Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24881 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 06/11/2020), n.24881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28556/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Edilizia di S.T. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro

tempore, S.T. e S.R., elettivamente domiciliati in

Roma, via Crescenzio n. 91, presso lo studio dell’avv. Lucisano

Claudio, che li rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sardegna n. 283/01/14, depositata il 10 settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2020

dal Consigliere Nonno Giacomo Maria.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con la sentenza n. 283/01/14 del 10/09/2014, la Commissione tributaria regionale della Sardegna (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto da Edilizia di S.T. s.a.s. nonchè dai soci S.T. e S.R. (di seguito, anche collettivamente, solo S.) avverso la sentenza n. 185/05/11 della Commissione tributaria provinciale di Cagliari (di seguito CTP), che aveva rigettato il ricorso proposto da società contribuente e soci nei confronti dell’avviso di accertamento per IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2005, notificato alla società, e degli avvisi si accertamento per IRPEF relativa al medesimo anno d’imposta, avvisi notificati ai soci ai fini dell’imputazione del reddito da partecipazione;

1.1. come si evince anche dalla sentenza impugnata, gli atti impositivi erano stati emessi a seguito di accertamento analitico-induttivo operato nei confronti della società contribuente e concernente le cessioni di cinque fabbricati a prezzo asseritamente inferiore a quello reale;

1.2. la CTR motivava l’accoglimento dell’appello di S. osservando che “le presunzioni su cui si fonda l’accertamento di maggiori ricavi non siano assistite dai requisiti di precisione gravità e concordanza, in ragione del fatto che il contribuente, assolvendo l’onere su di lui incombente, non si è limitato a fornire, come spesso accade, generiche giustificazioni (quali, ad esempio, una crisi del settore) in riscontro alle argomentazioni addotte dall’Ufficio a sostegno dell’accertamento, ma ha compiutamente eccepito e documentato, con riferimento a ciascun elemento addotto dall’Ufficio quale indizio dei ricavi occultati, fatti e circostanze idonei a contrastare la contestazione del maggior reddito accertato”;

2. l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, e depositava memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

3. S. resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. con allegata sentenza penale;

4. in data 9 luglio 2020 si è tenuta l’adunanza camerale nell’aula d’udienza della sezione V civile del palazzo della Corte di Cassazione alla presenza dei sig.ri magistrati Bisogni Giacinto, presidente, Manzon Enrico, consigliere, Saija Salvatore, consigliere, e con la presenza in collegamento remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams individuata con decreto dirigenziale adottato ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, conv. con modif. nella L. 24 aprile 2020 n. 27 dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e pubblicato sul portale dei servizi telematici in data 20 marzo 2020 – dei sig.ri magistrati Nonno Giacomo Maria, consigliere, e Putaturo Donati Viscido Di Nocera Maria Giulia consigliere, ai quali è stata assicurata la disponibilità degli atti attraverso la medesima piattaforma.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la CTR avrebbe omesso di considerare la circostanza che il computo metrico estimativo su cui si basa la motivazione relativa all’antieconomicità della gestione sia stato contestato dall’Ufficio e, comunque, avrebbe reso motivazione apparente sul punto;

2. con il secondo ed il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, evidenziando che la sentenza impugnata non indicherebbe quali elementi di prova abbia dedotto S. a fronte delle presunzioni fornite dall’Ufficio in ordine all’omogeneità delle varie unità immobiliari oggetto di cessione e in ordine alla congruità del prezzo delle stesse, ovvero indicherebbe a supporto degli elementi indiziari assolutamente inidonei, con ciò fornendo motivazione apparente;

3. con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che, a fronte di elementi indiziari costituiti da una perizia redatta da un Istituto di credito e dalla concessione di mutui per valore superiore al prezzo di vendita, la CTR non avrebbe addotto elementi idonei a superarle;

4. le censure, che possono essere unitariamente esaminate in ragione della loro stretta connessione, vanno disattese, indipendentemente da qualsiasi considerazione della sentenza penale prodotta solo nel presente giudizio di legittimità da parte controricorrente e, peraltro, in copia priva di qualsivoglia attestazione di conformità all’originale e passaggio in giudicato;

4.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss. e art. 2697 c.c., comma 2″ (Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010);

4.2. la sentenza impugnata, al di là di qualche imperfezione terminologica, si è pienamente conformata al superiore principio di diritto: ha valutato nel merito le presunzioni poste dall’Ufficio a sostegno dell’avviso di accertamento, le ha confrontate con le prove fornite da S. e ha ritenuto conseguentemente assolto l’onere della prova gravante sugli appellanti;

4.2.1. non è, dunque, la motivazione posta a fondamento degli avvisi di accertamento ad essere stata considerata illegittima, ma il merito dei medesimi avvisi; e ciò all’esito di una comparazione tra gli elementi forniti dall’Amministrazione finanziaria e quelli contrapposti dai contribuenti;

4.3. la motivazione della sentenza impugnata non è affatto apparente, come evidenziato dalla difesa erariale, avendo la CTR unitariamente apprezzato i numerosi elementi indiziari forniti dalle parti ed essendosi quindi formata il proprio convincimento con valutazione logica e non contraddittoria, idonea a evidenzia con chiarezza la ratio decidendi (cfr. Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; Cass. n. 13977 del 23/05/2019);

4.4. trattasi di valutazione di merito, congruamente motivata con riferimento agli elementi presi in considerazione, cui la ricorrente tende sostanzialmente a contrapporre – sotto la veste di censure di diritto ovvero procedimentali – una diversa ed inammissibile valutazione di fatto (cfr. Cass. n. 29404 del 07/12/2017);

4.5. il riferimento ad elementi di prova erroneamente valutati o trascurati dal giudice di appello integra essenzialmente una censura motivazionale che non solo non è stata sollevata, ma che non è nemmeno ammissibile, atteso che, secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis), è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);

5. in conclusione, il ricorso va rigettato e l’Agenzia delle entrate va condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore di lite dichiarato di Euro 332.989,00;

5.1. il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del del medesimo art. 13, comma 1-bis, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del quindici per cento e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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