Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24876 del 20/10/2017


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Cassazione civile, sez. un., 20/10/2017, (ud. 04/07/2017, dep.20/10/2017),  n. 24876

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23099/2011 proposto da:

UNIVERSITA’ CA’ FOSCARI DI VENEZIA, in persona del Rettore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ADALBERTO PERULLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in proprio e

nella qualità di procuratore speciale della SOCIETA’ DI

CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.N. (S.C.C.I.) S.P.A., in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto

stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI e LELIO MARITATO;

M.B.I., K.E., nonchè LA.MA.GR. e

L.Y. nella qualità di eredi di L.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LORENZO PICOTTI;

– controricorrenti –

sul ricorso 23444/2011 proposto da:

M.B.I., K.E., nonchè LA.MA.GR. e

L.Y. nella qualità di eredi di L.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LORENZO PICOTTI;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI

VENEZIA, ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 866/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/03/2011;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso in via principale

per la rimessione alla Sezione Lavoro, in subordine per

l’inammissibilità del ricorso dell’Università; rigetto del ricorso

dei lavoratori;

uditi gli avvocati Anna Buttafoco per delega orale e Lorenzo Picotti.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. Il Tribunale di Venezia, in parziale accoglimento del ricorso proposto da K.E. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe tutti lettori di lingua straniera presso l’Università degli Studi Cà Foscari di Venezia – con sentenza parziale n. 1184/2005: a) accertava il diritto dei ricorrenti a percepire il trattamento retributivo e previdenziale del ricercatore confermato a tempo pieno dalla data della prima assunzione; b) dichiarava la nullità dei contratti stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995; c) condannava l’Università ad effettuare la ricostruzione della carriera lavorativa dei ricorrenti, al pagamento a titolo di differenze retributive e sul TFR delle somme da quantificare nel prosieguo del giudizio con successiva sentenza, al versamento dei contributi previdenziali sulle differenze retributive come quantificate; d) accoglieva, inoltre, la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del diritto comunitario.

2. All’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con la sentenza definitiva n. 415 del 2007, provvedeva a quantificare le somme dovute ai ricorrenti per le causali sopra indicate, condannando, rispettivamente: 1) l’Università a corrispondere quanto determinato a titolo di ricostruzione della carriera (vedi sopra: lettere a e c) oltre alla maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria; 2) la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di quanto liquidato a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alle violazioni del diritto UE, di cui alla sentenza della Corte di Giustizia in data 26 giugno 2001, con le corrispondenti differenze contributive coperte da prescrizione L. n. 335 del 1995, ex art. 3.

3. Con la sentenza n. 866 del 2010 (pubblicata il 24 marzo 2011), attualmente impugnata, la Corte d’appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello principale avverso le sentenze (parziale e definitiva) di primo grado unitamente proposto dall’Università Cà Foscari e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: a) respinge la domanda proposta dagli originari ricorrenti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il risarcimento dei danni derivati dalla violazione del diritto comunitario da parte dello Stato italiano, condannando gli appellati a restituire quanto percepito a tale titolo, oltre agli interessi legali; b) rigetta anche l’appello incidentale, con il quale i lettori avevano riproposto le domande non accolte in primo grado volte ad ottenere: il mantenimento della qualifica di lettori universitari sino al termine del rapporto, la stabilizzazione dei compiti didattici di insegnamento linguistico e, comunque, delle mansioni espletate prima della conclusione dei contratti di collaborazione linguistica; il risarcimento del danno derivato dal demansionamento; c) conferma, per il resto, le sentenze di primo grado.

4. La Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) gli appellati hanno ottenuto dal Pretore di Venezia, con sentenza emessa l’1 dicembre 1993 divenuta cosa giudicata, la trasformazione del contratto di lettorato, stipulato ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, in rapporto a tempo indeterminato;

b) a seguito della entrata in vigore della L. n. 236 del 1995 l’Università ha assunto gli originari ricorrenti in qualità di collaboratori esperti linguistici, riconoscendo loro l’anzianità di servizio correlata al periodo di tempo intercorso a partire dalla stipulazione del primo contratto quali lettori di lingua straniera, secondo le disposizioni della contrattazione collettiva;

c) è infondata l’eccezione di giudicato sollevata dall’Università quanto alle differenze retributive, non perchè, come ritenuto dal Tribunale, nel precedente giudizio l’adeguamento era stato domandato solo in relazione alla retribuzione del professore associato a tempo definito e non a quella del ricercatore confermato a tempo pieno, ma perchè la capacità espansiva del giudicato si arresta nei casi in cui lo stesso sia incompatibile con il diritto comunitario;

d) i contratti stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995 risultavano privi di causa in quanto stipulati in un momento (1995) in cui era già in atto fra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per effetto sia di quanto statuito dalla Corte di Giustizia con le sentenze 30 maggio 1989, causa 33/88 e 2 agosto 1993, cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91, sia di quanto affermato nella suddetta sentenza del Pretore di Venezia passata in giudicato;

e) è quindi da escludere che, per effetto della stipula dei contratti del 1995, si sia verificata una novazione dei rapporti lavorativi;

f) peraltro, è incontroverso che gli appellati anche dopo i suddetti contratti continuarono a svolgere le medesime mansioni e comunque è jus receptum che la novazione oggettiva presuppone la chiara e univoca volontà delle parti di estinguere l’originaria obbligazione sostituendola con una nuova – la quale deve essere diversa quanto all’oggetto della prestazione o al titolo del rapporto – e che la parte che ne deduce la ricorrenza debba ritualmente allegare e provare gli elementi costitutivi della fattispecie (animus novandi e l’aliquid novi), mentre ciò, nella specie, non è avvenuto;

g) quanto alle differenze retributive, per effetto della riconosciuta continuità dei rapporti di lavoro, non si può non tenere conto della sopravvenuta L. n. 63 del 2004, assumendo quindi a parametro il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo pieno (per un impegno lavorativo pari a 500 ore annue) o definito con effetto dalla data della prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli;

h) tale ultima legge è stata emanata per dare esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia 26 giugno 2001, causa n. 212/99 e, quindi, deve essere applicata nel presente giudizio, in quanto essendo conseguente ad una pronuncia della Corte di Giustizia, dotata di efficacia erga omnes – è riferibile a tutti gli appartenenti alla stessa categoria, anche se non dipendenti dalle specifiche Università – Università della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma “La Sapienza” e Istituto Universitario Orientale di Napoli – prese in considerazione dalla procedura di infrazione, esaminata dalla citata sentenza della Corte di Giustizia;

