Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24876 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/10/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 04/10/2019), n.24876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25999-2017 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19,

presso lo studio (TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO RAFFAELE),

rappresentata e difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

– ricorrente principale –

contro

A.V., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNA COGO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 468/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/05/2017 R.G.N. 159/2015.

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

la sig.ra A.V. appellava la sentenza con la quale il giudice del lavoro di Modica aveva respinto la domanda, di cui al ricorso introduttivo in data sette marzo 2007 della stessa appellante, volta ad ottenere la nullità, parziale (limitatamente all’apposizione del termine finale, con conseguente conversione in rapporto a tempo indeterminato) del contratto di assunzione a tempo determinato, alle dipendenze di POSTE ITALIANE S.p.a., per il periodo primo luglio – 30 settembre 2002, stipulato per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione aziendale, ivi comprese quelle connesse ad un più funzionale riposizionamento di risorse umane sul territorio, nonchè all’attuazione degli accordi sindacali del 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo;

la Corte d’Appello di Catania con sentenza n. 468 in data 20 aprile – due maggio 2017, in riforma della gravata pronuncia, dichiarava la nullità dell’apposizione del termine al contratto stipulato il 29 giugno 2002, con decorrenza dal successivo primo luglio, per l’effetto dichiarando altresì il rapporto di lavoro in questione sin dall’origine a tempo indeterminato; condannava la società Poste Italiane alla riammissione in servizio dell’appellante, nonchè al risarcimento del danno in favore di quest’ultimo, mediante versamento di un’indennità pari a tre mensilità della retribuzione globale di fatto goduta alla scadenza del termine, oltre accessori di legge dalla data della pronuncia sino al saldo. Condannava, infine, la società appellata al rimborso delle spese relative ad entrambi i gradi di giudizio, all’uopo liquidate, con distrazione a favore del difensore anticipatario costituito l’appellante;

secondo la Corte catanese, esclusa la risoluzione del contratto per mutuo consenso, eccepito da POSTE ITALIANE, ritenuta provata la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori da parte della società convenuta e giudicato infondato il motivo di appello relativo alla pretesa inosservanza della cosiddetta clausola di contingentamento, nonchè quello concernente l’asserita genericità della causale indicata nel suddetto contratto in data 29 giugno 2002, avuto riguardo in proposito soprattutto riferimenti relativi agli anzidetti accordi sindacali, ritenuta parimenti sufficientemente specifica la concomitante esigenza sostitutiva, non risultava, tuttavia, idoneamente offerta in giudizio la prova della reale sussistenza delle ragioni organizzative di assunzione indicate nel contratto in questione, e segnatamente quella relativa al collegamento causale tra le richiamate procedure e l’assunzione dell’appellante nella specifica realtà produttiva di destinazione, ovvero tra il numero – reale o stimato – dei lavoratori da “riposizionare” nell’ufficio di (OMISSIS) ed il numero dei contrattisti a termine assunti, tra i quali la stessa ricorrente. Ad avviso della Corte territoriale, il capitolo di prova n. 12, articolato da parte resistente, risultava certamente generico, non essendo stati specificati quali o almeno quanti dipendenti a tempo indeterminato dell’unità produttiva cui era addetta la lavoratrice fossero stati in concreto coinvolti, e con quali modalità, nella fase attuativa delle procedure di mobilità. In base alla espletata prova per testi l’esigenza di sostituire personale assente per ferie risultava smentita. Peraltro, dai documenti prodotti non si evinceva il numero dei portalettere assenti. Pertanto, secondo la Corte distrettuale l’esigenza indicata in contratto era rimasta sprovvista di prova sia in relazione a quella complessa, concernente il riposizionamento del personale, accentuata dall’assenza per ferie nel periodo giugno – settembre, non risultando dimostrato che il processo riorganizzativo avesse interessato ed in quale misura l’ufficio di (OMISSIS), sia in relazione ad esigenze diverse “non essendovi prova (oltre che delle esigenze organizzative) delle esigenze di sostituire portalettere assenti per ferie”. Di conseguenza, l’apposizione del termine al contratto in argomento era nulla, sicchè il rapporto di lavoro andava considerato a tempo indeterminato fin dal 1 luglio 2002;

avverso la succitata pronuncia d’appello ha proposto ricorso per cassazione Poste italiane S.p.A. come da atto notificato tramite posta elettronica certificata il 31 ottobre 2017, affidato a tre motivi, cui ha resistito la signora A.V. mediante controricorso in data 7/12 dicembre 2017, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi;

privi rituali e tempestivi avvisi di rito alle parti per l’adunanza camerale fissata al 20 febbraio 2019, la ricorrente principale ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la società Poste Italiane ha denunciato violazione e o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375,2697,1427 e 1431 c.c. nonchè art. 100 c.p.c., relativamente risoluzione per mutuo consenso del rapporto intercorso tra le parti, però escluso dalla Corte territoriale, tanto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

