Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2488 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 31/01/2017, (ud. 04/10/2016, dep.31/01/2017),  n. 2488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11026-2012 proposto da:

G.G.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GREGORIO VII 466, presso l’avvocato MARINA FLOCCO, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI PIANFEI E ROCCA DE’ BALDI SOC. COOP.

A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUNONE REGINA 1, presso

l’avvocato MARCO DI TORO, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 362/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FLOCCO MARINA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato ANSELMO CARLEVARO, con

delega, che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 11 marzo 2011 la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’appello proposto da G.G.B. avverso la sentenza del Tribunale di Mondovì che, in relazione alla controversia instaurata nei confronti della Banca di credito cooperativo di Pianfei e Rocca dè Baldi soc. coop. a r.l., aveva dichiarato cessata la materia del contendere rispetto alla domanda avente ad oggetto la richiesta di cancellazione della segnalazione del nominativo della G. presso la Centrale Rischi e aveva respinto le pretese risarcitorie.

2. La Corte territoriale ha rilevato: a) che l’attrice non aveva fornito la dimostrazione della illegittimità della segnalazione a suo nome presso la Centrale Rischi sotto l’unico profilo lamentato, ossia quello della insussistenza dell’esposizione debitoria dichiarata dalla banca; b) che tale prova non poteva essere acquisita per effetto dell’invocata acquisizione delle istanze di esibizione e dell’espletamento della richiesta consulenza tecnica; c) che, in particolare, la G. non aveva individuato documenti ulteriori, rispetto a quelli versati in atti, suscettibili di essere acquisiti nè aveva chiarito la loro decisività, al fine di escludere l’esposizione debitoria maturata nei confronti della banca dal momento della segnalazione alla Centrale Rischi e sino alla cancellazione disposta non per il suo carattere indebito, ma per la ritenuta irrecuperabilità del credito; d) che la richiesta di ordinare alla convenuta l’esibizione dei documenti giustificativi del credito vantato, oltre che indeterminata, non teneva conto del fatto che era la G. a dovere dimostrare l’estinzione integrale della pretesa creditoria, la cui esistenza emergeva, al contrario, dalla documentazione in atti; e) che tali documenti comunque non potevano che essere stati formati o utilizzati nello svolgersi del rapporto tra la banca e la medesima G. e dovevano essere quindi anche nella disponibilità di quest’ultima; f) che la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio non teneva conto del fatto che la ricostruzione contabile globale dei rapporti era stata operata ed era anche il frutto di procedimenti definiti con provvedimenti inoppugnabili resi nel corso nelle procedure esecutive promosse anche nei confronti della G.; g) che la pretesa usurarietà degli interessi applicati dalla banca e la eccepita prescrizione, costituenti difese svolte in corso di causa, dopo avere dedotto l’integrale estinzione del credito, erano smentite, quanto alla prima, dalle risultanze della perizia che aveva condotto all’ordinanza di archiviazione del procedimento penale instaurato a carico dei responsabili della banca e, quanto alla seconda, dal fatto che la banca, nella missiva del 6 novembre 2003, aveva opposto, alla richiesta di rilascio della copia di un documento, l’avvenuto decorso del periodo decennale di obbligatoria conservazione e la prescrizione rispetto alle pretese restitutorie eventualmente vantate dalla G.; h) che, oltre a ciò, il diritto della banca di far valere la garanzia nei confronti della G. doveva ritenersi esteso, in quanto sorretto da una fideiussione omnibus, anteriore alla modifica dell’art. 1938 c.c. operata con la L. n. 154 del 1992, ad ogni genere di rapporto obbligatorio del debitore principale nei confronti della banca; i) che, peraltro l’effetto interruttivo doveva ritenersi protratto per tutto il corso delle complesse azioni giudiziarie di recupero, ossia quantomeno dal 1993 al 2002; l) che l’esame dei documenti in atti smentiva, in definitiva, la tesi della G. quanto all’insussistenza del residuo credito in capo alla banca; m) che l’affermazione secondo la quale il maggior credito della banca non sarebbe ammontato a più di Euro 113.974,00, a fronte di una segnalazione per Euro 120.000,00 non si accompagnava alla dimostrazione che un così modesto divario – peraltro da maggiorare di ulteriori interessi e spese – potesse aver cagionato un pregiudizio morale o patrimoniale; n) che le superiori considerazioni avevano rilievo assorbente rispetto alle doglianze incentrate sul quantum della pretesa risarcibile, le quali erano comunque infondate, in assenza di prova del pregiudizio sofferto; o) che le censure relative alla liquidazione delle spese giudiziali erano infondate, sia perchè la G. non aveva contestato i parametri di valutazione tariffari seguiti dal giudice di primo grado, sia perchè gli importi indicati erano in linea con tali criteri.

3. Avverso tale sentenza, la G. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Resiste con controricorso la Banca di credito cooperativo di Pianfei e Rocca dè Baldi soc. coop. a r.I. Nell’interesse di entrambe le parti sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamentano violazione o falsa applicazione della L. n. 154 del 1992, nonchè vizi motivazionali, rilevando che la Corte territoriale, trascurando la portata della sentenza n. 204 del 1997 della Corte costituzionale, aveva omesso di considerare che la garanzia di colui che aveva concesso una fideiussione omnibus in data anteriore all’entrata in vigore della citata L. n. 154 del 1992 doveva intendersi limitata al saldo dell’esposizione esistente a quest’ultima data.

