Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24866 del 20/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/10/2017, (ud. 26/06/2017, dep.20/10/2017),  n. 24866

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1145-2012 proposto da:

POTOCCO SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

PANAMA 95, presso lo studio dell’avvocato FRANCO PICCIAREDDA,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO SAMPIETRO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TRIESTE;

– intimato –

Nonchè da:

COMUNE DI TRIESTE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato NICOLA BULTRINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENRICO MARELLO;

– controricorrente incidentale –

contro

POTOCCO SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 60/2011 della COMM.TRIB.REG. di TRIESTE,

depositata il 17/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO

che la CTR del Friuli Venezia Giulia, con la sentenza n. 60/08/11, depositata il 17/5/2011, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Trieste, avverso la sentenza della CTP di Trieste, che aveva respinto il ricorso, proposto dalla Potocco s.r.l. in liquidazione, avverso la cartella di pagamento per tassa di smaltimento rifiuti (TARSU), relativa agli anni dal 2002 al 2008, emessa dal predetto Comune, sostenendo la contribuente di aver provveduto a proprie spese allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani prodotti dall’attività di commercio all’ingrosso nel settore alimentare, esercitata su una superficie dichiarata di mq. 700, in assenza del servizio di smaltimento pubblico;

che il giudice di appello ha motivato la propria decisione nel senso che, trattandosi di rifiuti da imballaggi terziari, che non possono essere conferiti nel normale circuito di raccolta dei rifiuti, sarebbe stato onere della contribuente dimostrare non solo la produzione di detta tipologia di imballaggi, ma anche l’entità della superficie interessata da tale attività, al fine di ottenere la corrispondente riduzione del tributo, per cui, in difetto di prova, deve ritenersi che la società producesse, quantomeno nei locali amministrativi, anche rifiuti assimilati a quelli urbani a norma del regolamento comunale adottato in materia;

che la società Potocco ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, mentre l’intimato Comune, che resiste con controricorso e memoria, ha proposto ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 221,222 e 226, (Codice dell’Ambiente), omessa e/o contraddittoria motivazione sul punto in questione, giacchè la CTR non ha considerato che il commercio all’ingrosso nel settore alimentare produce rifiuti da imballaggio, e che lo smaltimento dei grandi contenitori, che rimangono presso il grossista, utilizzati per tenere insieme più casse di prodotti e facilitarne manipolazione e trasporto, avviene rivolgendosi ad imprese specializzate ove il Comune non sia in grado di svolgere, com’è accaduto nel caso di specie, il relativo servizio, sicchè spetta alla contribuente l’esenzione invocata, mancando la produzione di rifiuti di altro tipo da destinare ai ciclo urbano, con conseguente inapplicabilità del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, essendo erronea l’affermazione secondo cui l’azienda, oltre agli imballaggi, in altre parti dell’immobile occupato produce ordinari rifiuti urbani, non essendovi uffici amministrativi, ma soltanto un magazzino per lo stoccaggio e la commercializzazione della merce;

che con il motivo di impugnazione incidentale la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., giacchè la CTR ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di appello in assenza di qualsiasi giusta causa, peraltro da escludere, avendo lo stesso giudice di merito più volte fatto riferimento alla costante giurisprudenza di legittimità formatasi nella materia oggetto della controversia, per cui non v’erano oggettivi margini di opinabilità circa la soluzione delle questioni trattate e, fatta quindi applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis, era da attribuire a titolo di spese di lite la somma di cui al prospetto depositato in atti;

che il motivo di ricorso principale va disatteso per le ragioni di seguito precisate;

che, come la Corte ha avuto modo di affermare, “il D.Lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEEsui rifiuti pericolosi, e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, ha previsto, ne Titolo 2^ (specificamente dedicato alla “gestione degli imballaggi”), che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata “sia per prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonchè distorsioni e restrizioni alla concorrenza”, ai sensi della citata direttiva 94/62/CE (art. 34, comma 1), ed ha disposto che: a) gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da “un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore”), secondari o multipli (quelli costituiti dal “raggruppamento di un certo numero di unità di vendita”) e terziari (quelli concepiti “in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli”) (art. 35, comma 1); b) “i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti”: oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatoti i costi per – fra l’altro – la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38); c) “dal 1 gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata” (art. 43, comma 2) ” (Cass. n. 4793/2016);

