Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24870 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 06/11/2020), n.24870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3550/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

IMCOP S.r.l., (OMISSIS);

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 89/31/13 pronunciata il 16.5.2013 e depositata il

14.6.2013;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio del 24.6.2020 dal

consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’IMCOP s.r.l., esercente attività imprenditoriale nel campo dell’indotto automobilistico (particolarmente della FIAT), impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, sulla base dell’applicazione degli studi di settore, aveva accertato ai fini IRES, IRAP ed IVA, per l’anno 2005 maggiori ricavi quantificati in Euro 160.224.00 e proceduto alla liquidazione di maggiori imposte e sanzioni.

2. La Commissione tributaria provinciale di Vercelli, in considerazione della grave crisi del comparto automobilistico che aveva coinvolto la FIAT, cliente quasi esclusivo della contribuente, accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla società, rideterminando i ricavi in Euro 45.000,00.

3. La Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 89/31/13 pronunciata il 16.5.2013 e depositata il 14.8.2013, accoglieva l’appello della società, non ritenendo applicabili gli studi di settore, in un periodo di crisi aziendale conclamata e provata, durante il quale l’attività produttiva aveva avuto uno svolgimento anomalo.

4. Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui la società contribuente non ha opposto alcuna difesa.

5. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 24.6.2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con un unico motivo l’agenzia ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo pienamente applicabili gli studi di settore anche nel caso di andamento anomalo dell’attività imprenditoriale.

2. Il ricorso è fondato.

3. Invero, costituisce principio consolidato quello secondo cui “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri, provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, indicando le ragioni del proprio convincimento. Tuttavia, ogni qualvolta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente abbia omesso di parteciparvi ovvero si sia astenuto da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” (Cass. Sez. 5, 06/08/2014, n. 17646; Sez. 6, 16/5/2016, n. 10047; Sez. 5, 30/10/2018, n. 27617).

3.1. E’ stato ulteriormente chiarito che “i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente. Su quest’ultimo, nella fase amministrativa e, soprattutto contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico unicamente la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (Cass., Sez. 5, 13/07/2016, n. 14288).

3.2. A tali principi non si è attenuta la C.T.R. la quale si è limitata ad accogliere acriticamente le contestazioni della società contribuente, affermando che “non sono applicabili gli studi di settore, in un periodo di crisi aziendale conclamata e provata, quando l’attività produttiva ha avuto uno svolgimento anomalo” essendo rimasta l’azienda inattiva per “oltre quattro mesi nel corso dell’anno” e svolto “attività ridotta negli altri mesi”. La C.T.R. invero ha omesso di considerare che, come emergeva dal mastrino dei clienti prodotto nel corso del contraddittorio del 25.11.2010 risultava che i clienti della società nel corso del 2005 erano stati numerosi e che nello stesso anno erano state effettuate nei confronti della Fiat (Fiat Auto s.p.a. e Fiat Cm Powertrain Italy) vendite per circa Euro 145.000, pari al 13% del fatturato del 2005; anno nel quale i ricavi dichiarati ammontavano ad oltre 1 milione di Euro. Detti elementi, certamente inidonei a giustificare l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo “standard” prescelto dall’Amministrazione finanziaria, non consentivano di travolgere l’accertamento dell’amministrazione finanziaria, talchè si impone il rinvio degli atti al giudice a quo per una rivalutazione della controversia.

4. Il ricorso va pertanto accolto con rinvio degli atti alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, perchè provveda in conformità al principio enunciato, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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