i) è tardiva la contestazione fatta nel presente giudizio dagli appellanti in merito alla mancanza di prova circa la prestazione di lavoro a tempo pieno – pari a 500 ore annue – visto che gli appellati hanno dedotto nel ricorso introduttivo di avere prestato attività lavorativa rispettando mediamente l’orario annuo di 500 ore e gli Enti appellanti, nel costituirsi in giudizio, hanno ammesso che tutti i ricorrenti avevano osservato un simile orario;

l) pertanto, in applicazione della L. n. 63 del 2004, agli appellati deve essere riconosciuta la retribuzione dovuta al ricercatore a tempo pieno;

m) va respinta la censura concernente la prescrizione delle differenze retributive, in quanto le pretese azionate hanno la loro fonte nella L. 5 marzo 2004, n. 63, con la quale lo Stato italiano ha ovviato al suo perdurante inadempimento, riconoscendo ab initio un trattamento economico idoneo ad eliminare ogni discriminazione in danno dei lettori di lingua straniera:

n) quindi tali somme potevano essere fatte valere soltanto dopo l’entrata in vigore di tale legge (come è accaduto nella specie, visto che il ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato il 14 marzo 2004), mentre prima non poteva certamente decorrere alcun termine di prescrizione;

o) l’ultimo motivo dell’appello principale deve essere, invece, accolto, in quanto, essendo incontestato l’avvenuto riconoscimento della progressione economica per anzianità di servizio come dai contratti di ateneo, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la domanda risarcitoria proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il ritardo nell’adempimento degli obblighi comunitari è da considerare infondata anche perchè la ricorrenza nella specie di detto obbligo non appare sufficientemente dettagliata dagli interessati, i quali comunque nulla hanno dedotto e provato in merito al c.d. danno previdenziale, nè tali carenze probatorie state sanate dalla disposta CTU contabile, che si è limitata a quantificare gli importi dei contributi previdenziali prescritti;

p) vanno respinti i motivi dell’appello incidentale con i quali gli interessati chiedono di mantenere la qualifica di lettori e di ottenere il risarcimento del danno asseritamente derivato dalla assunzione della diversa qualifica di collaboratori linguistici e dal dedotto demansionamento;

q) infatti, non è stato dimostrato il danno derivante in concreto dal cambio di qualifica e comunque nella specie non si applica l’art. 2103 cod. civ..

5. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto distinti ricorsi l’Università Cà Foscari di Venezia, sulla base di sei motivi (RGN 23099/2011), nonchè K.E. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe (RGN 23444/2011), i quali hanno formulato tre motivi di censura avverso i soli capi della sentenza relativi al rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è rimasta intimata.

I lettori e l’INPS, in proprio e quale mandatario della SCCI s.p.a., hanno notificato controricorso nel procedimento di cui al ricorso n. 23099/2011.

6. In prossimità dell’originaria udienza dinanzi alla Sezione Lavoro sia l’Università Cà Foscari, sia K.E. e gli altri ex lettori hanno anche depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ., ad illustrazione dei rispettivi ricorsi.

6 Nella propria memoria gli ex lettori, con riguardo al ricorso n. 23099/2011: a) hanno, in primo luogo, eccepito il difetto di jus postulandi dei difensori del libero foro dell’Università e la conseguente nullità della relativa procura speciale, mancando la previa apposita e motivata delibera del Consiglio di amministrazione prescritta perchè le Università possano non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato per la loro rappresentanza e difesa in giudizio; b) quindi, sulla base del sopravvenuto orientamento di questa Corte di cui alla sentenza 7 febbraio 2013, n. 2941 e alle successive sentenze conformi, hanno rettificato le conclusioni del proprio controricorso in ordine all’estinzione del giudizio chiedendo l’applicazione del suindicato indirizzo, pur mantenendo comunque ferme le originarie argomentazioni nel caso in cui il Collegio non ritenesse di conformarsi alla suddetta giurisprudenza.

7. All’udienza di discussione del 23 novembre 2016 dinanzi alla Sezione Lavoro di questa Corte si sono costituiti La.Ma.Gr.e L.Y., eredi di L.I., deceduto il 10 luglio 2015.

8. La Sezione Lavoro con ordinanza interlocutoria n. 79 del 4 gennaio 2017 ha ritenuto opportuno rimettere la causa al Primo Presidente per l’assegnazione a queste Sezioni Unite, in considerazione dei contrasti di giurisprudenza riscontrati con riguardo a: 1) le modalità applicative dell’estinzione dei giudizi in corso; 2) la qualificazione del rapporto; 3) gli effetti dello jus superveniens e delle sentenze della Corte di Giustizia sul giudicato, aggiungendo che le questioni, nelle parti connotate di novità, possono essere qualificate “di massima di particolare importanza”, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2, in quanto sono alla base di un vasto contenzioso ancora pendente che costituisce lo sviluppo delle precedenti numerose iniziative giudiziarie assunte dagli ex lettori.

9. Il ricorso è stato perciò assegnato alle Sezioni Unite e discusso all’odierna udienza.

10. In prossimità di tale udienza le parti hanno depositato altre memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

10.1. L’Università Cà Foscari, dopo aver ribadito le proprie precedenti argomentazioni, con riguardo alla sopravvenuta ordinanza interlocutoria n. 79 del 2017 cit. osserva, in sintesi, che: a) l’unica interpretazione dell’art. 26, comma 3, ultimo periodo, conforme alla ratio dell’art. 26 stesso è quella indicata da Cass. 7 febbraio 2013, n. 2941, riguardante una fattispecie analoga alla presente; b) deve essere data continuità all’interpretazione consolidata secondo cui, in coerenza con il D.Lgs. n. 165 del 2001 e con la specifica normativa sugli ex lettori di lingua straniera, ai relativi rapporti non è applicabile la disciplina in materia di rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato; c) l’autorità della cosa giudicata non può essere scalfita da interventi normativi sopravvenuti, sicchè la nuova disciplina può operare soltanto per i periodi non coperti dall’accertamento definitivo.

10.2. K.E. e gli altri ex lettori nella memoria oltre a richiamare tutte le loro precedenti argomentazioni – ivi compresa quella di difetto dello jus postulandi in capo ai difensori (del libero foro) dell’Università – evidenziano che nel disegno di legge Europea 2017, approvato, in sede di esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri il 31 maggio 2017 e attualmente all’attenzione del Parlamento è inserito un importante articolo (art. 8) diretto a chiudere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL, risolvendo la questione dei lettori di lingua straniera assunti presso le Università statali prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 120 del 1995. Tale intervento legislativo ancorchè non approvato in via definitiva – dimostra che lo stesso Stato italiano riconosce che il proprio inadempimento rispetto al diritto UE in materia perdura ancora.

