Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24880 del 24/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 24/11/2011), n.24880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 22044-2009 proposto da:

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE PARIOLI 124, presso lo studio dell’avvocato MELCHIONNA

PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato GAGLIARDI VINCENZO G.,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/6/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di BARI dell’11.4.08, depositata l’8/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO VALITUTTI.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. IMMACOLATA

ZENO.

Fatto

LA CORTE

– rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Con sentenza n. 62/6/08 la CTR della Puglia rigettava l’appello proposto dall’odierno ricorrente avverso la decisione di prime cure, con la quale era stato disatteso il ricorso proposto dal B. nei confronti dei due avvisi di accertamento, riuniti dalla CTP, relativi all’IRPEF ed ILOR per gli anni 1989 e 1990. Il giudice di appello riteneva, invero, sussistente la plusvalenza – accertata dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1, lett. d) e comma 3 – derivante dal passaggio di immobili, strumentali all’esercizio di un’impresa commerciale individuale, dal patrimonio della ditta a quello della persona fisica titolare, e reputava del tutto infondata la censura – a suo dire mossa dal contribuente agli atti impositivi – relativa alla mancata tenuta delle scritture ausiliarie di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14.

Avverso la sentenza n. 62/6/08 ha proposto ricorso per cassazione B.G. articolando due motivi, con i quali deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 911 del 1986, art. 54, comma 1, lett. d) e comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione, all’art. 360 c.p.c., n. 4. L’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.

Il primo motivo di ricorso, a parere del relatore, si palesa del tutto inammissibile.

La società ricorrente deduce invero, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1, lett. d) e comma 3 che disciplina le condizioni alle quali le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito ed i criteri per la valutazione di tali plusvalenze, nell’ipotesi in cui – come nel caso concreto – si tratti di immobili destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. In siffatta ipotesi, invero, “la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni”. E tuttavia, la ricorrente non si duole dell’errata applicazione di tale norma al caso di specie, e neppure dell’interpretazione, in ipotesi incongrua, di tali norme da parte del giudice di appello, bensì del fatto che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che il costo dei beni in contestazione – trasferiti dall’impresa al suo titolare – fosse pari a zero, dovendo presumersi, in assenza delle relative fatture di acquisto, che detti beni fossero stati costruiti direttamente dall’impresa B. (che svolgeva attività edile) in economia. E, di conseguenza, del fatto che la CTR avesse ritenuto condivisibile l’assunto dell’Ufficio secondo cui non poteva parlarsi, nella specie, di costi di ammortamento da dedurre dai valore normale dei beni.

Ebbene, è del tutto evidente – a parere del relatore – che la censura ripropone una rivisitazione del fatto, concernente il computo del valore della plusvalenza, inammissibile in questa sede, trattandosi di questione che involge accertamenti di merito estranei alla valutazione di legittimità demandata alla Corte di Cassazione.

Deve ritenersi, invece, manifestamente fondato, ad avviso del relatore, il secondo motivo di ricorso, concernente il dedotto vizio di omessa pronuncia sui motivi di appello. Ed invero, l’impugnata sentenza incentra la seconda parte del decisum sulla mancata tenuta della contabilità di magazzino, operando una distinzione – fondata sulla previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, lett. c) e d) – tra scritture ausiliarie obbligatorie e scritture il cui obbligo di tenuta cessa in presenza di determinate condizioni legate al volume di affari dell’impresa.

Senonchè – come si desume dal l’indicazione dei motivi di ricorso e di gravame contenuta nella stessa sentenza di appello – il contribuente non aveva sollevato affatto tale censura, essendosi il medesimo, per contro, lamentato del fatto che l’Ufficio – nel rideterminare il reddito di impresa per l’anno 1989 – non aveva tenuto in alcun conto che nell’anno in questione gli acquisti di merce erano stati irrisori, e che la ditta aveva, in sostanza, proceduto al solo realizzo parziale delle giacenze di magazzino a prezzo di svendita, nella previsione di un’imminente cessazione dell’attività.

E tuttavia, di tale motivo di doglianza non v’è menzione alcuna nel l’impugnata sentenza.

Di conseguenza, il ricorso può essere deciso in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1. – che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti; -che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie.

Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, riaffermato il principio di diritto sopra richiamato, il ricorso va accolto in relazione al secondo motivo, rigettato il primo, la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione Tributaria della Puglia, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi al detto principio, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione;

rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della CTR della Puglia, che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2011

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