con il secondo motivo del ricorso principale è stata inoltre dedotta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1362 nonchè 1363 c.p.c. e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 in relazione all’interpretazione della causale del contratto a tempo determinato;

infine, con il terzo motivo Poste Italiane, ai sensi del citato art. 360, n. 3, si è doluta della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 115,116 e 244 c.p.c., per non avere la Corte consentito ad essa società di dimostrare la sussistenza delle esigenze sottese alla causale del contratto a tempo determinato;

a sua volta, la controricorrente con il suo ricorso incidentale ha denunciato con il primo motivo la violazione falsa e applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in relazione criteri previsti dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 per la quantificazione dell’indennità risarcitoria, mentre con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha dedotto vizio di motivazione circa la liquidazione dell’indennizzo di cui al citato art. 32, operata dalla Corte distrettuale, con argomentazione apparente, illogica e contraddittoria per omessa pronuncia in relazione a circostanze all’uopo dedotte in giudizio; tanto premesso, i primi due motivi del ricorso principale vanno disattesi per le seguenti ragioni, mentre il terzo può essere accolto per quanto di ragione, di guisa che inoltre resta assorbito il ricorso incidentale, le cui doglianze, attinenti esclusivamente al quantum, presuppongono sotto il profilo logico-giuridico la risoluzione della vertenza circa l’an debetatur, che di conseguenza resta ancora impregiudicata attesa la rilevanza della terza censura principale, di per sè autonomamente rilevante sul punto;

invero, quanto al mutuo connesso la Corte di merito motivatamente (v. pag. 4 della sentenza de qua) non ha ravvisato elementi di prova univoci da cui poter desumere il venir meno dell’interesse della lavoratrice al ripristino, completo e stabile, del rapporto contrattuale, inizialmente stipulato a tempo determinato, perciò facendo valere le proprie ragioni circa la sostenuta invalida apposizione del termine finale, con l’ulteriore precisazione inoltre che il relativo onere probatorio – circa il difetto di un tale interesse, la cui mancanza evidentemente è stata eccepita da parte della società convenuta – non poteva di certo ricondursi a carico dell’attrice (cfr., del resto, Cass. lav. n. 29781 del 12/12/2017: in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente. V. parimenti Cass. lav., n. 16948 del 27/06/2018, secondo cui, in tema di somministrazione di lavoro a termine, l’accertamento della sussistenza di una chiara e comune volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito, sindacabile nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tempo per tempo vigente.

V. inoltre Cass. lav. n. 20704 del 14/10/2015: nel giudizio instaurato per la dichiarazione di nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro a tempo determinato, affinchè possa configurarsi la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che costituisce pur sempre una manifestazione di volontà negoziale, anche se tacita, è necessaria una chiara e certa volontà consensuale di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, mentre non è sufficiente un atteggiamento meramente remissivo del lavoratore, che non può essere inteso come acquiescenza se finalizzato a favorire una nuova chiamata o addirittura una possibile stabilizzazione. Conforme Cass. n. 13535 del 2015. Inoltre, secondo Cass. lav. n. 14209 del 05/06/2013, il contratto di lavoro può essere dichiarato risolto per mutuo consenso anche in presenza non di dichiarazioni, ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, spettando al giudice del merito la valutazione sulla loro efficacia solutoria, in base ad un apprezzamento che, se congruamente motivato sul piano logico-giuridico, si sottrae a censure in sede di legittimità. In particolare, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372 c.c., comma 1, il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo, in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione. Conforme in part. Cass. n. 15264 del 2007);

quanto al secondo motivo, lo stesso appare in effetti inammissibile, avendo parte ricorrente omesso di indicare specificamente, in relazione al testo della complessiva causale riportata nel contratto stipulato il 29 giugno 2002, come, dove ed in quale misura sarebbero stati erroneamente applicati gli art. 1362 e 1363 c.c. da parte della Corte d’Appello nell’individuazione di una duplice ragione del ricorso all’assunzione a termine (V., in part., Cass. III civ. n. 28319 del 28/11/2017, secondo cui la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. Conforme Cass. I civ. n. 16987 del 27/06/2018.

