Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24867 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 04/10/2019), n.24867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31913/2018 R.G. proposto da

S.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Fraternale,

con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 1806/18

depositata il 21 agosto 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che S.A., cittadino della Costa d’Avorio, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 21 agosto 2018, con cui la Corte d’appello di Ancona ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 17 giugno 2017 dal Tribunale di Ancona, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 7, art. 8, comma 1, lett. e), art. 14, lett. c), e art. 17 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, sostenendo che, nell’escludere la credibilità delle dichiarazioni da lui rese dinanzi alla Commissione territoriale, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’obbligo, posto a carico del giudice, di attivarsi per chiarirne il contenuto e per colmare eventuali lacune probatorie, disponendo l’audizione di esso richiedente e l’acquisizione d’informazioni in ordine alla situazione giudiziaria e carceraria del suo Paese di origine, senza limitarsi a richiamare le notizie ricavabili da siti e rapporti di organizzazioni ed istituzioni internazionali;

che inoltre, ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata ha erroneamente escluso la sussistenza della situazione di violenza indiscriminata di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo egli allegato il rischio di un danno grave, derivante da un contesto di ritorsioni ed intimidazioni politiche perpetrate nei suoi confronti;

che, in tema di protezione internazionale, e con riferimento alla disciplina (applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) anteriore a quella introdotta dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, la giurisprudenza di legittimità ha affermato ripetutamente che l’omessa audizione del richiedente nel giudizio d’appello non costituisce una violazione processuale sanzionata dalla nullità, dal momento che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 10, richiamato dal comma tredicesimo del medesimo articolo, nel disporre che siano sentite le parti, non prevede un incombente automatico e doveroso per il giudice, ma il diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere ufficioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass., Sez. VI, 7/02/2018, n. 3003; 21/11/2011, n. 24544);

che nella specie deve escludersi anche la necessità di una siffatta valutazione, non essendo stato dedotto che nel corso del giudizio la difesa del ricorrente avesse sollecitato l’audizione personale dello stesso, e trattandosi di un adempimento istruttorio che, in quanto volto all’acquisizione di chiarimenti ed elementi di valutazione in ordine alle dichiarazioni rese dal richiedente dinanzi alla Commissione territoriale, resta affidato alla discrezionalità del giudice, il quale può astenersi dal disporlo, dimostrando in sede di decisione di aver raggiunto un ragionevole convincimento in ordine all’attendibilità o meno della versione dei fatti allegata a sostegno della domanda;

che la ritenuta inattendibilità della vicenda narrata dal ricorrente, della quale la sentenza impugnata ha sottolineato, oltre alla genericità ed alla mancanza di riscontri, la contraddittorietà intrinseca e la contrarietà ad accadimenti storici risultanti dalle fonti disponibili, consente di escludere anche che la Corte territoriale fosse tenuta ad acquisire specifiche informazioni in ordine agl’indicati aspetti della situazione in atto nella Costa d’Avorio, in aggiunta a quelle desunte dalle fonti qualificate ed aggiornate puntualmente richiamate in motivazione;

che questa Corte, nell’affermare che la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti fornita dal richiedente riguarda tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento, ha infatti precisato, in relazione alla protezione sussidiaria, che sul piano dell’onere di allegazione essa ha ad oggetto tutti i profili di danno grave riconducibili al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), con la conseguenza che, ove siano ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario procedere ad ulteriori approfondimenti istruttori, mediante l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass., Sez. VI, 20/12/2018, n. 33096; 12/11/2018, n. 28862; 27/06/2018, n. 16925);

che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha fatto riferimento esclusivamente alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), delle quali ha escluso la configurabilità, rilevando che il ricorrente non risultava condannato a morte nè esposto all’esecuzione di tale pena, in caso di rimpatrio, ed escludendo anche il rischio dell’assoggettamento a trattamenti inumani e/o degradanti da parte delle autorità statali, in virtù della mancata allegazione di accuse formulate a suo carico e della mancata dimostrazione dell’esistenza, in Costa d’Avorio, di un clima di persecuzione politica nei confronti degli oppositori del partito vincitore delle ultime elezioni;

che, nel censurare la predetta statuizione, il ricorrente lamenta l’omessa valutazione dell’ipotesi prevista dalla del citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), limitandosi tuttavia ad insistere sulla sua esposizione a ritorsioni ed intimidazioni politiche, ritenuta non provata dalla sentenza impugnata, senza dedurre nè dimostrare di aver allegato gli specifici presupposti della predetta fattispecie, costituiti dall’esistenza di un conflitto armato produttivo di una situazione di violenza generalizzata talmente grave da indurre a ritenere che, in caso di rientro nel Paese di origine, egli correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona (cfr. Cass., Sez. VI, 24/02/2019, n. 9090; 31/05/2018, n. 13858);

che, in riferimento alla fattispecie in questione, per la cui configurabilità non occorre la deduzione di un rischio individualizzato, questa Corte ha infatti precisato che l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, e non già su quello dell’allegazione, con la conseguenza che, ai fini del ricorso per cassazione, non è sufficiente la mera invocazione del citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ma è necessario il richiamo dei fatti allegati e delle censure svolte nel giudizio di merito, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato al Giudice di legittimità anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi (cfr. Cass., Sez. I, 17/05/2019, n. 13403; Cass., Sez. VI, 26/04/2019, n. 11312);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo;

che, essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, con conseguente prenotazione a debito delle spese processuali, non ricorrono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (cfr. Cass., Sez. VI, 22/03/2017, n. 7368; 2/09/2014, n. 18523).

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 ottobre 2019

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