Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24878 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/10/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 04/10/2019), n.24878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3938/2015 proposto da:

RAI RADIOTELEVISIONE ITLIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GREGORIO VII 500, presso lo studio dell’avvocato CARMELITA DE FINIS,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 7,

presso lo studio dell’avvocato SARA D’ONOFRIO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4998/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/09/2014, R.G.N. 3110/2010;

Il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Roma, pronunciando sulle opposte impugnazioni, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto intercorso tra B.A. e la RAI s.p.a. con decorrenza dal 19 gennaio 1998 e riconosceva la sussistenza tra le stesse parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin da tale data; condannava la RAI a riammettere in servizio la B. nel posto di lavoro occupato al momento della risoluzione del rapporto con inquadramento del terzo livello del c.c.n.l. di categoria, nonchè a risarcirle il danno commisurato alle retribuzioni maturate dal 26 luglio 2006, data della messa in mora, fino alla riammissione in servizio, oltre accessori dalla pronuncia di primo grado.

2. Il Tribunale aveva riconosciuto la sussistenza di un rapporto subordinato a tempo determinato dal 24 settembre 2002, ritenendo che per i contratti stipulati anteriormente fosse intervenuta la risoluzione anticipata del rapporto. Sul punto la Corte di appello, accogliendo l’appello incidentale della B., esaminava la legittimità anche dei contratti stipulati anteriormente al settembre 2002, argomentando – in sintesi – come segue:

– nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze della RAI, la B. si era dimessa volontariamente a decorrere dal 18 novembre 1997;

– in relazione al primo contratto di lavoro a tempo determinato stipulato successivamente alle dimissioni, per il periodo 19 gennaio 1998-28 luglio 1998, regolato dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. E), difettavano i requisiti di specificità dello spettacolo e del vincolo di necessità diretta, con conseguente nullità del termine apposto a tale contratto e conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 19 gennaio 1998;

– la qualifica di programmista regista con inquadramento del terzo livello contrattuale deriva dall’avere la B. maturato tre anni nel precedente livello;

– non può trovare applicazione la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in quanto non era stato formulato un motivo di appello da parte della RAI sulle conseguenze risarcitorie riconosciute dal giudice di primo grado.

3. Per la cassazione di tale sentenza la RAI propone ricorso affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso B..

4. Il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni, chiedendo l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la RAI denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363 c.c., artt. 112,115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), lamentando che non sarebbe stata esaminata l'”avvenuta risoluzione per mutuo consenso dei contratti prodotta anche dalle lettere di cessazione anticipata del rapporto in data 8.5.1996, 11.6.1998, 28.6.2000, 1.6.2002, accertata invece dal Tribunale”. Con il medesimo motivo la RAI denuncia la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363 c.c., artt. 112,115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in merito al riconoscimento del diritto all’inquadramento nel terzo livello.

3. Con il terzo motivo invoca, sulle conseguenze economiche dell’illegittima apposizione del termine, l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, intervenuta nelle more del giudizio di appello e costituente ius superveniens. Richiama la sentenza n. 303 del 2011 della Corte costituzionale.

4. Il quarto motivo verte sulla decorrenza degli accessori sulle retribuzioni riconosciute a titolo risarcitorio dall’atto di messa in mora.

5. Il primo motivo, in ordine alla sua prima proposizione, è palesemente inammissibile, in quanto la sentenza impugnata ha espressamente trattato la questione della risoluzione anticipata dai singoli contratti a termine, esaminando le allegazioni e le prove risultanti in atti quanto all’intero periodo anteriore al 24.9.2002 e concludendo per la sussistenza di un (solo) atto di risoluzione anticipata, costituito dalle dimissioni rassegnate dalla B. il 18 novembre 1997. Pertanto, vi è stato un accertamento di fatto in ordine alla questione oggetto del presunto (ma insussistente) omesso esame. Il motivo non si confronta in alcun modo con la motivazione della sentenza e dunque è inammissibile per difetto di specificità al decisum (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4).

5.1. Anche la seconda proposizione, vertente sulla presunta violazione della disciplina legislativa di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, è inammissibile, poichè la sentenza riferisce che il contratto individuale di lavoro del quale è stata dichiarata la nullità del termine era stato stipulato e regolato dalla L. n. 230 del 1962 e che, pertanto, restava assorbito nell’operata conversione del rapporto l’esame dei successivi contratti a termine.

