Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24865 del 24/11/2011

Cassazione civile sez. I, 24/11/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 24/11/2011), n.24865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L. elettivamente domiciliato in Roma, via Salaria 227,

presso l’avv. Iasonna Stefania, che lo rappresenta e difende, insieme

con l’avv. Francesco Procaccini, per procura in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Napoli in data 11

dicembre 2008 nel procedimento n. 890/2008 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza in data

13 luglio 2011 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

udito, per il ricorrente, l’avv. Gianluca Fonsi, per delega;

udito il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale, dott. PRATIS Pierfelice, che ha chiesto l’accoglimento del

secondo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.L. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avverso il decreto in data 11 dicembre 2008, con il quale la Corte di appello di Napoli ha rigettato la domanda di equa riparazione da lui proposta, L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti Tar Campania con ricorso del 26 luglio 1996 e conclusosi con sentenza di rigetto del 13 marzo 2007. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di legge, si duole che la Corte di appello abbia rigettato la domanda di equa riparazione, affermando che la consapevolezza, da parte del ricorrente medesimo, della infondatezza della sua pretesa escludeva la sussistenza del patema d’animo di cui ha chiesto il ristoro.

Con il secondo motivo si censura l’ulteriore argomentazione della corte di merito, secondo cui doveva ritenersi prescritta la pretesa indennitaria del B. in relazione la periodo antecedente al 13 febbraio 1998. dovendosi ritenere applicabile nella fattispecie il termine della ordinaria prescrizione decennale. Il ricorso è fondato.

Infatti, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, restando irrilevante l’asserita consapevolezza da parte dell’istante della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria.

Dell’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve dare prova puntuale l’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (Cass. 2006/7139; 2008/24269;

2010/9938).

Inoltre, deve ritenersi che. in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in lai senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 2009/27719; 2011/478). La Corte di appello di Napoli – nel rigettare il ricorso osservando che la palese infondatezza della domanda proposta dal ricorrente davanti al Tar Campania consentiva di escludere che l’attesa della definizione della controversia, dall’esito scontato, potesse aver procurato ai ricorrenti un patema d’animo indennizzabile e nell’affermare l’applicazione nella fattispecie della prescrizione decennale in relazione al periodo antecedente al 13 febbraio 1998 – non si è uniformata agli orientamenti sopra enunciati e il decreto impugnato deve essere conseguentemente annullato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Si deve, in primo luogo, osservare che non si rinvengono in atti elementi che, alla stregua del principio in precedenza richiamato, consentano di ritenere che il ricorrente, pur proponendo una domanda priva di fondamento, abbiano promosso una lite temeraria in difetto di una condizione soggettiva di incertezza e che pertanto non si sia nella specie verificato il pregiudizio morale conseguente all’eccessiva durata della causa, tenuto conto che questo si verifica di regola come effetto della violazione medesima e non abbisogna di essere provato sia pure attraverso elementi presuntivi (Cass. 2005/21088;

2006/7139).

Rilevato che il giudizio presupposto è stato promosso davanti al Tar Campania con ricorso del 26 luglio 1996 ed è stato definito con sentenza del 13 marzo 2007, la durata complessiva di tale giudizio va stabilita in dieci anni e otto mesi, con conseguente superamento nella misura di sette anni e otto mesi del termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione.

In ordine al criterio per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va considerato che la CEDU. in due decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010;

Falco et autres c. Italia, del 6 aprile 2010) ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille Euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particoiarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue (v. Cass. 2010/14753; 2010/15130).

Nel caso di specie, considerati i margini di valutazione equitativa adottabili in conformità dei criteri ricavabili dalla sopra menzionata giurisprudenza della CEDU e valutate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al Tar Campania oltre i limiti ragionevoli di durata, e in particolare del lunghissimo periodo in cui non vi è stato impulso sollecitatorio di parte, avendo il B. presentato istanza di prelievo soltanto il 3 febbraio 2006, al ricorrente va liquidata in via equitativa, per danno non patrimoniale, la somma di Euro 6.000,00 con gli interessi legali dalla domanda, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione delle stesse, per entrambi i giudizi, in favore dei difensori del ricorrente, dichiaratisi antistatari.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00 di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2011

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