In via subordinata i lettori propongono: a) istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, se interpretato come risulta dalla citata ordinanza n. 79 del 2017 della Sezione Lavoro; b) eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, se interpretato come risulta dalla citata ordinanza n. 79 del 2017 della Sezione Lavoro, in riferimento agli artt. 3,24,36,111 e 117 Cost..

11. In considerazione della sopravvenuta approvazione da parte della Camera dei deputati della legge Europea 2017, il cui art. 11 ha un contenuto analogo all’originario art. 8 (vedi sopra 10.2), è stata disposta la riconvocazione del Collegio nella medesima composizione originaria per il giorno 12 settembre 2017.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Profili preliminari.

1. Va ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).

Nella specie deve, pertanto, essere considerato principale il ricorso dell’Università Cà Foscari di Venezia ed incidentale quello di K.E. e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe perchè il ricorso dell’Università, benchè notificato il 30 settembre 2011 e quindi successivamente all’altro (notificato il 27-28 settembre 2011), è stato depositato il 12 ottobre 2011 e quindi prima dell’altro ricorso (depositato il 15 ottobre 2011) ed ha assunto un numero di ruolo (RGN 23099/2011) inferiore rispetto a quello dell’altro ricorso (RGN 23444/2011).

II – Sintesi del ricorso principale.

2. Il ricorso dell’Università Cà Foscari di Venezia è articolato in sei motivi, proposti subordinatamente alla preliminare richiesta della dichiarazione di estinzione del giudizio ai sensi della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, (entrata in vigore il 29 gennaio 2011), con conseguente regolazione delle spese processuali in base dell’art. 310 c.p.c., comma 4.

3. Con il primo motivo, si denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2909 c.c. e della L. n. 63 del 2004, art. 1, sostenendosi che la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l’appello principale e dichiarare inammissibile la domanda, perchè ogni pretesa relativa alla asserita inadeguatezza della retribuzione incontrava un limite insuperabile nel giudicato già formatosi fra le parti, rappresentato dalla sentenza del Pretore di Venezia emessa 11 dicembre 1993, che ha ritenuto non fondata la domanda dei lettori volta ad ottenere il medesimo trattamento economico riservato ai professori associati a tempo definito.

Poichè il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, non potevano gli originari ricorrenti tornare a contestare l’entità della retribuzione, invocando questa volta come parametro le somme spettanti ai ricercatori confermati a tempo pieno. Il giudicato non può essere superato dallo jus superveniens, perchè anche la retroattività della nuova norma è limitata dalla definitività del regolamento del rapporto. Anche qualora venga in rilievo il diritto comunitario non possono comunque essere messe in discussione le sentenze ormai definitive perchè in tal caso, eventualmente, sussiste solo la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato discendente dalla pronuncia, ormai definitiva, che, in violazione del diritto dell’Unione Europea, ha cagionato il danno.

4. Il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per “violazione di legge in ordine alla sfera di efficacia soggettiva della sentenza CGCE causa C-212/99 del 26 giugno 2001 e della L. n. 63 del 2004, art. 1”. Rileva la ricorrente che la procedura di infrazione non aveva riguardato l’Università di Venezia, perchè quest’ultima aveva applicato agli ex lettori l’art. 51, comma 11, del CCNL 1994/1997, riconoscendo un’integrazione del trattamento economico basata sull’anzianità maturata anche nella precedente qualifica. La Corte territoriale, pertanto, ha errato nel ritenere applicabili i principi affermati dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 26 giugno 2001, perchè l’efficacia soggettiva della pronuncia è limitata agli Atenei inadempienti, ai quali soli si riferisce la L. n. 63 del 2004, art. 1.

5. Con il terzo motivo, si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1322,1343 e 2094 c.c. relativamente alla statuizione della nullità dei c.d. nuovi contratti c.d. CEL per carenza di causa nonchè “erronea valutazione delle circostanze relative al trattamento previsto da tali contratti con riferimento ai rapporti di lettorato al fine di provare la novazione oggettiva del rapporto”. Si sostiene che i nuovi contratti si fondano su una diversa base normativa, prevedono una retribuzione maggiorata, un incremento dell’impegno lavorativo ed una puntuale disciplina degli aspetti del rapporto con rinvio alla contrattazione collettiva.

Tutto questo li rende “nuovi e diversi” rispetto al precedente contratto di lettorato. Aggiunge la ricorrente che la L. n. 236 del 1995 salvaguarda i diritti acquisiti ma non impedisce di procedere ad un reinquadramento dei lettori nella nuova qualifica per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge. Si evidenzia, infine, che la volontà delle parti contraenti di subordinare la costituzione di un rapporto giuridico ad una procedura concorsuale è incompatibile con quella di continuare nel regime di rapporto precedentemente instaurato.

6. Con il quarto motivo l’Università denuncia “motivazione insufficiente in relazione al metodo seguito per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost.”. Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare la scelta di discostarsi da quanto stabilito dalle Parti sociali che, in sede di contrattazione collettiva, avevano determinato il trattamento retributivo spettante, salvaguardando i diritti quesiti.

7. Con il quinto motivo l’Università lamenta la violazione della L. n. 26 del 2004, art. 1, come interpretata dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3. La legge richiamata, infatti, impone di rapportare il trattamento retributivo a quello del ricercatore confermato a tempo definito, sicchè l’orario rispettato rileva solo ai fini della quantificazione dell’importo complessivo, con la conseguenza che, anche nella ipotesi in cui risulti superato il tetto massimo di ore, il parametro di riferimento resta immutato.

8. Infine con il sesto motivo la ricorrente denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione di legge sulle norme in materia di prescrizione dei crediti derivanti da lavoro subordinato art. 2947 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4”. Ribadisce che gli ex lettori potevano far valere solo i crediti maturati nell’ultimo quinquennio antecedente alla entrata in vigore della L. n. 63 del 2004, giacchè per il periodo pregresso avrebbero dovuto eventualmente far valere l’inadempimento dello Stato Italiano e chiedere a quest’ultimo, non all’Università, il risarcimento del danno derivato dal mancato rispetto degli obblighi comunitari.

III – Sintesi del ricorso incidentale.

