Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24879 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 06/12/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 06/12/2016), n.24879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10794/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IRCAC, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELL’ELETTRONICA 20, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE PIERO SIVIGLIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE SAMMARTINO con procura speciale del Not. Dr.

C.N. in PALERMO rep. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1151/2014 della COMM. TRIB. REG. della

SIVILIA, depositata il 05/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE;

udito per il ricorrente l’Avvocato MADDALO che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato SAMMARTINO che si riporta

agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle entrate, con atto del 17 aprile 2014, ricorre con unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Palermo, n. 1151.05.14 dep. 5.2.2014, che ha accolto il ricorso proposto dall’I.R.C.A.C., Istituto regionale per il credito alla cooperazione, per l’ottemperanza della sentenza della Commissione tributaria di primo grado di Palermo (n. 2969/05/91 dep. il 24.9.1991), emessa a seguito di ricorso dell’Istituto avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso delle maggiori somme (Irpeg, Ilor, addizionale Ilor), asseritamente versate in eccesso nella dichiarazione anno 1983 presentata nell’anno 1984.

La CT di primo grado di Palermo (n. 2969/5/1991), aveva ordinato la riliquidazione delle imposte rideterminando la base imponibile, con il riconoscimento in detrazione di contributi versati a fondo perduto nel corso dell’anno 1982. Contro questa sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva appello, che la CTR Sicilia, con sentenza di mero rito, n. 142/31/2000, dep. il 10 luglio 2000, dichiarava inammissibile.

L’I.R.C.A.C., con atto di costituzione in mora (del 25 maggio 2009), ha chiesto il rimborso della somma di cui calcolava l’importo e, decorso infruttuosamente il termine assegnato per l’adempimento, proponeva ricorso per ottemperanza della sentenza della Commissione di primo grado di Palermo.

La CTP, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso per cassazione, sul presupposto del passaggio in giudicato dell’indicata sentenza della commissione tributaria di primo grado di Palermo (resasi definitiva il 10.10.2001, dopo il deposito della sentenza della CTR della Sicilia, che ha dichiarato inammissibile l’appello interposto dall’Ufficio), accoglieva il ricorso dell’IRCAC, ritenendo interrotta la prescrizione dall’atto di messa in mora dell’Istituto, e condannava l’Agenzia delle entrate all’adempimento degli obblighi derivanti dalla sentenza della CT di primo grado di Palermo, nominando un commissario ad acta per il compimento degli atti necessari all’esecuzione della sentenza.

L’I.R.C.A.C. si costituisce con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo del ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione di legge (artt. 2934, 2935 e 2946 c.c. e art. 327 c.p.c.), essendo il diritto al rimborso di cui alla sentenza impugnata prescritto: ciò in quanto il giudicato sulla sentenza di primo grado si era formato antecedentemente alla proposizione dell’appello (in data 25.9.1992), che ha dichiarato inammissibile l’appello dell’Ufficio, perchè proposto tardivamente. Avrebbe pertanto errato la CTP nel ritenere che la sentenza si era resa definitiva il 10 ottobre 2001 e che il termine decennale era stato interrotto con l’atto di costituzione in mora del 2009, ritenendo concluso il giudizio con la sentenza della CTR della Sicilia 142/31/2000 dep. il 10 luglio 2000. L’IRCAC avrebbe dovuto proporre “azione di ottemperanza già dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, cioè dal 25/09/1992, a nulla rilevando in proposito che l’Ufficio abbia tardivamente proposto un’impugnazione avverso la sentenza di primo grado”. Sul punto peraltro la CTR ha chiarito che nella fattispecie non operava la sospensione dei termini d’impugnazione prevista dal D.L. n. 16 del 1993, art. 4.

2. Il motivo è infondato.

3.1. Premesso che, contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, il ricorso è ammissibile in quanto “la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 – a mente della quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – va interpretata nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, ma anche ogni altro “error in procedendo” in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza e, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere-dovere di interpretare ed eventualmente integrare il “dictum” costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata” (Cass. n. 8830 del 2014; n. 3057/2008; n. 22565/2004).

Nel caso in esame l’Agenzia delle entrate, deducendo che la CTP nel giudizio di ottemperanza ha pronunciato sulla sollevata eccezione di prescrizione ed è quindi andata oltre il suo esclusivo compito di determinare il contenuto del dovere scaturente dal dictum giudiziale azionato, ha denunciato proprio siffatto mancato o difettoso esercizio del potere-dovere di interpretare ed eventualmente integrare e, comunque, rendere “effettivo” il “dictum” costituito dal giudicato, ed ha quindi, in tal modo, per quanto sopra precisato, fatto valere una “violazione delle norme del procedimento”. Al riguardo, non può invero, dubitarsi che il limitato contenuto del provvedimento del giudice dell’ottemperanza, come precisato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 7 (emissione di “provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza in luogo dell’Ufficio del Ministero delle Finanze… attenendosi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione”), costituisca regola fondamentale del procedimento concernente il giudizio di ottemperanza; di conseguenza, il dedotto mancato rispetto della stessa non può che configurare il su menzionato presupposto (“violazione delle norme del procedimento”) necessario per la proposizione del ricorso in cassazione (Cass. n. 8830/2014 cit.). L’esegesi dell’art. 70, in esame nel senso dell’ammissibilità, in ogni caso, del solo rimedio del ricorso per cassazione attribuisce coerenza sistematica all’istituto (senza determinare, d’altro canto, vuoti di tutela), dovendosi configurare le decisioni in tema di ottemperanza, quale che sia il giudice che l’abbia emesse, come pronunce in unico grado (n. 20639 del 14/10/2015; n. 7312 del 2003).

3.2. Ciò premesso, il ricorso è infondato nel merito e va perciò rigettato. Non sussiste invero la prescrizione invocata dall’Ufficio, in quanto l’effetto interruttivo permanente della prescrizione si protrae sino alla formazione del giudicato formale sul giudizio instaurato, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2943 c.c. e art. 2945 c.c., comma 2 (cfr. S.U. n. 1516 del 27/01/2016).

3.3. Nel caso di specie solo dopo il deposito della sentenza della CTR si è potuto attestare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, per cui correttamente la CTP lo ha individuato nel 10 ottobre 2001, coincidente con lo spirare del termine di impugnazione della sentenza di appello. La sentenza della Commissione tributaria di primo grado, infatti, non può passare in giudicato in pendenza di appello, che, come detto, era stato proposto dall’Agenzia delle entrate e dichiarato inammissibile, con sentenza della CTR non impugnata. Peraltro la CTR aveva erroneamente dichiarato inammissibile l’appello dell’Agenzia in quanto proposto fuori termine. Era infatti applicabile, contrariamente a quanto statuito dalla CTR, la L. n. 413 del 1991, art. 36 comma 3, che ha sospeso fino al 30.4.1992 i termini per ricorrere; termine successivamente prorogato al 20.6.1993, in virtù del D.L. n. 16 del 1993, art. 3, conv. in L. n. 75 del 1993: l’appello dell’Ufficio, notificato il 20.1.1994 era pertanto tempestivo (v. Cass. n. 15573/2006).

4. Il ricorso va conclusivamente rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese, liquidate in Euro 8.000,00 oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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