Cfr. inoltre Cass. III civ. n. 2128 del 31/01/2006: in tema di interpretazione del contratto – riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione – al fine di far valere i suddetti vizi, il ricorrente per cassazione, per il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, deve precisare quali norme ermeneutiche siano state in concreto violate e specificare in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato. In senso analogo v. altresì Cass. lav. n. 8296 del 21/04/2005). Peraltro, l’anzidetta duplicità dalla Corte territoriale è stata anche considerata del tutto legittima, alla stregua pure della citata giurisprudenza di legittimità, laddove nel contratto in esame le esigenze organizzative e quelle sostitutive non risultavano in contrapposizione, sicchè il richiamo contestuale ad entrambe non ne determinava la reciproca elisione. Sul punto, inoltre, l’impugnata sentenza ha richiamato anche il precedente di questa Corte (Sez. 6 – L, ordinanza n. 5942 in data 24/02 – 24/03/2016), che infatti così testualmente argomenta: “…

Il motivo è fondato.

Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito “l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice dello stesso, restando tuttavia impregiudicata la valutazione di merito dell’effettività e coerenza delle ragioni indicate” (v. Cass. 17 -6- 2008 n. 16396). In particolare, come è stato precisato, “la legittimità della apposizione del termine al contratto di lavoro ha sempre richiesto sia nel regime della L. n. 230 del 1962, art. 1, che nella disciplina successiva l’esistenza di una condizione legittimante; ma se nel caso concreto concorrono due ragioni legittimanti è ben possibile che le parti, nel rispetto del criterio di specificità, le indichino entrambe ove non sussista incompatibilità o intrinseca contraddittorietà, nè ridondando ciò di per se solo, salvo un diverso accertamento in. concreto, in incertezza della causa giustificatrice dell’apposizione del termine” (v. Cass. n. 16396/2008 cit. in motivazione e proprio in riferimento alla medesima “doppia causale” di cui al contratto all’esame). Questa Corte ha, poi, ritenuto in numerose decisioni relative a fattispecie in cui in contratto venivano richiamate “…esigenze eccezionali…” o “esigenze tecniche organizzative…” congiuntamente alla necessità di far fronte alle assenze per ferie che la ricorrenza anche di una sola delle esigenze indicate rendesse legittima l’apposizione del termine (tra le varie cfr. Cass. n. 3617 del 14 febbraio 2011). In siffatta situazione è, dunque, evidente la erroneità dell’affermazione contenuta nella impugnata sentenza secondo cui la presenza di una duplice ragione giustificatrice integrasse un “causa complessa” che doveva ricorrere nella sua interezza e della conseguente mancata ammissione della prova testimoniale – pur ritenuta “correttamente formulata” – relativa alle esigenze sostitutive perchè superflua non essendo stata dimostrata la ricorrenza delle esigenze organizzative….”; merita, invece, pregio quanto dedotto da POSTE ITALIANE con il terzo motivo del ricorso principale laddove si lamenta la mancata ammissione della prova per testi sulla seguente circostanza: “I descritti processi hanno determinato numerosi squilibri nella distribuzione sul territorio del personale e situazioni di temporanea carenza di organico, incidenti sul regolare funzionamento dei servizi che hanno investito la stessa unità produttiva cui l’istante è stata addetta” (punto 12 della memoria difensiva per la società), laddove i suddetti processi vanni riferiti, evidentemente, a quelli di “…riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17,18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002 congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo”, come da causale testualmente riportata nel contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato il 29 giugno 2002;

in proposito il collegio, quindi, ritiene condivisibile il criterio seguito in altro analogo caso da questa Corte – sezione lavoro – con la sentenza n. 13157 del 23/03 – 24/06/2016, pronunciata su ricorso della medesima S.p.a. POSTE ITALIANE, avverso decisione d’appello che, nel riformare la sentenza di rigetto, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti in causa dall’1-2-2002 al 30-4- 2002 in ragione di “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè alla attuazione delle previsioni di cui agii accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12.2001, 11 gennaio 2002”. La Corte territoriale anche in quel caso aveva ritenuto non assolto assorto l’onere, a carico del datore di lavoro, di provare la effettività delle ragioni addotte nel contratto, in quanto gli accordi prodotti dimostravano la ricorrenza di quelle esigenze su scala nazionale, ma non anche la loro incidenza sulla necessità di assumere il singolo lavoratore istante. La prova articolata dalla società nella memoria difensiva di primo grado veniva, infatti, giudicata generica e dunque inammissibile, in quanto non idonea ad attestare la ricorrenza del nesso causale sotto il profilo individuale. In proposito la succitata pronuncia, invero, ha richiamato i principi di diritto in proposito affermati dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento a fattispecie nelle quali erano state adoperate clausole giustificatrici di contenuto analogo a quello utilizzato nel caso in esame, secondo cui la specificazione delle ragioni giustificative del termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro attraverso il riferimento “per relationem” ad altri testi scritti accessibili alle parti giacchè, “seppure nel nuovo quadro normativo un autonomo potere di qualificazione delle esigenze aziendali idonee a consentire l’assunzione a termine, tuttavia la mediazione collettiva ed i relativi esiti concertativi restano pur sempre un elemento rilevante di rappresentazione delle esigenze azienda, in termini compatibili con la tutela degli interessi dei dipendenti, con la conseguenza che gli stessi debbono essere attentamente valutati dai giudice ai fini della configurabilità nel caso concreto dei requisiti della fattispecie legale” (Cass. sez. lav., 23/02/2016, n. 3495; 22/02/2016, n. 3412; 1 febbraio 2010 n. 22)9; 27 aprile 2010 n. 10033; 25 maggio 2012 n. 8286; 3.10,2014 n. 20946; 9.7.2015 n. 14336). In altri termini, secondo Cass. n. 13157/16, “è necessario che di fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni addotte a legittimare l’apposizione del termine l’esame del giudice di merito si estenda a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto, allo scopo di acclararne l’effettiva sussistenza, ivi comprendendo l’analisi degli accordi collettivi sopra indicati (cfr., la giurisprudenza già richiamata, cui adde Cass. nn. 2279 e 16303 del 2010, Cass. 25 maggio 2012, n, 8286, Cass. 23 maggio 2013 n. 16102 e Cass. 16.4.2015 n. 7772). Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha omesso di esaminare fonditus il contenuto degli accordi richiamati nel contratto individuale e di valutare la loro concreta idoneità ad assolvere alla funzione di specificazione della causale; ha operato inoltre una sovrapposizione tra il profilo formale, relativo alla specificità della clausola contrattuale – da valutare ex ante ed in astratto – e quello sostanziale, della allegazione e della prova in giudizio della effettiva inerenza al singolo rapporto di lavoro delle esigenze richiamate in contratto. Ed infatti la Corte afferma che la prova articolata dalla società nella memoria difensiva di primo grado era “del tutto generica e quindi inammissibile, in quanto non idonea a dimostrare quel profilo individuale del nesso causale, sopra evidenziato che deve sussistere tra esigenze indicate in contratto e singola assunzione a tempo determinato”. Tale giudizio omette di considerare il fatto oggetto del capitolo di prova n. 11 della memoria di Poste Italiane, ovvero che i processi organizzativi richiamati negli accordi collettivi “hanno indotto numerosi squilibri nella distribuzione sul territorio del personale e situazioni di temporanea carenza di organico incidenti sul regolare funzionamento dei servizi che hanno investito la stessa unità produttiva cui l’istante è addetto”. La mancata ammissione della prova ha dunque determinato l’omesso esame di un fatto potenzialmente decisivo. Sussiste altresì il vizio di contraddittorietà della motivazione giacchè il giudice del merito pone a carico di Poste Italiane S.p.a. le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere della prova dopo avere respinto la istanza di ammissione dei mezzi di prova all’uopo articolati dalla società…”;

d’altro canto (cfr. Cass. lav. n. 12642 del 28/08/2003), l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre deve ritenersi soddisfatta se, ancorchè non precisati in tutti i loro minuti dettagli, i fatti stessi siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllare l’influenza e la pertinenza della prova offerta e per mettere in grado la parte contro la quale essa è diretta di formulare un’adeguata prova contraria, dal momento che l’indagine sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante va condotta non soltanto alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonchè tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi, ai sensi dell’art. 253 c.p.c., affidata alla diligenza del giudice istruttore e dei difensori (v. in senso conforme, tra le altre, Cass. I civ. n. 3716 del 30/05/1983 e III civ. n. 25013 del 10/10/2008. Cfr., per altro verso, anche Cass. lav. n. 19915 del 05/10/2016, secondo cui in tema di prova testimoniale, poichè nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi, affinchè le richieste probatorie rispondano al requisito di specificità è sufficiente indicare, quale oggetto dei mezzi di prova, i fatti inizialmente allegati, senza necessità di riformulazione in capitoli separati, fermo che il giudice di merito, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 421 c.p.c., può assegnare alle parti un termine per rimediare alle irregolarità rilevate nella suddetta capitolazione, sicchè la parte decade dal diritto di assumere la prova solo nell’ipotesi di mancata ottemperanza a tale invito nel termine fissato. Conforme Cass. n. 6214 del 2003);

la sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione alle censure accolte con conseguente rimessione della causa ad altro giudice, che provvederà alla sua definizione sulla base dei principi di diritto sopra richiamati, oltre che sulle spese processuali, comprese quelle relative a questo giudizio di legittimità;

essendo risultata, infine, l’impugnazione principale, sebbene in parte, fondata, non ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. Ovviamente, nemmeno sussistono tali presupposti per il ricorso incidentale, atteso il suo assorbimento, con conseguente inesistenza di ogni esito negativo per lo stesso.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, del quale rigetta invece i primi due, dichiarando inoltre per intero assorbito il ricorso incidentale. Cassa l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Catania in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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