9. Il ricorso di K.E., L.I., M.B.I. riguarda il solo capo della sentenza relativo al rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per violazione del diritto UE, ed è articolato in tre motivi.

10. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione degli artt. 10,11 e 117 Cost.; violazione del principio di primazia del diritto comunitario e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea in materia di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario; violazione della sentenza di condanna della CGCE del 26 giugno 2001”. Richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, i ricorrenti rilevano che nella fattispecie ricorrono tutti gli elementi costitutivi della responsabilità dello Stato per la mancata tempestiva attuazione del diritto dell’Unione, essendo indubbio che il principio di non discriminazione fissato dall’art. 39 del TCE (oggi art. 45 TFUE n.d.r.) sia diretto ad attribuire un diritto al singolo e che la sua violazione sia sufficientemente caratterizzata. I lettori aggiungono che le sentenze della Corte di Giustizia affermano con chiarezza il diritto degli interessati alla ricostruzione della carriera a fini retributivi e previdenziali. Evidenziano, infine, che l’inadempimento dello Stato italiano è stato accertato dalla stessa Corte Europea, la quale ha evidenziato che solo con la L. n. 63 del 2004 è stato garantito ai lettori di lingua straniera la parificazione ai lavoratori nazionali che si trovavano nelle stesse condizioni di lavoro.

11. Con il secondo motivo si denuncia la “omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente la sussistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario”, evidenziandosi che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che l’obbligo comunitario non era sufficientemente determinato, senza effettuare alcun esame del contenuto delle sentenze della Corte di Giustizia e senza considerare che la sentenza del 26 giugno 2001 ha con chiarezza affermato che il riconoscimento della anzianità di servizio deve produrre effetti anche ai fini della quantificazione dei contributi previdenziali.

12. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia “contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente la prova del danno previdenziale patito dai ricorrenti”, sostenendosi che la Corte d’appello, pur avendo dichiarato la nullità dei contratti stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995 e pur avendo dato atto della domanda in tal senso formulata dai ricorrenti, ha, poi, del tutto contraddittoriamente affermato che questi ultimi non avevano contestato la progressione economica riconosciuta a seguito dei nuovi contratti i quali, in realtà, in quanto nulli non potevano produrre alcun effetto. Si aggiunge che, una volta riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla regolarizzazione previdenziale del rapporto sin dalla prima assunzione, attesa la pacifica operatività della prescrizione di parte dei contributi dovuti, il danno non può che coincidere con i contributi non versati, quantificati dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado di giudizio.

IV – Esame del ricorso principale.

13. Il ricorso principale è inammissibile, per difetto dello jus postulandi degli avvocati del libero foro che, nel presente giudizio di cassazione, hanno assunto la difesa dell’Università Cà Foscari.

14. Le ragioni per le quali si perviene alla suddetta conclusione sono le seguenti.

15. Ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, (Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato): l’Avvocatura dello Stato, in aggiunta al patrocinio obbligatorio in favore delle Amministrazioni dello Stato, può essere autorizzata ad assumere la rappresentanza e difesa anche di Amministrazioni pubbliche non statali e di enti pubblici sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato (c.d. patrocinio autorizzato).

Condizione necessaria per l’esercizio di questo patrocinio è l’esistenza di un provvedimento di autorizzazione che, in virtù di quanto disposto dall’art. 43 cit., può essere costituito da una “disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto”, i quali, per effetto delle modifiche introdotte dalla L. 12 gennaio 1991, n. 13, art. 11, devono essere “promossi di concerto” con i Ministri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze.

Quando sia intervenuto il detto provvedimento, la rappresentanza e la difesa in giudizio sono assunte dall’Avvocatura “in via organica ed esclusiva” (art. 43 del TU cit. come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11), sicchè si applicano le stesse regole del patrocinio obbligatorio, fatta salva l’ipotesi di un conflitto con lo Stato o con le Regioni.

Salva la suddetta ipotesi di conflitto di interessi, le Amministrazioni e gli enti suindicati (anche regionali) possono decidere di non avvalersi della Avvocatura dello Stato soltanto “in casi speciali” e previa adozione di “apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. Si tratta, quindi, di una facoltà esercitabile in casi di carattere eccezionale, come è stato espressamente confermato nel parere del Consiglio di Stato, Sez. 2, 29 ottobre 1986, n. 2025 e nella deliberazione della Corte dei Conti 6 aprile 1984, n. 1432, proprio con riguardo al patrocinio delle Università statali e degli altri istituti statali di istruzione superiore.

Ne deriva che gli enti ai quali è applicabile il c.d. patrocinio autorizzato di cui all’art. 43 cit. sono numerosissimi tanto più che, nel corso del tempo, si è registrato un progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione di tale tipo di patrocinio, sia per i rilevanti vantaggi sul piano economico che conseguono all’affidamento del patrocinio all’Avvocatura dello Stato sia per l’omogeneità e l’uniformità degli indirizzi defensionali che l’Avvocatura dello Stato è in grado di assicurare.

16. In questo percorso si colloca la particolare vicenda relativa al patrocinio delle Università degli Studi statali.

Fino all’entrata in vigore della L. n. 168 del 1989 era pacifico in giurisprudenza che tali Università avessero natura di Amministrazioni dello Stato, con conseguente applicazione del patrocinio “obbligatorio” alla Avvocatura dello Stato nonchè delle norme sul “foro dello Stato” e sulla notifica degli atti giudiziari presso la competente Avvocatura dello Stato R.D. n. 1611 del 1933, ex artt. 1 e 11 (R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, ex art. 56).

Tuttavia, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, all’esito della riforma introdotta dalla citata n. 168 del 1989 le Università sono – ormai – enti pubblici autonomi, non rivestendo più la qualità di organi dello Stato, con la conseguenza che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, di regola non opera più nei loro confronti il patrocinio obbligatorio ma in virtù del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 56 (Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), non abrogato dalla L. n. 168 del 1989 – si applica il patrocinio autorizzato disciplinato dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 cit. (come modif. dalla L. n. 103 del 1979, art. 11) e dall’art. 45 R.D. cit., coi conseguenti limitati effetti propri di tale forma di rappresentanza consistenti nell’esclusione della necessità del mandato e, salvi i casi di conflitto, nella facoltà di avvalersi di avvocati del libero foro e non dell’Avvocatura dello Stato solo in casi eccezionali previa la suddetta apposita e motivata delibera dell’organo di vigilanza (vedi, fra le tante: Cass. SU 10 maggio 2006, n. 10700; Cass. 28 aprile 2011, n. 9451; Cass. 13 maggio 2016, n. 9880). E, quindi, con l’inapplicabilità delle disposizioni sul foro erariale e sulla domiciliazione presso l’Avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali, salve – quanto alle notificazioni – le controversie in materia di lavoro, per le quali è stata affermata l’equiparazione alle Amministrazioni statali ai fini della rappresentanza e difesa dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 415 c.p.c., comma 7, (Cass. 29 luglio 2008, n. 20582; Cass. 21 marzo 2013, n. 7163).

