Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24876 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. trib., 06/12/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 06/12/2016), n.24876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30343/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE S. ANTONIO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA C.SO

TRIESTE 109, presso lo studio dell’avvocato DONATO MONDELLI, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 377/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

FOGGIA, depositata il 22/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2016 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FERRANDO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MONDELLI che ha chiesto

l’inammissibilità o rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. L’Agenzia delle entrate iscriveva a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, nei confronti dei soci della Società Cooperativa Sociale Sant’Antonio la somma dovuta in conseguenza del recupero a tassazione del credito d’imposta utilizzato dalla società per l’incremento occupazionale previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, per l’anno di imposta 2004. Proposto ricorso da parte della contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale di Foggia lo accoglieva e la sentenza era confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, sul rilievo che l’Agenzia delle entrate non aveva proceduto al recupero dei crediti d’imposta indebitamente fruiti in compensazione notificando atto di recupero secondo la procedura prevista con la circolare numero 35/E.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi. Resiste la contribuente con controricorso.

3. Con il primo motivo si deduce motivazione insufficiente ed illogica su un fatto controverso decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto l’Ufficio non aveva mai sostenuto di aver notificato l’avviso di recupero del credito d’imposta ma aveva solo evidenziato che la pretesa fatta valere con la cartella era scaturita dal controllo automatizzato della dichiarazione effettuata nell’anno 2005 in quanto era emerso che, oltre all’importo complessivo utilizzato e dichiarato al rigo RU 15-003, la contribuente aveva utilizzato un ulteriore credito per l’ammontare di Euro 312.391,00 che non era stato indicato al rigo RU 15-001. Dunque la cartella era stata emessa non per la ritenuta insussistenza del credito ma per il fatto che la contribuente non lo aveva esposto nella dichiarazione dei redditi. Del tutto inconferente, perciò, si appalesa il richiamo operato dalla CTR alla circolare numero 35/E, con la quale l’Agenzia ha fornito istruzioni agli uffici relativamente ai controlli nei confronti dei soggetti che hanno fruito dei crediti d’imposta prevedendo la notifica di un apposito atto di recupero allorchè all’esito dei controlli sostanziali dei presupposti dell’agevolazione risulti l’indebito utilizzo del credito per la mancanza dei presupposti e dei requisiti dalla legge richiesti.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in quanto il potere di rettifica previsto da tale norma rende possibile la sollecita correzione da parte dell’Ufficio delle anomalie emergenti dalle dichiarazioni della contribuente sicchè, attraverso il confronto contabile, l’Ufficio ha rilevato che essa aveva utilizzato un credito non risultante dalla dichiarazione e, conseguentemente, la cartella non doveva essere preceduta dalla notifica dell’atto di recupero del credito d’imposta.

5. Osserva la Corte che i motivi di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica.

La Corte di legittimità ha affermato che la dichiarazione affetta da errori di fatto o di diritto da cui possa derivare, in contrasto con l’art. 53 Cost., l’assoggettamento del contribuente a tributi più gravosi di quelli previsti per legge è emendabile anche in sede contenziosa, attesa la sua natura di mera esternazione di scienza, dovendosi ritenere che il limite temporale di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, sia circoscritto ai fini dell’utilizzabilità in compensazione, ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, dell’eventuale credito risultante dalla rettifica (Cass. n. 22443 del 03/11/2015). Nel caso che occupa l’Agenzia delle entrate assume di aver proceduto a ridurre il credito di imposta non spettante sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione presentata nel 2005, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 2, lett. e.

Ciò premesso, va considerato che la Corte di legittimità, con la sentenza n. 13378 pronunciata a Sezioni Unite il 7 giugno 2016, chiamata a decidere sul contrasto tra diversi orientamenti formatisi sulla emendabilità della dichiarazione, ha affermato il principio per il quale occorre distinguere il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione rispetto a quelle che governano il processo tributario. Ciò in quanto oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. Dunque, in tal caso, sussiste il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.

Ha affermato la Corte il seguente principio di diritto “La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Il rimborso dei versamenti diretti di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria”.

Al lume di tale principio, se da un lato è ben vero che la contribuente non ha indicato il credito per l’ammontare di Euro 312.391,00 nel rigo RU 15-001, dall’altro si legge nella sentenza impugnata che la contribuente aveva fornito la prova della spettanza del credito, per il che l’esistenza del credito stesso deve ritenersi accertata.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va, perciò, rigettato. Le spese processuali si compensano in considerazione del fatto che la causa è decisa sulla base del recente arresto della Suprema Corte.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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