Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24879 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/10/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 04/10/2019), n.24879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28815/2015 proposto da:

R.A.I. RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato

ROSARIO SALONIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

S.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 7,

presso lo studio dell’avvocato SARA D’ONOFRIO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

R.A.I. RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.;

– ricorrente principale – controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2470/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/06/2015, R.G.N. 5542/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2470/2015, pronunciando sull’appello principale proposto dalla RAI e su quello incidentale proposto da S.D., ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata dichiarata nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato il 4 novembre 1988 ed era stata dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la stessa decorrenza, con condanna della società resistente a riammettere in servizio la S.. Ha invece riformato il capo della sentenza recante la condanna al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal dicembre 2001, oltre accessori, detratto l’aliunde perceptum, ritenendo applicabile la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5; per tale titolo, ha riconosciuto un indennizzo pari a quattordici mensilità, oltre accessori, dalla sentenza al saldo.

1.1. La Corte di appello, premesso che i contratti erano stati stipulati ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e), modificato dalla L. n. 266 del 1977, ha osservato che il primo contratto (relativo al periodo 4.11.88-26.6.89), la cui clausola temporale era stata dichiarata nulla dal giudice di primo grado con effetto sui contratti successivi, era stato stipulato per la produzione televisiva dal titolo “(OMISSIS)” in difetto dei requisiti di specificità e del vincolo di necessità diretta.

1.2. Quanto all’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, già respinta dal primo giudice, ha osservato che si era in presenza di una reiterazione per un considerevole numero di anni (dieci) di ben dieci contratti a tempo determinato, circostanza idonea a ingenerare nella lavoratrice un ragionevole affidamento circa la prosecuzione del rapporto tra le parti. Ha aggiunto che dalla prova testimoniale era emerso, con precisi riferimenti anche temporali, che vi erano stati tentativi esperiti dalla S. per procurarsi altri contratti con la società, tentativi risalenti al periodo successivo al periodo 1988-1989, essendosi la stessa recata in più occasioni presso le varie redazioni della RAI senza sortire alcun effetto per il blocco delle richieste attuato dalla direzione del personale.

1.3. In merito all’operatività della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, ritenuto applicabile anche giudizi in corso, la Corte di appello ha ritenuto di riconoscere quattordici mensilità, tenuto conto della durata e del numero dei contratti.

1.4. La Corte di appello ha poi rigettato l’impugnazione incidentale della S., diretta ad ottenere l’inquadramento come giornalista anzichè come programmista regista.

2. Per la cassazione di tale sentenza la RAI ha proposto ricorso principale sulla base di tre motivi, cui ha resistito la S., che a sua volta ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale la RAI denuncia violazione di legge in relazione alla ritenuta illegittimità della causale di assunzione a termine apposta al contratto stipulato a norma della L. n. 230 del 1962, art. 1 comma 2, lett. e). Ribadisce la temporaneità dell’occasione lavorativa, la specificità del programma e la sussistenza del vincolo di necessità diretta tra il particolare programma televisivo (“(OMISSIS)”) e l’assunzione della S. con mansioni di assistente ai programmi con decorrenza 8.10.93 per la durata di sei mesi.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 1372 c.c., comma 1 e all’art. 1362 c.c., nella parte in cui la sentenza ha disatteso l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Deduce come l’azione giudiziale fosse stata intrapresa a distanza di oltre sei anni dalla cessazione dell’ultimo contratto (luglio 1998 – agosto 2004).

3. Con il terzo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è stato oggetto di discussione tra le parti vertente sulla circostanza della risoluzione anticipata dei rapporti di lavoro a termine in relazione a sette contratti intercorsi dal novembre 1989 al giugno 1997.

4. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, per avere la Corte territoriale errato nel riconoscere quattordici mensilità a titolo di indennizzo, oltre la misura massima prevista dalla legge.

5. Il ricorso incidentale della S. verte su un unico motivo. La ricorrente incidentale denuncia erronea applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, perchè norma intervenuta in epoca successiva alla proposizione dell’appello e nessuna richiesta di applicazione dello ius superveniens era stata formulata dalla RAI.

6. Il primo motivo del ricorso principale è infondato, alla luce dell’ormai costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 13806 del 2015 e 1841 del 2016, v. pure Cass. 11573 del 2011, n. 24049 del 2008), cui questo Collegio intende dare continuità.

6.1. Invero, la L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e), come modificato dalla L. n. 266 del 1977, prevede e consente l’applicazione del termine nelle assunzioni di personale riferite a pubblici spettacoli, ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi. Nell’interpretazione di tale norma, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che, affinchè il rapporto di lavoro a termine possa ritenersi legittimo, è necessario il concorso di una pluralità di requisiti, essenzialmente riferibili alla temporaneità e specificità dello spettacolo e dell’esigenza lavorativa che il contratto è diretto a soddisfare, ed in particolare: a) che il rapporto si riferisca ad un’esigenza di carattere temporaneo della programmazione televisiva o radiofonica, da intendersi non nel senso della straordinarietà o occasionalità dello spettacolo (che può ben essere anche diviso in più puntate e ripetuto nel tempo), bensì nel senso che lo stesso abbia una durata limitata nell’arco di tempo della complessiva programmazione fissata dall’azienda, per cui, essendo destinato ad esaurirsi, non consente lo stabile inserimento del lavoratore nell’impresa; b) che il programma, oltre ad essere temporaneo nel senso sopra precisato, sia anche caratterizzato dall’atipicità e singolarità rispetto ad ogni altro evento organizzato dall’azienda nell’ambito della propria ordinaria attività radiofonica e televisiva, per cui, essendo dotato di caratteristiche idonee ad attribuirgli una propria individualità ed unicità (quale species di un certo genus), lo stesso sia configurabile come un momento episodico dell’attività imprenditoriale, e come tale rispondente anche al requisito della temporaneità; c) che, infine, l’assunzione riguardi soggetti il cui apporto lavorativo si inserisca, con vincolo di necessità diretta, anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma, sicchè non può ritenersi sufficiente a giustificare l’apposizione del termine la semplice qualifica tecnica o artistica del personale, richiedendosi che l’apporto del peculiare contributo professionale, tecnico o artistico del lavoratore, sia indispensabile per la buona realizzazione dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di ruolo dell’azienda (cfr, in particolare, Cass. 23 giugno 2008 n. 17053; Cass. n. 8385 del 2006, n. 23501 del 2010, n. 15455 del 2012 e n. 7667 del 2014). L’interpretazione della norma di legge adottata dalla giurisprudenza di questa Corte appare corrispondere appieno al ragionevole equilibrio tra esigenze di garanzia di stabilità del rapporto di lavoro ed esigenze, anche culturali, della produzione di spettacoli e programmi radiotelevisivi perseguito dal legislatore dell’epoca, alla luce delle condizioni economiche e sociali esistenti.

6.2. Così ribadita l’interpretazione della norma di legge in esame, cui appare opportuno attenersi, anche in ossequio alla funzione nomofilattica della Corte e in assenza di sufficienti motivi per rimetterla in discussione alla luce delle argomentazioni del ricorso, va infine ricordato che l’accertamento della sussistenza in concreto dei requisiti di legittimità dell’apposizione del termine nell’ipotesi considerata costituisce giudizio di merito, che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha adeguatamente condotto pervenendo alla conclusione della insussistenza dei requisiti sopra indicati.

6.3. Al riguardo, la Corte di appello di Roma ha rilevato che le mansioni lavorative assegnate alla S., riferibili alla realizzazione della produzione televisiva “(OMISSIS)”, produzione priva di una specifica peculiarità nel contesto del palinsesto della emittente, non presentavano peculiarità distintive per cui doveva escludersi la sussistenza di un nesso tra la professionalità dello stessa e le caratteristiche del programma al quale aveva collaborato. Ha poi escluso che dal curriculum della S. fossero ricavabili elementi da cui potere evincere la dimostrazione della sussistenza di un vincolo di necessità diretta. Pertanto, deve confermarsi la mancanza di un’impronta distintiva della collaborazione della lavoratrice alla produzione televisiva.

7. Dalla declaratoria di illegittimità del termine apposto al predetto contratto e dalla conseguente conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato consegue l’irrilevanza della legittimità, o meno, del termine apposto ai successivi contratti stipulati fra le parti, per cui, anche sotto questo profilo, deve ritenersi corretta la sentenza impugnata, che di fatto ha ritenuto assorbita ogni questione relativa ai contratti a termine successivi (cfr. Cass. 17 gennaio 2014 n. 903).

8. Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

8.1. In tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente (Cass. n. 29781 del 2017, n. 13660 del 2018).

8.2. La Corte di appello ha argomentato, sulla base di una serie di elementi di fatto, tratti dalle risultanze istruttorie, che nel lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto di lavoro e introduzione del giudizio la ricorrente aveva manifestato per fatti concludenti la volontà di coltivare i propri diritti nei confronti della RAI. A fronte di tale accertamento di fatto, la RAI si è limitata ad opporre genericamente che tra la richiesta del tentativo di conciliazione (2001) e il deposito del ricorso introduttivo (agosto 2004) era intercorso un notevole lasso di tempo. Tale assunto non è decisivo, innanzitutto perchè non specifico rispetto al decisum, avendo la Corte di appello evidenziato che “…la ricerca di nuovi contatti da parte della S. non si esaurì nell’arco di un breve lasso temporale ma impegnò la ricorrente fino alla proposizione del giudizio” ed inoltre perchè il mero decorso del tempo non costituisce, di per sè, elemento decisivo.