17. In particolare, come più volte precisato da questa Corte, la decisione, da parte dell’Università, di avvalersi di avvocati del libero foro per la difesa in giudizio per essere valida presuppone, in linea generale: a) che si sia in presenza di un “caso speciale”; b) che intervenga una preventiva, apposita e motivata delibera dell’Ateneo (i.e. del Rettore); c) che tale delibera sia sottoposta agli organi di vigilanza, cioè al Consiglio di amministrazione (Cass. 9 maggio 2011, n. 10103; Cass. 23 marzo 2011, n. 6672; Cass. 13 maggio 2016, n. 9880); d) che sia prodotta in giudizio idonea documentazione in merito alla sussistenza dei due suddetti elementi (vedi: Cass. 14 ottobre 2011, n. 21296; Cass. 10 giugno 2010, n. 13968; Cass. 17 maggio 2007, n. 11516; Cass. 2 maggio 2007, n. 10099; Cass. SU 16 giugno 2005, n. 12868).

Nè tale disciplina collide con il riconoscimento di autonomia finanziaria, contabile e normativa (statutaria e regolamentare) agli Atenei ad opera della L. 9 maggio 1989, n. 168 e in attuazione dell’art. 33 Cost.. Infatti, l’art. 7, comma 11, di tale legge non ha derogato o implicitamente abrogato le disposizioni dei regi decreti sopra richiamati e le norme legislative che nel corso del tempo ne hanno completato la disciplina, le quali recano uno speciale regime del patrocinio degli enti pubblici in genere – e, quindi, delle Università statali – principalmente finalizzato a razionalizzare le spese di tali enti, assicurando la trasparenza e il buon funzionamento della pubblica amministrazione, mediante la previsione secondo cui il provvedimento dell’organo di amministrazione attiva non è da solo sufficiente, essendo necessario che venga seguito da un provvedimento autorizzatorio da parte del diverso organo competente per la gestione finanziaria dell’ente stesso, in base al relativo ordinamento interno, ordinamento che peraltro non può derogare alla legislazione primaria (vedi: Cass. 14 ottobre 2011, n. 21296; Cass. 22 dicembre 2005, n. 28487; Cass., 9 maggio 2011, n. 10103).

E la rilevanza dell’obiettivo di razionalizzare la spesa pubblica trova conferma nella duplice considerazione secondo cui: a) in base all’art. 43 cit. l’adozione del provvedimento di autorizzazione al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato deve essere promossa “di concerto” con i Ministri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze; b) la condotta del dirigente che si sia avvalso, per la difesa dell’ente di appartenenza, di avvocati del libero foro senza la preventiva autorizzazione può anche essere fonte di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, sempre che in concreto ne ricorrano gli estremi (vedi, mutatis mutandis: Corte Conti Lazio Sez. giur., sentenza 10 luglio 2017, n. 164).

D’altra parte, nè il regolamento dell’Università nè lo Statuto possono validamente contenere disposizioni che siano in contrasto con quelle previste da norme primarie – tanto più processuali, come quelle in argomento – potendo esclusivamente disciplinare aspetti organizzativi, finanziari, contabili, didattici e scientifici dell’attività dell’Ateneo (vedi, per tutte: Cass. 28 aprile 2011, n. 9451; Cass. 22 dicembre 2005, n. 28487; Cass. 26 gennaio 2001, n. 1086; Cass. 10 settembre 1997, n. 8877).

18. Per quanto concerne il presente giudizio, dallo Statuto dell’Università Cà Foscari risulta chiaramente che il Rettore, pur avendo la rappresentanza legale dell’Ateneo (vedi: Cass. 13 aprile 2012, n. 5885) e “la responsabilità del perseguimento delle finalità dell’Ateneo secondo criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e promozione del merito” non ha competenza propria in ordine all’attività finanziaria dell’Università. Infatti, è il Consiglio di Amministrazione l’organo cui è affidato lo svolgimento delle “funzioni di indirizzo strategico e di controllo dell’attività amministrativa, finanziaria e patrimoniale dell’Ateneo”.

Pertanto, non possono nutrirsi dubbi sul fatto che l’organo di vigilanza alla cui approvazione deve essere sottoposta la motivata delibera di conferimento “in casi speciali” (vedi art. 43 cit.) ad un difensore del libero foro della difesa dell’Università sia, nella specie, da individuare nel Consiglio di amministrazione, mentre al Rettore che peraltro presiede il Consiglio di amministrazione – non competono specifiche attribuzioni in ordine all’attività finanziaria dell’Università, visto che i compiti di vigilanza “sul funzionamento dell’economato, della cassa e degli uffici per quanto concerne i servizi amministrativi e contabili” sono attribuiti dal R.D. n. 1592 del 1933, art. 12 cit. al “Presidente del Consiglio di amministrazione” e quindi, nel nostro caso, al Rettore ma in tale veste.

Va, infine, precisato sul punto che, dato il tipo di interessi pubblici (in primo luogo finanziari) cui la suddetta disciplina è finalizzata, non ha alcun rilievo la mancata esplicita menzione da parte dello Statuto dell’Università – tra i compiti del Consiglio di amministrazione – dell’adozione di decisioni relative alla partecipazione in giudizio dell’Ateneo, fra cui rientra quella in oggetto, visto che comunque tali decisioni comportano delle spese per l’Ateneo e pertanto rientrano nella generale attività di competenza del suddetto Consiglio.

19. Nè d’altra parte, come regola generale e astratta, potrebbe considerarsi sufficiente un provvedimento del Rettore onde ottenere una decisione più tempestiva ed efficace, in quanto:

a) nel bilanciamento dei vari interessi in gioco quelli che il legislatore ha considerato prevalenti sono quelli di tutela della finanza pubblica;

b) peraltro, in base all’art. 97 Cost. e al principio del giusto procedimento amministrativo (di cui alla L. n. 241 del 1990 e successive modifiche), tutte le Pubbliche Amministrazioni sono tenute, fra l’altro, a snellire e rendere più celere l’azione amministrativa;

c) poichè il Rettore ha anche il ruolo di Presidente del Consiglio di amministrazione è in condizione di assicurare il rispetto degli anzidetti principi, evitando che il completamento della procedura autorizzatoria de qua si prolunghi nel tempo senza valide giustificazioni (vedi: Cass. 13 maggio 2016, n. 9880).

20. Deve comunque essere sottolineato che, come più volte affermato in giurisprudenza, laddove ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi del R.D. n. 1592 del 1933, art. 12 cit., il Rettore, nella suddetta qualità di Presidente del Consiglio d’amministrazione, avendo la rappresentanza legale dell’Università può direttamente prendere “i provvedimenti d’urgenza riferendone al Consiglio per la ratifica nella prima successiva adunanza” (Cass. 4 novembre 2009, n. 23419; Cass. 23 marzo 2011, n. 6672; Cass. 9 maggio 2011, 10103).

Questo vuol dire che, in una simile documentata evenienza, il Rettore può provvedere al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purchè curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal Consiglio di amministrazione, così sanando l’originaria irregolarità (vedi, per tutte: Cass. 14 febbraio 2017, n. 3837; Cass. 9 febbraio 2017, n. 3465; TAR Lazio Roma, III, 2 gennaio 2014, n. 29).

21. Vi è poi un’ipotesi in cui il R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11, espressamente esclude del tutto la necessità di sottoporre agli organi di vigilanza il provvedimento dal quale risulti che l’ente non intende avvalersi del patrocinio autorizzato della Avvocatura dello Stato ma di un avvocato del libero foro.

Questa è l’ipotesi in cui si sia in presenza di un “conflitto di interessi” tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio, con la precisazione che si deve trattare di un documentato conflitto reale e non meramente ipotetico, il quale può verificarsi soltanto se nel giudizio si registri una divergenza degli interessi di cui gli enti configgenti sono portatori, il che presuppone che si tratti di interessi che, pur diversi, in qualche modo, siano tali da poter collidere.

In altri termini, un simile conflitto può registrarsi nei casi in cui la controparte dell’ente pubblico che si giova del patrocinio autorizzato come le Università statali – sia un’Amministrazione dello Stato, nonchè in tutti gli altri casi si determini un conflitto degli interessi sostanziali dell’ente con quelli dell’Amministrazione statale che è presente in giudizio.

E’ noto che, per orientamento consolidato in giurisprudenza, la rappresentanza processuale dell’Avvocatura dello Stato non comporta anche la rappresentanza “sostanziale” della PA, sicchè l’Avvocatura dello Stato non può disporre del diritto sostanziale controverso (vedi: Cass. 2 febbraio 1973, n.321; Cons. Stato, sez. 4, 7 marzo 1978, n. 178; Cons. Stato 6 maggio 1980, n. 502; Cons. Stato, sez. 4, 6 aprile 2000, n. 1995), la cui titolarità è, conseguentemente, riservata all’Amministrazione. Tuttavia, l’Avvocatura può compiere tutti quegli atti processuali (quali, ad esempio, la rinunzia agli atti del giudizio) che, pur non costituendo disposizione del diritto sostanziale controverso, possono nondimeno determinare effetti di natura sostanziale, rientrando tale possibilità nell’ambito della pienezza dei poteri attribuiti al’Avvocatura in ordine alla gestione tecnica della lite, all’esercizio delle varie facoltà processuali, alla utile conduzione della causa dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 1, comma 2, cit., ove si stabilisce che gli avvocati ed i procuratori dello Stato in virtù della loro qualifica possono compiere, anche senza mandato speciale, tutti gli atti processuali che le ordinarie norme di procedura vietano ai difensori con procura che non siano forniti di mandato o procura speciale.

22. Di tale complessiva normativa si deve tenere conto pure ai fini dell’individuazione della fattispecie del “conflitto di interessi” fra enti che consentono di derogare alla normativa generale di cui si tratta, anche sulla base delle ipotesi esaminate al riguardo nella giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento alle Università statali.

Da tale giurisprudenza risulta che questa Corte ha ritenuto valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del Rettore non seguito dal vaglio dell’organo di vigilanza (Consiglio di amministrazione) in casi in cui si era in presenza di un concreto conflitto d’interessi tra l’Università e Amministrazioni statali (cui si applica il patrocinio “obbligatorio” dell’Avvocatura dello Stato) – in particolare con il Ministero dell’Economia e delle Finanze – per specifiche ragioni indicate in atti riguardanti il diritto sostanziale controverso (tipo di credito azionato:

Cass. 14 febbraio 2017, n. 3837 e Cass. 9 febbraio 2017, n. 3465) oppure atti processuali che, pur non costituendo disposizione del diritto sostanziale controverso, potevano determinare effetti di natura sostanziale (eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in primo grado dall’Università: Cass. 13 maggio 2016, n. 9880).

E’ stato, altresì, precisato al riguardo che la presenza di un simile conflitto di interessi comporta la radicale non ipotizzabilità del “patrocinio autorizzato” dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, sicchè non vi è alcuna ragione di richiedere una preventiva autorizzazione (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28487; Cass. 26 gennaio 2001, n. 1086).

23. In sintesi, laddove, il mandato all’avvocato del libero foro sia stato rilasciato dal Rettore senza il vaglio dell’organo di vigilanza (nella specie: Consiglio di amministrazione) e non ricorra un caso di urgenza oppure non si sia in presenza di un conflitto di interessi reale del tipo indicato, tale atto è nullo ed è suscettibile di sanatoria soltanto nei limiti stabiliti dall’art. 125 c.p.c. e a certe condizioni ma esclusivamente per i giudizi di merito e non per il giudizio di cassazione, a meno che si sia formato giudicato interno sul punto (arg. ex Cass. SU 13 giugno 2014, n. 13431; Cass. 11 giugno 2012, n. 9464; Cass. 4 aprile 2017, n. 8741).

Infatti, la delibera dell’organo di vigilanza si configura come un requisito indispensabile per la validità del mandato difensivo conferito all’avvocato del libero foro imposto dalla richiamata normativa speciale sul patrocinio autorizzato e per tale ragione la sua mancanza determina la nullità del mandato il suddetto avvocato il quale rimane sfornito dello jus postulandi in nome e per conto dell’ente pubblico (Cass. SU 5 luglio 1983, n. 4512; Cass. 4 febbraio 1987, n. 1057; Cass. 14 febbraio 1997, n. 1353; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21296).

