Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24882 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/10/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 04/10/2019), n.24882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26285/2018 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PAVAROTTI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FIERA ROMA S.R.L., in CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente ROMA, VIA DELLE TRE

MADONNE 8, presso lo studio degli avvocati DOMENICO DE FEO e MARCO

MARAZZA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3014/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/07/2018 r.g.n. 4437/2017;

Il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento del reclamo proposto da Fiera di Roma s.r.l. in concordato preventivo ed in parziale riforma della sentenza resa in sede di opposizione, ha dichiarato risolto, alla data del 23.6.2015, il rapporto tra Fiera di Roma s.r.l. e C.R. e condannato la società datrice di lavoro al pagamento in favore della C. di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori. Ha respinto il reclamo proposto da C.R. avente ad oggetto il regolamento delle spese di lite del giudizio di opposizione. Ha compensato le spese di lite nel rapporto processuale fra Fiera di Roma s.r.l. e Investimenti s.p.a.; ha compensato nella misura di 1/2 le spese di lite nel rapporto processuale fra Fiera di Roma s.r.l. e C.R. ponendo a carico di quest’ultima la residua metà; ha condannato C.R. alla rifusione integrale delle spese di lite in relazione al rapporto processuale con Investimenti s.p.a.;

1.1. che l’accoglimento del reclamo di Fiera di Roma s.r.l. è stato fondato sulle seguenti considerazioni: a) la decisione di limitare la scelta dei lavoratori di licenziare ad uno specifico settore o ad una singola unità produttiva è in linea teorica legittima ove giustificata da ragioni tecnico produttive, salva la verifica di fungibilità della professionalità del lavoratore addetto all’ufficio soppresso con altre funzioni rimaste in azienda; b) nel caso di specie, come statuito dai giudici che in sede sommaria e in sede di opposizione si erano occupati della questione e come emerso dalla istruttoria espletata, le mansioni della C., addetta al soppresso Ufficio esteri, erano risultate tendenzialmente infungibili con quelle di altre figure professionali rimaste in azienda posto che la C. si era sempre occupata di attività di promozione e marketing verso l’esterno; c) è fondato il rilievo della illegittimità del licenziamento, per vizio formale della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, in quanto intervenuta oltre il prescritto termine di sette giorni dalla comunicazione dei recessi ai lavoratori per l’invio all’ufficio Regionale del lavoro e della massima occupazione dell’elenco dei lavoratori licenziati con i criteri applicati; d) tale vizio comporta l’applicazione della tutela obbligatoria (Cass. 19320 del 2016);

1.2. che il rigetto del reclamo di C.R. è stato fondato sulle considerazione che la statuizione di condanna alla rifusione delle spese di lite in favore di Investimenti s.p.a. appariva giustificata, anche alla luce della struttura bifasica del procedimento L. n. 92 del 2012, ex art. 1 commi 48 e segg., dal fatto che la necessità di difesa della detta società nel giudizio di opposizione, era, comunque, collegabile all’originaria iniziativa impugnatoria della C. spiegata anche nei confronti della Investimentii s.p.a.;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.R. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

3.che il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

4. che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione degli artt. 329,336 e 346 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c., per omesso rilievo del giudicato interno, “previa, se del caso, declaratoria di parziale inammissibilità del reclamo di Fiera di Roma s.r.l. per violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c.”. Premette che la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione aveva confermato la illegittimità del licenziamento sulla base di due autonome rationes decidendi rappresentate dal difetto di allegazione da parte della società dei motivi che giustificavano la mancata estensione della valutazione dei dipendenti da licenziare all’intero complesso aziendale e non ai soli settori interessati dagli esuberi e dal difetto di allegazione e prova della dedotta infungibilità della lavoratrice essendosi Fiera di Roma s.r.l. limitata a richiamare i vari compiti dalla stessa espletati senza ricostruirne il bagaglio professionale. La società datrice non aveva contestato, nè in fatto nè in diritto la prima ratio decidendi. In ogni caso, il secondo motivo di reclamo, ove ritenuto inteso a contestare tale ratio decidendi era inammissibile in quanto privo di specificità;

2. che con il secondo motivo, svolto in subordine al primo, deduce, deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o, comunque, falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, censurando la sentenza impugnata per avere dimostrato di ritenere scontata la sussistenza di esigenze idonee a giustificare la restrizione della platea dei lavoratori licenziandi con malgoverno dei principi relativi alla distribuzione dell’onere della prova facente capo al datore di lavoro;

3. che con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o, comunque, falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 comma 1, anche in relazione all’art. 4, comma 3, della medesima legge; per l’effetto, violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, per mancata applicazione del regime sanzionatorio di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4. Deduce, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Premesso che il giudice del reclamo neppure si era occupato della questione relativa alla mancata allegazione e prova delle ragioni giustificatrici della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare, lamenta l’omessa considerazione di documenti decisivi rappresentati dalla comunicazione di apertura della procedura di mobilità ex art. 4, comma 3 e dalla successiva comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4 comma 9. Assume, in sintesi, il difetto, nella lettera di avvio della procedura di mobilità, della indicazione delle ragioni che giustificavano la riduzione della platea dei lavoratori da licenziare, come del resto ammesso anche dalla società datrice nella memoria difensiva della fase sommaria, ulteriormente evidenziando che la illustrazione, nella lettera di avvio della procedura, delle motivazioni che giustificavano il ridimensionamento dell’attività conduceva alla necessità di prendere in considerazione tutti gli addetti al complesso industriale e non solo quelli di alcuni settori;

