Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24865 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 04/10/2019), n.24865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso iscritto al n. 12414/2018 R.G. proposto da:

U.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Valentina Sassano,

con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 320/18

depositata il 14 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che U.E., cittadina della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 14 febbraio 2018, con cui la Corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame da lei interposto avverso l’ordinanza emessa il 28 febbraio 2017 dal Tribunale di Torino, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria e, in subordine, del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dalla ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), osservando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata ha erroneamente valutato la situazione generale del suo Paese di origine;

che, in particolare, la Corte territoriale ha rigettato l’istanza di rinnovazione dell’audizione personale, escludendo la sommarietà di quella disposta nel giudizio di primo grado, senza tener conto, sotto il profilo soggettivo, della delicatezza degli argomenti trattati, derivante dalla condizione di omosessuale di essa ricorrente e dal contesto culturale, economico, familiare, politico, religioso e sociale di provenienza;

che, sotto il profilo oggettivo, la sentenza impugnata ha invece escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata nella regione di provenienza di essa ricorrente, in contrasto con le informazioni sulla situazione generale della Nigeria da lei prodotte in primo grado ed aggiornate in appello;

che, in tema di protezione internazionale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in riferimento alla disciplina (applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) anteriore a quella introdotta dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, che l’omessa audizione del richiedente nel giudizio d’appello non costituisce una violazione processuale sanzionata dalla nullità, dal momento che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 10, richiamato dal medesimo articolo, comma 13, nel disporre che siano sentite le parti, non prevede un incombente automatico e doveroso per il giudice, ma il diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass., Sez. VI, 7/02/ 2018, n. 3003; 21/11/2011, n. 24544);

che nella specie il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’audizione è stato giustificato con la genericità delle censure rivolte dall’appellante a quella disposta in primo grado, in quanto non accompagnate dalla precisazione del pregiudizio arrecato alla richiedente dalle modalità di conduzione dell’interrogatorio nè dalla deduzione di fatti nuovi o diversi da quelli allegati nella precedente fase processuale;

che nell’impugnare la predetta statuizione la ricorrente si limita ad insistere sulla propria omosessualità e sul contesto socio-culturale del Paese di provenienza, richiamando le linee guida predisposte dall’UNHCR per la formulazione delle domande fondate sull’orientamento sessuale del richiedente, ma omettendo di censurare la ritenuta genericità del motivo d’appello e d’indicare quali tra le direttive previste dalle linee guida siano rimaste concretamente inosservate nello svolgimento dell’audizione, nonchè di riportare i passi salienti del relativo verbale, con la conseguenza che il motivo risulta per un verso non pertinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata, e per altro verso privo di specificità;

che, nell’escludere la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata nel Paese di origine della richiedente, la sentenza impugnata ha fatto riferimento alle fonti già richiamate dalla decisione di primo grado, ritenendole sufficientemente aggiornate, ed affermando in base alle stesse che l’azione terroristica del gruppo fondamentalista (OMISSIS), indicata dall’appellante quale causa della predetta situazione, è limitata alla parte settentrionale della Nigeria, e non si estende alla zona di (OMISSIS), situata nel meridione, dalla quale proviene la ricorrente;

che nel contestare il predetto apprezzamento, la cui motivazione (rimasta peraltro incensurata sotto tale profilo) non risulta inficiata dal generico rinvio alle fonti citate dalla decisione di primo grado, da intendersi indicate per relationem, attraverso il richiamo al provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2019, n. 18227; 3/07/2019, nn. 17839 e 17842), la ricorrente si limita ad invocare le informazioni da lei prodotte, astenendosi dal precisarne la fonte e dal riportarne il contenuto, con la conseguenza che il motivo risulta, anche per tale aspetto, privo di specificità;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria esclusivamente in virtù della ritenuta inattendibilità dei fatti allegati, senza approfondire la situazione politico-sociale della Nigeria, e senza tener conto della condizione di particolare vulnerabilità derivante dalla giovane età di essa ricorrente e dalla mancanza di riferimenti affettivi, familiari ed economici nel Paese di origine;

che, in tema di protezione umanitaria, questa Corte ha più volte ribadito l’autonomia della valutazione richiesta ai fini del riconoscimento di tale misura rispetto a quella prescritta per le altre forme di protezione, dando atto della diversità dei rispettivi presupposti, ed affermando quindi che il giudizio d’inattendibilità della narrazione del richiedente, in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non preclude la valutazione di altre circostanze idonee ad evidenziare una situazione di vulnerabilità, da effettuarsi su base oggettiva e, se necessario, previa integrazione anche officiosa delle allegazioni del ricorrente, in applicazione del principio di cooperazione istruttoria (cfr. Cass., Sez. I, 18/04/2019, n. 10922; Cass., Sez. VI, 14/11/2017, n. 26921);

che nella specie, peraltro, a fondamento del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata non si è limitata a richiamare il giudizio d’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla ricorrente, formulato ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, e coinvolgente quindi anche la pretesa condizione di omosessualità della ricorrente, ma ha rilevato che, al di là delle ragioni addotte a sostegno della predetta domanda, già disattese, la richiedente non aveva allegato nè provato, neppure in sede di gravame, ragioni di particolare vulnerabilità;

che tale rilievo si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, in virtù del quale il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 31/01/2019, n. 3016; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336; 28/09/2015, n. 19197);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo;

che, essendo stata la ricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con conseguente prenotazione a debito delle spese processuali, non ricorrono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (cfr. Cass., Sez. VI, 22/03/2017, n. 7368; 2/09/2014, n. 18523).

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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