24. Ciò vale a maggior ragione per il giudizio di cassazione per il quale, secondo un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte assurto al rango di “diritto vivente”, tale vizio non solo è rilevabile anche d’ufficio, come accade per tutti i giudizi (vedi, per tutte: Cass. 18 agosto 1997, n. 7649; Cass. 4 febbraio 1987, n. 1057; Cass. SU 5 luglio 1983, n. 4512; Cass. 20 gennaio 1982, n. 347; Cass. 26 gennaio 2007, n. 1759; Cass. 19 novembre 2007, n. 23953; Cass. SU 19 maggio 2009, n. 11531; Cass. 4 agosto 2010, n. 18062; Cass. 28 aprile 2011, n. 9451) ma determina, in considerazione della nullità del mandato per agire o resistere in sede di legittimità, la nullità assoluta del ricorso (o del controricorso), incidendo sulla relativa ammissibilità (Cass. 18 luglio 2002, n. 10434).

Infatti, poichè per legge la procura ad litem deve fondarsi sulla previa delibera (oppure nei casi di urgenza successiva ratifica) dell’organo competente (vedi: Cass. 29 ottobre 1974, n. 3283; Cass. 22 febbraio 1973, n. 519; Cass. 3 dicembre 1970, n. 2532; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21296 cit.), l’assenza di tale delibera non può non incidere sulla stessa validità della procura speciale e sulla corretta instaurazione del rapporto processuale, indipendentemente dall’eccezione della parte interessata, il cui eventuale comportamento acquiescente rimane irrilevante (vedi, per tutte: Cass. 26 giugno 2007, n. 14843).

Deve aggiungersi che per le Università statali, fermo restando che il mandato all’avvocato del libero foro deve essere sottoscritto dal Rettore, pur in presenza della previa delibera (o della ratifica) del Consiglio di amministrazione, il difensore ha l’onere di produrre – a pena di inammissibilità conseguente alla carenza dello “jus postulandi” – la suddetta preventiva delibera oppure la successiva ratifica, nei casi in cui il Rettore abbia in via di urgenza conferito il mandato (vedi, tra le tante: Cass. SU 10 maggio 2006, n. 10700; Cass. 28 aprile 2011, n. 9451).

25. Nel presente giudizio – nel quale reiteratamente gli ex lettori hanno denunciato la presenza del suddetto vizio – la suindicata previa delibera del Consiglio di amministrazione non è stata prodotta dagli avvocati del libero foro difensori dell’Università i quali sono rimasti inattivi al riguardo, anche dopo la proposizione della relativa eccezione da parte degli ex lettori.

D’altra parte deve essere esclusa la ricorrenza di una situazione di conflitto di interessi tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Università Cà Foscari.

Infatti, come si è detto, una simile situazione può verificarsi come è confermato anche dalle ipotesi esaminate da questa Corte e sopra richiamate – soltanto se i differenti interessi sostanziali di cui sono portatori gli enti configgenti, siano suscettibili di avere una qualche interferenza che possa determinare il conflitto.

26. Nella specie, non solo in concreto ma neppure in astratto è ipotizzabile un conflitto di interessi tra l’Università e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto tali enti, nel presente giudizio, sono titolari di interessi che non hanno alcuna interferenza reciproca, essendo del tutto differenti.

Invero, come si legge anche nel ricorso dell’Università Cà Foscari la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata chiamata a rispondere alla domanda di risarcimento del danno da parte dello Stato per la mancata tempestiva attuazione del diritto dell’Unione e in particolare violazione della sentenza di condanna della Corte di giustizia del 26 giugno 2001.

Si tratta, quindi, di una domanda che ha la sua base nel diritto di non discriminazione riconosciuto dal Trattato UE e che nasce dalla inesatta attuazione, da parte del nostro Stato, della sentenza Corte di giustizia 26 giugno 2001, C-212/99 (Commissione, c. Italia), che ha condannato il nostro Paese per essere venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 48 del Trattato (ex art. 39 CE) per non aver “assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”, violazione che trova riscontro successivo nella sentenza 18 luglio 2006, C119/04, con la quale la Corte di giustizia (Grande Sezione) ha nuovamente condannato l’Italia (per il periodo ante d.l. n. 2/2004) stabilendo che: la Repubblica italiana non ha attuato tutti i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza 26 giugno 2001, causa C 212/99, comportava, ed è pertanto venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 228 CE, perchè non ha assicurato, alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato della Commissione Europea, il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, mentre tale riconoscimento era garantito alla generalità dei lavoratori nazionali.

E’, pertanto, evidente che la pretesa fatta valere nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri è del tutto diversa dalle domande proposte nei confronti dell’Università, che è stata chiamata in giudizio nella sua qualità di datrice di lavoro per le richieste differenze di trattamento retributivo e previdenziale.

Pertanto gli interessi sostanziali che nel presente giudizio vengono, rispettivamente, tutelati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Università Cà Foscari sono del tutto distinti e tra di essi non è ipotizzabile alcun conflitto – nei termini che qui interessano come, del resto, è confermato anche dal fatto che nei due gradi di merito entrambi gli enti si sono avvalsi della unitaria difesa dell’Avvocatura dello Stato.

27. Nè potrebbe ipotizzarsi un “conflitto di interessi” sopravvenuto nel giudizio di cassazione per il fatto che la Corte d’appello ha respinto la domanda proposta dagli originari ricorrenti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri mentre ha confermato le sentenze di primo grado per le parti relative alla condanna dell’Università alla ricostruzione della carriera etc..

Infatti, si deve tenere presente che la disciplina del conflitto di interessi rappresenta, nell’ambito dell’art. 43 del R.D. cit. una eccezione rispetto ad un regime – quello del conferimento del mandato difensivo ad un avvocato del libero foro – che è a sua volta configurato come eccezionale, per le anzidette ragioni, rispetto alla difesa ope legis da parte dell’Avvocatura dello Stato.

Pertanto, la circostanza che un ente sia risultato vittorioso in appello e l’altro no non può certamente considerarsi da sola sufficiente a derogare a tale regime, sull’assunto indimostrato che essa abbia dato luogo – ai presenti fini – ad una situazione di conflitto tra interessi che ontologicamente sono e restano insuscettibili di configgere, data la loro totale intrinseca diversità.

28. Ne deriva che, nella specie, il conferimento del mandato da parte del Rettore avrebbe dovuto essere autorizzato con delibera del Consiglio di amministrazione che, non risultando prodotta, si deve considerare mancante.

