Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24863 del 24/11/2011

Cassazione civile sez. I, 24/11/2011, (ud. 04/11/2011, dep. 24/11/2011), n.24863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12910-2009 proposto da:

N.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121, presso l’avvocato SUMMO

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCESCO MONETTI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

01/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte osservato e ritenuto:

– con ricorso depositato il 8.08.2006, N.A. adiva la Corte di appello di Roma chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848;

– con decreto del 24.09.2007- 1.04.2008, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva la domanda, osservando e ritenendo:

a) che il N. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo civile in tema di anzianità di servizio, svoltosi in primo grado dal 15.10.1999 all’11.02.2003, dinanzi al Tribunale di Napoli, quale giudice del lavoro, ed in grado d’appello dal 1.08.2003 al 28.07.2005;

b) che doveva essere disattesa l’eccezione di prescrizione svolta dall’amministrazione convenuta;

c) che il processo presupposto, avuto riguardo alle specificità del dibattuto caso e segnatamente alla natura ed al grado di difficoltà della controversia, e considerando, altresì, che i principi propri del rito del lavoro informano anche il processo civile ordinario, sarebbe dovuto durare 3 anni in primo grado e 2 in appello, e, dunque, non aveva avuto tempi irragionevoli di definizione, essendosi protratto per tre anni e quattro mesi in primo grado e per un anno e 11 mesi in appello;

– contro il decreto il N. ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 18.05.2009 all’Amministrazione della Giustizia, che, con atto notificato il 27-30.06.2009, ha resistito con controricorso, denunciando:

2. “Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 41 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà. art. 360 c.p.c., n. 3”.

3. “Omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso in relazione alla L. n. 89 del 2001, art. 2 ed all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

con entrambi i motivi il ricorrente si duole, anche per il profilo motivazionale, del diniego d’indennizzo del danno non patrimoniale correlato alla ritenuta congruità del tempo occorso per la definizione del processo presupposto, d’indole giuslavoristica, sostenendo in sintesi che, quanto alla durata, quella complessiva avrebbe dovuto essere quantificata non in 63 ma in 69 mesi, includendovi l’ulteriore tempo trascorso per l’esperimento della procedura precontenziosa ex D.Lgs. n. 80 del 1998 e art. 410 c.p.c.;

che quella ragionevole, alla luce pure dei parametri temporali CEDU, avrebbe dovuto essere determinata in mesi sei per ciascuno dei due gradi, dato anche che il processo in questione non era complesso e non richiedeva istruttoria, che, inoltre, da parte sua non vi era stato alcun uso distorto del processo il ricorso non è fondato, atteso che la Corte distrettuale risulta essersi attenuta, con congrue argomentazioni, che il ricorrente avversa del tutto genericamente, al dettato normativo, ai principi sovranazionali ed al condiviso orientamento giurisprudenziale già espresso da questa Corte, secondo cui (cass. n. 23047 del 2009) “In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della determinazione del termine di ragionevole durata del processo, alle cause di lavoro e previdenziali si applicano gli “standards” comuni fissati dalla Corte EDU, posto che la disciplina del processo del lavoro non prevede forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in rapporto all’oggetto della controversia e da richiedere l’applicazione di parametri diversi” e secondo cui (tra le altre, cfr cass. 200403143) “Ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 nel termine ragionevole del processo non è computabile il tempo occorso per lo svolgimento di fasi amministrative che, in relazione alla natura sostanziale del rapporto poi oggetto di contesa, possano o debbano precedere l’azione in giudizio, ancorchè rivestano connotati procedimentali, trattandosi di momenti comunque estranei all'”apparato giustizia” ed affidati a soggetti ad esso non appartenenti”.

il ricorso, pertanto, deve essere respinto, con conseguente condanna del N. alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 800,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2011

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