assenza di simulazione (Cass. n. 17887/2007 e successive numerose conformi) diretti a incidere sulla struttura e sulla organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, senza che il datore debba necessariamente provare anche un andamento economico negativo dell’azienda, “essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa” (Cass. 25201/2016; conforme Cass. n. 10699/2017); (c) che non sia possibile una diversa collocazione del lavoratore all’interno dell’impresa ristrutturata o rimodulata nei suoi aspetti tecnico-organizzativi, essendo il relativo onere probatorio – al pari di quello avente ad oggetto gli elementi (a) e (b) sopra richiamati – a carico del datore di lavoro (che può assolverlo anche mediante il ricorso a presunzioni: Cass. 3040/2011), escluso peraltro che “sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili” (Cass. n. 5592/2016; conf. Cass. 12101/2016): elemento, questo dell’impossibilità di reimpiego in altre posizioni di lavoro e/o con diverse mansioni, che, se pure normativamente inespresso nella formulazione testuale della L. n. 604 del 1966, art. 3, trova la sua giustificazione sia sul piano dei valori, nella prospettiva del licenziamento come extrema ratio all’interno di un ordinamento che tutela il lavoro già a livello costituzionale, limitando, per converso, l’iniziativa economica privata, ove il suo esercizio risulti in contrasto con la dignità umana (art. 41 Cost., comma 2); sia come riflesso logico del carattere effettivo e non pretestuoso che deve accompagnare la scelta tecnico-organizzativa del datore di lavoro, la quale, siccome univocamente diretta al conseguimento delle ragioni proprie dell’impresa, non può riconoscere il condizionamento di finalità espulsive diversamente legate alla persona del lavoratore.

A tali principi non si è conformata la sentenza impugnata, avendo la Corte di merito – sulla base di un’erronea equazione tra stato di crisi aziendale e giustificazione del licenziamento – omesso di verificare in concreto quale fosse il posto di lavoro occupato dal ricorrente e se tale posto di lavoro dovesse ritenersi effettivamente e specificamente soppresso in conseguenza dell’attuazione di programmi diretti alla riorganizzazione e al risanamento dell’impresa, trattandosi di elementi qualificanti la fattispecie legale, di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3, e non superabili, in una corretta interpretazione della norma, attraverso il riferimento alla scelta dimensionale e alla sua ragionevolezza.

Il secondo e il terzo motivo restano assorbiti.

L’impugnata sentenza della Corte di appello di Napoli n. 41/2015 deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte di appello in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, ferma la già operata qualificazione del recesso come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017

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