Quindi il mandato alle liti conferito agli avvocati del libero foro dal Rettore dell’Università Cà Foscari è nullo, in applicazione della suindicata normativa primaria processuale, insuscettibile di essere derogata da norme di rango secondario come quelle contenute nel Regolamento e nello Statuto dell’Università, senza che ovviamente possa avere alcuna rilevanza in contrario quanto affermato sul punto nell’ordinanza n. 79 del 4 gennaio 2017 con la quale la Sezione Lavoro ha rimesso la causa al Primo Presidente per la sua eventuale assegnazione a queste Sezioni Unite, visto che una simile ordinanza ha, per definizione, carattere interlocutorio e non decisorio.

Alla suddetta nullità del mandato consegue la doverosa declaratoria di inammissibilità del ricorso dell’Università Cà Foscari, siccome sottoscritto da un avvocato del libero foro senza che vi sia prova di tutti i requisiti di cui al R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4. Il che comporta l’irrilevanza sia della proposta istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE sia della prospettata questione di legittimità costituzionale (entrambe avanzate dai lettori).

V – Esame del ricorso incidentale.

29. I tre motivi del ricorso incidentale – da trattare congiuntamente, perchè sono intimamente connessi, riguardando tutti, per profili diversi, soltanto la decisione di rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri – sono da respingere, per le ragioni di seguito esposte.

27. La Corte territoriale è pervenuta alla contestata conclusione rilevando che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la suddetta domanda risarcitoria proposta per il ritardo nell’adempimento degli obblighi comunitari non è risultata, nella specie, sufficientemente dettagliata dagli interessati, i quali comunque nulla hanno dedotto e provato in merito al c.d. danno previdenziale, nè tali carenze probatorie state sanate dalla disposta CTU contabile, la quale si è limitata a quantificare gli importi dei contributi previdenziali prescritti.

28. Ne consegue che non risulta che la Corte d’appello abbia violato i principi affermati dalla Corte di giustizia in materia di conseguenze del ritardo da parte del nostro Stato nell’adozione dei provvedimenti necessari per conformarsi alla citata sentenza di condanna del 26 giugno 2001 (come si sostiene nel primo motivo) nè che abbia affermato che l’obbligo comunitario come configurato dalla Corte di giustizia non era sufficientemente determinato (come si afferma nel secondo motivo).

Anzi, la Corte proprio muovendo dalla doverosa applicazione da dare alle sentenze della Corte di giustizia – e, in particolare, alla citata sentenza del 26 giugno 2001 – ha preso in considerazione l’affermazione ivi contenuta secondo cui il riconoscimento della anzianità di servizio in favore dei lettori comunque denominati deve produrre effetti anche ai fini della quantificazione dei contributi previdenziali.

Ebbene, proprio con riferimento a tale statuizione, la Corte d’appello – dovendo procedere alla quantificazione, in concreto, dei suddetti contributi (in linea anche con i principi affermati dalla Corte di giustizia, vedi, per tutte: sentenza 3 settembre 2014, C-318/13, punti 43-44 e giurisprudenza ivi citata) – ha rilevato che la relativa domanda, per come formulata, non gli offriva gli elementi necessari per effettuare tale quantificazione e che, d’altra parte, per superare tale mancanza di specificità non si poteva neppure fare riferimento alla CTU contabile disposta nel giudizio di primo grado, perchè essa si era limitata a quantificare soltanto gli importi dei contributi previdenziali prescritti.

Pertanto, la ragione per la quale la Corte d’appello ha respinto la domanda risarcitoria de qua è stata chiaramente individuata nella rilevata carenza di specificità della domanda non sanabile tramite la disposta CTU contabile, con particolare riguardo al c.d. danno previdenziale.

29. Ebbene, neppure nel terzo motivo – con il quale si denuncia la contraddittorietà della motivazione proprio in ordine alla prova del danno previdenziale patito dai ricorrenti – questa ratio decidendi viene efficacemente confutata, in quanto ci si limita ad osservare che, una volta riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla regolarizzazione previdenziale del rapporto sin dalla prima assunzione, attesa la pacifica operatività della prescrizione di parte dei contributi dovuti, il suddetto danno non può che coincidere con i contributi non versati, quantificati dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado di giudizio.

Ma, in tal modo:

a) da un lato si configura il risarcimento del c.d. danno previdenziale come “automatico”, una volta accertato l’omesso versamento dei contributi, mentre una simile configurazione si pone in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 5 gennaio 2011, n. 199);

b) d’altra parte, non si contesta la suddetta statuizione della Corte circa il contenuto della CTU di primo grado e neppure ci si attiene al dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (c.d. autosufficienza) ponendo queste Sezioni Unite in condizione di verificare l’eventuale sussistenza del vizio denunciato (per essere in ipotesi, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, la domanda sufficientemente dettagliata ovvero la CTU utile a sanare la sua rilevata scarsa specificità, in particolare con riguardo al c.d. danno previdenziale).

Il ricorso incidentale non è quindi fondato.

III – Conclusioni.

30. In sintesi il ricorso principale (RGN 23099/2011) va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale (RGN 23444/2011) va respinto.

La soccombenza reciproca, fra la ricorrente principale e i ricorrenti incidentali, giustifica fra loro la compensazione delle spese processuali di questo giudizio di cassazione, che, per le altre parti, trova giustificazione nella complessità delle questioni trattate e nella sostanziale novità della questione riguardante l’individuazione della fattispecie del “conflitto di interessi” di cui al R.D. n. 1611 del 1933, art. 43.

31. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c. si ritiene opportuno di enunciare il seguente principio di diritto:

“ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43 – come modificato dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11 – la facoltà per le Università statali di derogare, “in casi speciali” al “patrocinio autorizzato” spettante ex lege all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti, è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente (i.e. del Rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza per un controllo di legittimità (i. e. Consiglio di amministrazione). Come regola generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal Regolamento o dallo Statuto dell’Università, le quali sono fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria. Però nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi del R.D. n. 1592 del 1933, art. 12, il Rettore, nella qualità di Presidente del Consiglio d’amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purchè curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal Consiglio di amministrazione, così sanando la originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del Rettore non seguito dal vaglio del Consiglio di amministrazione nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio. Infatti, la presenza di un simile conflitto di interessi – che deve essere reale, non meramente ipotetico e documentato – rende non ipotizzabile il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, sicchè non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione”.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso n. 23099/2011 e rigetta il ricorso n. 23444/2011. Spese compensate tra le parti.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017

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