Le doglianze sono inammissibili.

E’ certamente esatto che la fideiussione omnibus senza limitazione di importo, stipulata anteriormente alla data di entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 10 – il quale, sostituendo il testo originario dell’art. 1938 c.c., ha subordinato la validità della fideiussione per obbligazioni future all’indicazione dell’importo massimo garantito – conserva efficacia unicamente per i debiti verso la banca sorti a carico del debitore principale prima della predetta data, e non anche per quelli successivi, salvo le parti fissino l’importo massimo garantito con la rinnovazione della convenzione di garanzia (v., ad es., Cass. 5 maggio 2016, n. 8944).

E, tuttavia, l’affermazione per la quale, in forza di tale interpretazione e della conseguente limitazione dell’obbligazioni nell’importo massimo garantito, il debito della ricorrente sarebbe risultato integralmente soddisfatto, introduce, in termini assolutamente generici, una questione di fatto, che non risulta essere stata dedotta dinanzi alla Corte d’appello (e che certo la ricorrente non chiarisce quando e in che termini sarebbe stata prospettata).

2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente un credito della banca, senza considerare che dalle allegazioni delle parti e dalla risultanze delle consulenze tecniche in atti emergeva l’assenza di qualunque obbligazione della ricorrente.

Nella sostanza, quest’ultima, fermi i superiori rilievi, quanto alla portata della garanzia, osserva che, a fronte della somma di circa Lire 476 milioni di esposizione debitoria, quale determinata dal perito in sede penale, sarebbero state versate lire 749.278.245, integralmente satisfattive di ogni ragione di credito della banca.

Si tratta di critiche in fatto, esposte in termini assertivi, senza alcun tentativo di dimostrare, in termini logici, l’erroneità delle conclusioni raggiunte dal perito – e riportate nella sentenza impugnata – quanto al fatto che, pur scomputando gli interessi eccedenti il tasso soglia, comunque le assegnazioni effettuate in sede esecutiva avevano comportato una scopertura per la banca, soltanto in relazione al contratto di mutuo e trascurando altri rapporti debitori (rapporti di conto corrente e finanziamenti agrari), per circa Lire 197 milioni.

3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 61 e 116 c.p.c., con riferimento al mancato accoglimento della richiesta di esibizione di documenti e di espletamento di consulenza contabile.

La censura è inammissibile, poichè la ricorrente: a) per un verso, trascurando di considerare che ella non è convenuta in un giudizio di adempimento, ma attrice in un giudizio risarcitorio, ritiene sufficiente avere allegato “dei documenti”, il cui contenuto neppure si cura di illustrare in termini specifici, al fine di giustificare la richiesta di consulenza tecnica; b) per altro verso, attraverso censure del tutto generiche, omette di confrontarsi, in termini puntuali, con il rilievo assegnato dalla sentenza impugnata, nell’individuazione del debito che aveva giustificato la segnalazione alla Centrale Rischi, all’assenza di contestazioni nel corso delle procedure esecutive immobiliari intraprese a suo carico; c), infine, si sottrae agli argomenti ai quali la Corte ha affidato il rigetto della richiesta di esibizione (mancata specificazione dei documenti, ulteriori rispetto a quelli presenti in atti, da acquisire).

4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione al rigetto dell’eccezione di prescrizione.

Si tratta di doglianza inammissibile, in quanto priva di qualunque concludenza, come dimostrato dal fatto che, da un lato, confonde il termine di conservazione dei documenti con quello di prescrizione e, dall’altro, trascura del tutto di considerare, con riguardo alla posizione della banca, il rilievo interruttivo esattamente correlato dalla sentenza impugnata alle plurime azioni giudiziarie esercitate per recuperare i crediti.

5. Con il quinto motivo, si lamenta vizi motivazionali, in relazione alla affermazione della Corte territoriale, secondo cui la G. non aveva dimostrato il pregiudizio sofferto.

La doglianza è evidentemente assorbita dal rigetto dei precedenti motivi, concernenti il fondamento della dedotta responsabilità della banca.

6. Con il sesto motivo sui lamentano violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nonchè vizi motivazionali, dal momento che la cancellazione della iscrizione della ricorrente era dipesa, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, dalla consapevolezza nella banca della illegittimità del proprio operato.

Anche tale doglianza deve ritenersi assorbita, in quanto logicamente dipendente dalle critiche rivolte con i primi quattro motivi alle conclusioni della Corte territoriale.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenendo conto che il valore della causa non va determinato, secondo quanto preteso dalla ricorrente, con riguardo all’ammontare delle spese che è stata condannata a pagare, per effetto del rigetto dell’appello, ma all’importo del risarcimento del danno invocato, pari ad Euro 200.000,00. Questa Corte, infatti, sia pure confrontandosi la portata del D.M. n. 140 del 2012, art. 5 – ma con un significativo riferimento anche al D.M. n. 55 del 2014, art. 5 applicabile, ai sensi dell’art. 28 medesimo D.M., alle liquidazioni operate dal 3 aprile 2014 e dal contenuto solo più specifico rispetto alla previgente previsione -, ha avuto modo di precisare che, in caso di rigetto integrale della domanda risarcitoria, il criterio resta quello del disputatum e non quello del decisum (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3903).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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