8.3. Come affermato da questa Corte, in tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non è sufficiente il mero decorso del tempo fra il licenziamento e la relativa impugnazione giudiziale, essendo necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze, della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro (cfr. Cass. n. 22489 del 2016).

9. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto verte su una questione (l’esistenza di atti di risoluzione anticipata dai singoli rapporti a termine successivi al primo) di cui non vi è cenno nella descrizione della vicenda processuale contenuta nella narrativa della sentenza impugnata e la RAI, che era rimasta soccombente in primo grado in ordine alla domanda di accertamento della nullità del termine e di conversione in rapporto a tempo indeterminato sin dal 4.11.1988, non risulta avere proposto un motivo di appello sul punto, nè ha lamentato in sede di legittimità un’omessa pronuncia in ordine ad un motivo di gravame. La questione è dunque nuova e, come tale inammissibile.

10. Rispetto all’esame del quarto motivo del ricorso principale è pregiudiziale l’esame del ricorso incidentale, che verte sull’applicazione dello ius superveniens ai processi in corso nei quali sia ancora sub iudice l’accertamento della legittimità del termine.

11. Il ricorso incidentale è infondato.

11.1. Premesso che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre, Cass. 12.8.2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati) tale disciplina, alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis diretta ad “introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente”, va osservato che, sulla questione relativa all’applicabilità della norma ai giudizi di appello privi di censura specifica relativa alle conseguenze risarcitorie, sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 21691 del 2016 affermando il principio secondo cui il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente. Il principio è stato ribadito più volte successivamente nel senso che, ove sia stato proposto appello limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine, non è configurabile il giudicato nell’ipotesi anzidetta (ex plurimis, v. Cass. 5226 del 2017).

11.2. Nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f. Con l’art. 28 del richiamato decreto il legislatore ha dettato una disciplina innovativa, non essendosi limitato a mere riformulazioni linguistiche e ad incorporare nel testo la norma interpretativa sul carattere onnicomprensivo dell’indennità, ma avendo anche individuato, come base di calcolo, in luogo dell’ultima “retribuzione globale di fatto”, “l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”. Detto carattere innovativo consente di configurare una ipotesi di successione di leggi nel tempo sicchè, in assenza di disposizioni transitorie, deve escludersi la retroattività della normativa sopravvenuta che, in quanto inserita nella nuova disciplina organica del contratto di lavoro a tempo determinato dettata del D.Lgs. n. 81 del 2015, artt. 19 e segg., è applicabile ai soli contratti di lavoro stipulati alla data di entrata in vigore del decreto, ossia dal 25 giugno 2015. Da ciò discende la perdurante applicabilità della pregressa disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, ai giudizi pendenti, relativi ai contratti stipulati prima della data sopra indicata (da ultimo, Cass. n. 7132 del 2016).

12. Quanto al quarto motivo del ricorso principale, effettivamente la Corte territoriale, nel riconoscere un indennizzo parametrato a quattordici mensilità, ha violato la norma di legge, in quanto la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, fissa il limite massimo della misura dell’indennità in dodici mensilità.

13. Tale motivo va dunque accolto, spettando al giudice di merito operare una nuova valutazione circa la misura dell’indennità. Resta assorbito nel relativo accoglimento l’esame della questione relativa alla operatività del medesimo art. 32, comma 6, in ordine alla cui mancata applicazione la RAI lamenta l’omesso esame e relativo alla possibilità che il limite massimo, ove riconosciuto, sia ridotto alla metà in presenza degli accordi collettivi stipulati con le OO.SS. comparativamente più rappresentative in data 16.12.97, 16.4.2003, 9.6.2004, 28.6.2005, 23.4.2007 e 4.6.2008.

14. In conclusione, vanno rigettati i primi tre motivi del ricorso principale e, in accoglimento del quarto, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. Deve invece essere respinto il ricorso incidentale.

15. Tenuto conto del rigetto del ricorso incidentale, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della S., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, mentre tali presupposti non sussistono nei confronti della RAI, stante il parziale accoglimento del ricorso. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso principale; accoglie il quarto; rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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