5.2. Il motivo in parte qua è privo di pertinenza alla motivazione della sentenza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) o comunque presuppone l’accoglimento del primo argomento, in quanto verte sulla violazione o sul mancato accertamento della legittimità dei contratti successivi regolati dal D.Lgs. n. 368 del 2001.

5.3. Giova precisare al riguardo che, alla declaratoria di illegittimità del termine apposto al predetto contratto e dalla conseguente conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, consegue l’irrilevanza della legittimità, o meno, del termine apposto ai successivi contratti stipulati fra le parti, per cui, anche sotto questo profilo, deve ritenersi corretta la sentenza impugnata che di fatto ha ritenuto assorbita ogni questione relativa ai contratti a termine successivi (cfr. Cass. 17 gennaio 2014 n. 903).

6. Venendo all’esame del secondo motivo, va rilevata l’estrema genericità del motivo con cui la RAI contesta il riconoscimento del III livello contrattuale, limitandosi ad affermare che il programmista-regista inquadrato in tale livello svolge “con elevata autonomia operativa, decisionale e di iniziativa…attività specifiche e/o compiti di coordinamento e conduzione del rispettivo reparto e/o settore” e che l’attività svolta dalla B. non potrebbe essere ricondotta nell’alveo di tale declaratoria.

6.1. Il motivo di ricorso è avulso dall’accertamento condotto dalla Corte di appello che ha riconosciuto il superiore livello sulla base della considerazione che, secondo la disciplina contrattuale (CCNL per i dipendenti RAI), l’effettiva permanenza nel 4 livello per tre anni dà diritto a tale passaggio e che la B., alla data del 25.6.2006 (scadenza dell’ultimo contratto oggetto del giudizio), possedeva tale anzianità. Il motivo, oltre a non recare la trascrizione delle norme del contratto collettivo sulle quali si fonda, non si confronta con tale motivazione con particolare riguardo alla ricostruzione sistematica e all’interpretazione della disciplina contrattuale e al possesso da parte della B. del requisito di anzianità nella qualifica prescritto da tale disciplina come ricostruita e interpretata dalla Corte territoriale. Esso è dunque inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

7. Il terzo motivo va invece accolto. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. 12.8.2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati) tale disciplina, alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis diretta ad “introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente”.

In particolare, sulla questione relativa all’applicabilità della norma ai giudizi di appello privi di censura specifica relativa alle conseguenze risarcitorie, va richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21691 del 2016, secondo cui il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente. Il principio è stato ribadito più volte successivamente nel senso che, ove sia stato proposto appello limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine, non è configurabile il giudicato nell’ipotesi anzidetta (ex plurimis, v. Cass. 5226 del 2017).

7.1. Nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f. Con l’art. 28, del richiamato decreto il legislatore ha dettato una disciplina innovativa, non essendosi limitato a mere riformulazioni linguistiche e ad incorporare nel testo la norma interpretativa sul carattere onnicomprensivo dell’indennità, ma avendo anche individuato, come base di calcolo, in luogo dell’ultima “retribuzione globale di fatto”, “l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”. Detto carattere innovativo consente di configurare una ipotesi di successione di leggi nel tempo sicchè, in assenza di disposizioni transitorie, deve escludersi la retroattività della normativa sopravvenuta che, in quanto inserita nella nuova disciplina organica del contratto di lavoro a tempo determinato dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2015, artt. 19 e segg., è applicabile ai soli contratti di lavoro stipulati alla data di entrata in vigore del decreto, ossia dal 25 giugno 2015. Da ciò discende la perdurante applicabilità della pregressa disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, ai giudizi pendenti, relativi ai contratti stipulati prima della data sopra indicata (da ultimo, Cass. n. 7132 del 2016).

8. Nell’accoglimento del terzo motivo resta assorbito il quarto. Esso verte sul riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle retribuzioni riconosciute a titolo risarcitorio dal 26.7.2006, data dell’atto di messa in mora, fino alla riammissione in servizio. Tale capo è strettamente dipendente da quello interessato dalla cassazione in parte qua della sentenza, per cui anche gli accessori che afferiscono a tale statuizione restano travolti.

9. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

10. Tenuto conto dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo; accoglie il terzo, assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA