Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24870 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2018, (ud. 28/02/2018, dep. 09/10/2018), n.24870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1947-2017 proposto da:

S.M., e SA.LU., elettivamente domiciliati in Roma,

ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Angelo

Benedetto;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI S.P.A., p. i.v.a. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, via Clemente IX, n. 10, presso lo studio dell’avvocato Lucia

Feliciotti, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

R.F., FALLIMENTO (OMISSIS) S.N.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 684/2016 della Corte d’appello di Lecce,

depositata il 28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/02/2018 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO

S.M. e Sa.Lu. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecce, la (OMISSIS) s.n.c., R.F. e la Nuova Tirrenia Assicurazioni s.p.a. (cui oggi è subentrata la Groupama Assicurazioni s.p.a.), nelle rispettive qualifiche di proprietaria, conducente e assicuratrice di un veicolo coinvolto in un incidente stradale con un ciclomotore sul quale viaggiavano gli attori. Chiedevano il risarcimento del danno biologico per entrambi, del danno alla capacità lavorativa specifica per lo S. e del danno per la perdita dell’anno scolastico per il Sa..

Le domande attoree trovavano parziale accoglimento. La decisione del Tribunale veniva quindi appellata dai danneggiati, che insistevano per l’integrale accoglimento delle domande proposte.

La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva solo in parte il gravame.

La decisione è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte dello S. e del Sa.. La Groupama Assicurazioni s.p.a. ha resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Lo S. e il Sa. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

In via preliminare va rilevata l’inammissibilità del ricorso per carenza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Infatti, risulta del tutto omessa l’indicazione delle norme di diritto che assumono violate. Nel ricorso si fa menzione solamente del genere di vizi di legittimità, fra quelli previsti dall’art. 360 c.p.c., che si intendono far valere, ma manca l’enunciazione delle norme di diritto sostanziale o processuale cui dette violazioni si riferiscono.

Inoltre, il ricorso per cassazione rinvia, per la definizione delle questioni sottoposte all’attenzione di questa Corte, ai motivi dell’atto di appello. Tale rinvio è inammissibile per molteplici ragioni. Anzitutto, perchè viola il principio di autosufficienza, in base al quale il contenuto del ricorso per cassazione non può essere colmato mediante il rinvio ad altri atti processuali il cui contenuto non sia testualmente riportato. In secondo luogo, perchè le doglianze dell’atto di appello, che attengono al giudizio di merito, non possono essere automaticamente trasposte nel giudizio di legittimità. Infine, perchè le censure di legittimità devono essere svolte in contrapposizione dialettica con la sentenza impugnata e quindi non possono risolversi nella mera riproposizione di motivi già scrutinati dal giudice d’appello.

Sebbene tali considerazioni siano assorbenti, l’esito del giudizio non muterebbe neppure ove si ipotizzasse che le norme violate possano, per alcuni dei motivi, ricavarsi dalla lettura degli stessi.

In particolare, con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di circostanze di fatto decisive relative alla dimostrazione concreta della perdita di chance lavorative da parte del Sa.. Il motivo consiste nella riproposizione delle doglianze già formulate con il secondo motivo di appello.

Le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Tali condizioni non sono soddisfatte dalla formulazione del motivo in esame, che si limita a prospettare una lettura alternativa delle risultanze istruttorie già acquisite e diversamente valutate dalla corte di merito.

Con il secondo motivo la medesima censura è proposta in relazione alla posizione del Sa.. Anche in questo caso i ricorrenti, reiterando nella sostanza le medesime doglianze già illustrate con il terzo motivo di appello, sollecitano una rilettura delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede, e formulano una censura ben distante dal paradigma legale previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sempre nell’ambito del secondo motivo si deduce la violazione di non meglio precisate norme di diritto. Ciò di cui il Sa., in pratica, si duole è l’omessa liquidazione del danno patrimoniale conseguente la perdita dell’anno scolastico.

La questione è stata espressamente affrontata dalla Corte d’appello nel par. 4 della sentenza impugnata (pag. 7), che rileva l’omessa allegazione dello specifico pregiudizio economico concretamente subito dal ragazzo.

Il ricorrente sostiene che la non dimostrabilità dell’ammontare del danno nel suo esatto ammontare non sarebbe di pregiudizio per la liquidazione dello stesso in via equitativa.

Si tratta di una considerazione che non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, che fa leva sull’omessa allegazione dell’effettiva sussistenza di un danno risarcibile, che costituisce un antecedente logico e giuridico rispetto al problema della sua liquidazione equitativa.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano un errore nel quale sarebbe incorsa la Corte d’appello, consistito nel ritenere che il Tribunale avesse adottato delle “tabelle” per la liquidazione del danno inclusive, nel punto base, anche della sofferenza morale. Essi assumono che tale doglianza sarebbe stata formulata anche con l’atto appello (quarto motivo), ma al riguardo il motivo è carente di autosufficienza in ordine all’effettiva proposizione delle doglianze in secondo grado. Al contrario, dalle domande formulate in appello (come riportate nella sentenza impugnata) non risulta che lo S. e il Sa. avessero dedotto in appello la mancata applicazione delle tabelle di Milano o il pregiudizio che ne sarebbe derivato dalla mancata applicazione di tali tabelle.

Anche in ordine alla pretesa personalizzazione del danno, i ricorrenti non hanno dedotto di aver prospettato ai giudici di merito specifiche circostanze a tal fine rilevanti.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità in favore della Groupama Assicurazioni s.p.a. vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte degli impugnanti soccombenti, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da loro proposta.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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