Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24855 del 24/11/2011

Cassazione civile sez. I, 24/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 24/11/2011), n.24855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M.R., F.D., R.S. S.

A., L.S. e P.M., elettivamente

domiciliati in Roma, alla via A. Doria n. 48, presso l’avv. ABBATE

FERDINANDO EMILIO, dal quale sono rappresentati e difesi in virtù di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della Corte di Appello di Roma depositato il 13

ottobre 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

ottobre 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Ranieri per delega del difensore dei ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. VELARDI Maurizio il quale ha concluso per

l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 13 ottobre 2008, la Corte di Appello di Roma, dopo averne disposto la riunione, ha accolto le domande di equa riparazione separatamente proposte da S.M.R., F.D., R.S., Sf.Al., L. S. e P.M. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio promosso dagli istanti nei confronti del Ministero della Giustizia per il riconoscimento del diritto alla rivalutazione monetaria ed agl’interessi legali sulle somme tardivamente corrisposte a seguito dell’inquadramento nelle qualifiche funzionali previsto dalla L. 11 luglio 1980, n. 312, artt. 3 e 4.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1995 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, si era concluso in primo grado con sentenza dell’I 1 novembre 1998 ed in appello con sentenza emessa dal Consiglio di Stato il 6 marzo 2006, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni per la prima fase e due anni per la seconda, avuto riguardo alla non particolare complessità della controversia, quantificando in sei anni il ritardo nella definizione del giudizio. Tenuto conto dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha quindi liquidato il danno non patrimoniale subito da ciascun ricorrente in complessivi Euro 6.000.00, pari ad Euro 1.000.00 per ogni anno di ritardo, in considerazione dello stato d’ansia cagionato dal protrarsi del giudizio e della natura retributiva degli emolumenti che ne costituivano oggetto.

2. – Avverso il predetto decreto gl’istanti propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 nonchè l’omissione, l’insufficienza, l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione, osservando che la Corte d’Appello, pur avendo stimato in cinque anni la durata ragionevole del giudizio presupposto, ha determinato in soli sei anni il ritardo nella sua definizione, in relazione al quale ha provveduto alla liquidazione del danno, senza tener conto che il giudizio aveva avuto una durata effettiva di undici anni e due mesi.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

E’ opportuno premettere che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, l’individuazione, all’interno del complessivo arco temporale del processo, del segmento ascrivibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale va compiuta la valutazione di ragionevolezza ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, e sindacabile in sede di legittimità solo per incongruenza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. 1, 19 novembre 2009, n. 24399; 11 luglio 2006, n. 15750). La deduzione di tale vizio, in riferimento all’omessa o inadeguata valu-tazione delle risultanze probatorie o processuali, postula peraltro che la parte, in ossequio al principio di autosufficienza, indichi specificamente nel ricorso le circostanze che costituiscono oggetto di prova o il contenuto dei documenti trascurati o erroneamente interpretati dal giudice di merito, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisi vita dei fatti da provare (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 6, 30 luglio 2010. n. 17915; Cass., Sez. 3, 25 agosto 2006. n. 18506).

Nella specie, ai fini della verifica in ordine all’avvenuto superamento del termine ragionevole, la Corte d’Appello ha rilevato che il giudizio presupposto, iniziato dinanzi al Tar Lazio nell’anno 1995, si era concluso dinanzi al Consiglio di Stato con sentenza del 6 marzo 2006, e ne ha pertanto determinato la durata effettiva in undici anni. I ricorrenti contestano tale accertamento, sostenendo che il giudizio aveva avuto inizio nel mese di gennaio 1995, ma omettono di indicare gli elementi, eventualmente trascurati dalla Corte d’Appello, dai quali emergerebbe tale specifica decorrenza, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la denuncia della violazione di legge e del vizio di motivazione, un diverso apprezzamento dei fatti, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e la valutazione delle prove, nonchè il controllo della loro attendibilità e concludenza e la scelta di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 18 marzo 2011, n. 6288; 11 luglio 2007, n. 15489; Cass.. Sez. 3, 19 novembre 2007, n. 23929).

2. – E’ invece fondato il secondo motivo, con cui i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 1173 cod. civ., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha riconosciuto, sulle somme liquidate, gl’interessi legali con decorrenza dalla data della decisione, anzichè da quella della proposizione della domanda.

2.1. – Il diritto all’equa riparazione non postula infatti l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 cod. civ., nè presuppone la verìfica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente, ma è ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, par. 1, della CHDU, cioè di un evento ex se lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole; la relativa obbligazione si configura pertanto non già come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege avente carattere indennitario, con la conseguenza che gli interessi legali possono decorrere, purchè richiesti, dalla data di deposito del ricorso, conformemente al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda (cfr. Cass., Sez. 1, 2 febbraio 2007, n. 2248; 13 aprile 2006, n. 8712).

3. – L’accoglimento del secondo motivo, comportando la caducazione del decreto impugnato, anche nella parte concernente il regolamento delle spese processuali, rende superfluo l’esame del terzo motivo, con cui i ricorrenti deducono la violazione c/o la falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, artt. 4 e 5 censurando il decreto nella parte in cui, nel condannare la Presidenza del Consiglio al pagamento delle spese processuali, ha riconosciuto un unico importo per onorario e diritti di avvocato, nonostante la riunione dei procedimenti fosse stata disposta soltanto all’esito della discussione in camera di consiglio, in tal modo pervenendo alla liquidazione di un importo inferiore a quello minimo risultante dall’applicazione della tariffa professionale.

4. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento, sulle somme liquidate in favore dei ricorrenti, degl’interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda.

5. – Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

Ai fini della liquidazione, occorre peraltro tenere conto della circostanza che i ricorrenti, dopo aver agito unitariamente nel giudizio presupposto, in tal modo dimostrando di non aver interesse ad una diversificazione delle rispettive posizioni, hanno proposto distinte domande per l’equa riparazione, con identico patrocinio legale, in tal modo dando luogo ad una pluralità di procedimenti inevitabilmente destinati alla riunione, in quanto connessi per l’oggetto ed il titolo. Tale condotta, secondo la giurisprudenza di questa Corte, contrasta con l’inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti, configurandosi pertanto come abuso del processo, che non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, mediante la valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine (cfr. Cass., Sez. 1, 5 maggio 2011. n. 9962; 3 maggio 2010, n. 10634).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a S.M.R., F.D., R.S., Sf.Al., L. S. e P.M. gl’interessi legali sulle somme liquidate a titolo di indennizzo con decorrenza dalla domanda; condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 2.056,00, ivi compresi Euro 1.200,00 per onorario, Euro 756.00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 1.000,00, ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Ferdinando Emilio Abbate antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2011

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