4. che con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o, comunque, falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, anche in relazione all’art. 24, comma 1, della medesima legge. Deduce, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Censura la sentenza impugnata per non avere considerato che anche la giurisprudenza secondo la quale la platea dei licenziandi può essere ristretta a singole unità produttive o articolazioni aziendali, specifica che deve comunque trattarsi di strutture aziendali che si caratterizzano per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed amministrativa nella quale si esaurisce per intero il ciclo relativo ad una frazione o a un momento essenziale dell’attività, caratteristiche queste non rinvenibili nell’ufficio soppresso al quale era addetta la C.;

5. che con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o, comunque, falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, anche in relazione all’art. 4, comma 3, della medesima legge; per l’effetto, mancata applicazione del regime sanzionatorio di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 e successive modificazioni e integrazioni. Deduce, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Richiamato il principio giurisprudenziale secondo il quale la scelta dei lavoratori da porre in mobilità non può essere limitata ai soli dipendenti addetti ad un reparto o settore se essi siano idonei ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi addetti ad altri reparti, sostiene che la “infungibilità” deve essere verificata non con esclusivo riferimento alla specifica attività alla quale il lavoratore era stato formalmente adibito all’interno della organizzazione aziendale ma tenendo conto dei compiti che rientravano nel suo bagaglio professionale il cui svolgimento poteva essergli richiesto ai sensi dell’art. 2013 c.c.;

5.1. che con riguardo all’omesso esame di fatti decisivi assume che il giudice di appello aveva trascurato la verifica sulla idoneità della lavoratrice ad occuparsi di eventi promozionali attinenti a qualsiasi tipo di evento fieristico e neppure aveva considerato il profilo commerciale dell’attività della ricorrente;

6. che il primo motivo di ricorso è privo di specificità in quanto la deduzione di violazione del giudicato (interno) non è sorretta, come prescritto, dalla trascrizione degli atti di pertinenza e cioè la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione e l’atto di reclamo con il quale la società datrice la aveva impugnata. Tanto è sufficiente a determinare la inammissibilità del motivo in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, la S.C. non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa, purchè il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la statuizione, ma – per il principio di autosufficienza – indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile “ex officio”. (Cass. 7499 del 2019);

7. che il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, non individua le specifiche affermazioni della sentenza impugnata in contrasto con la regola dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., come prescritto (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. 3010 del 2012, Cass. 24756 del 2007). Deve, inoltre rilevarsi che una questione di violazione dell’art. 2697 c.c., può porsi nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova, abbia individuato erroneamente la parte onerata della prova, vizio non ravvisabile nella sentenza impugnata; l’accertamento di fatto relativo alla infungibilità della professionalità della lavoratrice è frutto di accertamento di fatto fondato sulla valutazione delle risultanze istruttorie e non sull’applicazione della regola dell’onere probatorio;

8. che il terzo motivo di ricorso è fondato in quanto, come chiarito da questa Corte, la legittimità della riduzione della platea dei lavoratori da licenziare richiede in primo luogo che le ragioni fondanti tale scelta siano rappresentate nella lettera di avvio della procedura di mobilità e ciò anche al fine di garantire l’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali destinatarie della comunicazioni, salvo ulteriore verifica, comunque, della loro pertinenza ed inerenza alle ragioni alla base della procedura di mobilità (in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più limitato rispetto al “complesso aziendale” cui fa riferimento la L. n. 223 del 1991, art. 5, ma ciò può avvenire non in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro bensì esclusivamente se la predeterminazione del campo di selezione (reparto, stabilimento ecc., e/o singole lavorazioni o settori produttivi) sia giustificata dalle esigenze tecnico-produttive e organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale (Cass. n. 203 del 2015, Cass. n. 22825 del 2009, Cass. n. 8474 del 2005);

8.1. che, infatti, la sentenza impugnata ha omesso di soffermarsi su questo fondamentale elemento destinato a condizionare la validità della intrapresa procedura sotto il profilo della corretta selezione dei dipendenti da licenziare e tanto è sufficiente a determinare la cassazione in parte qua con rinvio della decisione;

9. che l’accoglimento del terzo motivo assorbe l’esame del quarto motivo;

10 che il quinto motivo è fondato in quanto la “fungibilità”, nella comparazione dei lavoratori da licenziare, implica la necessità di ricostruzione del complessivo bagaglio di esperienza e conoscenza del lavoratore onde verificare la effettiva sussistenza di professionalità omogenee da mettere a confronto; la relativa esclusione non può, pertanto, come avvenuto nel caso di specie, essere ancorata, peraltro solo “tendenzialmente”, all’esclusivo riferimento ai compiti svolti in concreto dalla lavoratrice, occorrendo una più complessiva valutazione della sua professionalità che tenga conto delle esperienze pregresse, della formazione, del bagaglio di conoscenze acquisito;

11. che al giudice del rinvio, che si indica nella Corte d’appello di Roma in diversa composizione, è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo e il quinto, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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