che, com’è incontroverso, il Comune di Trieste aveva assimilato ai rifiuti urbani quelli speciali, a mezzo dell’adozione della Delib. C.C. 27 luglio 1998, n. 608 con ciò avvalendosi del potere previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g) norma che consentiva l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, ai fini della raccolta e dello smaltimento, sulla base dei criteri fissati dallo Stato con Delib. 27 luglio 1984, punto 1.1.1. lett. a), laddove erano indicati tra i rifiuti assimilabili agli urbani gli imballaggi in genere;

che, come già evidenziato dalla Corte, “ne deriva che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonchè quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 Decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39 sicchè i regolamenti che una tale assimilazione avessero previsto andrebbero perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario. Ciò non comporta, però, che tali categorie di rifiuti siano, di per sè, esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n.507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producano rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali. ” (Cass. n. 5377/2012);

che la CTR, in base ad una valutazione riservata al giudice di merito, e con motivazione incensurabile in quanto non affetta da vizi logici (Cass. n. 9097/2017), ha ritenuto non adempiuto, da parte della società Potocco, l’onere di provare quale fosse la parte dell’immobile, della dichiarata superficie complessiva di mq. 700, che “produce imballaggi terziari che vengono smaltiti direttamente dal contribuente”, di tal che non poteva conseguentemente essere ridotta la pretesa fiscale per la parte di imposta riferita ai rifiuti costituiti da imballaggi terziari, che pacificamente non possono essere conferiti nel normale circuito di raccolta dei rifiuti, essendo “apodittica ed inverosimile” l’affermazione della società Potocco “di essere produttrice di soli imballaggi terziari”;

che la decisione appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ” incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento dei tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 dei 2006, 17599 del 2009, 775 del 2011). ” (Cass. n. 5377/2012 citata; n. 775/2011);

che il motivo di ricorso incidentale va invece accolto;

che la CTR, pur essendo la contribuente totalmente soccombente, ha disposto l’integrale compensazione delle spese di giudizio del grado per ragioni di equità, e la statuizione viene qui censurata dal Comune, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto il profilo della violazione di legge, avuto riguardo agli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, difettando i presupposti di legge, in quanto la L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), che ha sostituito dell’art. 92 c.p.c., il comma 2, nel testo novellato, disponeva che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”;

che, invero, nei giudizi – come quello in esame – instaurati successivamente al 1 marzo 2006 (dopo l’entrata in vigore della L. n. 263 del 2005 (e prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, cha ha ulteriormente modificato il citato art. 92 c.p.c. all’uopo richiedendo soccombenza reciproca o altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione), per la compensazione delle spese l’obbligo motivazionale non può ritenersi assolto, in mancanza di soccombenza reciproca, mediante l’adozione della formula “appare equa la compensazione delle spese”, in quanto il dato letterale della novella individua l’obbiigo di esprimere motivazioni “specifiche”, e cioè espressamente riferite al provvedimento di compensazione, con conseguente nullità in parte qua della decisione;

che il giudice di merito, infatti, accogliendo l’appello del Comune, avrebbe dovuto condannare la società Potocco a rifondere alla parte appellante, totalmente vittoriosa, le spese del giudizio del grado nel quale la appellata era rimasta viceversa soccombente, per cui appare evidente la violazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c. (“Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”), che trova applicazione anche nella materia tributaria, regolata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, norma di contenuto e tenore analogo (“La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza”), e quindi la sindacabilità, in questa sede, della decisione di merito in ordine alle spese processuali;

che, peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in quanto ciò è consentito non soltanto nel caso di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali, ma anche nel caso in cui il suddetto vizio attenga – come nel caso di specie – a norme processuali (Cass. n. 2977/2005);

che, conclusivamente, la Corte cassa la sentenza impugnata, in relazione all’accolto motivo di ricorso incidentale e, decidendo nel merito, dispone la condanna al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, a carico della società contribuente, contenuta nella somma di complessivi Euro 1.740,00 per onorari, oltre spese forfettaríe ed accessori di legge, come da prospetto in atti, tanto più che l’ufficio o l’ente locale, ove venga assistito da propri funzionari o dipendenti, conserva pur sempre il diritto alla liquidazione, ancorchè decurtato nell’onorario del 20%, a sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis (aggiunto dal D.L. n. 437 del 1996, art. 12, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 556 del 1996);

che le spese del giudizio di legittimità, secondo soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e in relazione al mezzo d’impugnazione accolto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna Potocco s.r.l. in liquidazione al pagamento, in favore del Comune di Trieste, delle spese del giudizio di appello, liquidate in Euro 1.740,00 per onorari, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Condanna, altresì, la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017

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