Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24851 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. II, 04/10/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 04/10/2019), n.24851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. est. Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.G., rappresentato e difeso per procura alle liti in

calce al ricorso dall’Avvocato Paolo Bontempi;

– ricorrente –

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al

controricorso dagli Avvocati Vincenza Profeta e Giovina Dipace

dell’Avvocatura della Banca stessa, elettivamente domiciliata presso

gli stessi in Roma, via Nazionale n. 91.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5135 della Corte di appello di Roma,

depositata il 26 luglio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

marzo 2019 dal Presidente relatore Stefano Petitti;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Celeste Alberto, che ha chiesto l’inammissibilità o, in

subordine, il rigetto del ricorso.

uditi gli Avvocati Paolo Bontempi e Giovina Dipace.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 5135 del 26 luglio 2017 la Corte di appello di Roma rigettò l’opposizione proposta da T.G. avverso il provvedimento della Banca d’Italia del 6 settembre 2016 che, nella sua qualità di componente e vice presidente del consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Cesena, carica ricoperta fino all’11 aprile 2014, a seguito degli accertamenti ispettivi svoltisi dal 9 febbraio 2015 al 24 luglio 2015, dai quali erano emerse carenze nell’organizzazione e nei controlli da parte del vicepresidente del c.d.a. e carenze nel processo del credito da parte dei consiglieri, gli aveva irrogato la sanzione amministrativa di Euro 35.000,00.

La Corte territoriale, per quanto qui ancora interessa, motivò la decisione 1) respingendo l’eccezione dell’opponente secondo cui il provvedimento sarebbe stato emanato oltre il termine di decadenza previsto dalla legge, osservando in contrario che le violazioni contestate erano emerse solo a seguito della verifica ispettiva svoltasi nel 2015 e non già in quella precedente del 2013, avendo avuto quest’ultima un oggetto diverso, mirato alla verifica dell’adeguatezza delle rettifiche di valore sui crediti in sofferenza nonchè delle relative politiche e prassi applicative, mentre quella del 2015 aveva interessato la complessiva governance dell’intermediario, la sua organizzazione, il sistema dei controlli, il processo del credito nei suoi aspetti fondamentali e non si era occupata in particolare del tema della trasparenza dei rapporti con la clientela e dovendo, ai fini dell’accertamento della scadenza del termine di decadenza, tenersi conto anche del tempo necessario all’Autorità per valutare le risultanze dell’attività ispettiva; 2) affermando che le violazioni contestate erano ascrivibili all’opponente, quale componente e vicepresidente del consiglio di amministrazione, incombendo individualmente su ciascun membro dello stesso l’obbligo di vigilare sulla corretta gestione della società e, per il caso di ravvisate irregolarità, il dovere di sollecitare l’azione da parte dell’organo collegiale al fine di correggere le carenze riscontrate, aggiungendo che tali doveri sono particolarmente stringenti in materia di organizzazione e governo societario delle banche e che le Disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia stabiliscono principi in materia di flussi informativi e di circolazione di informazioni tra gli organi sociali ed all’interno degli stessi volti a dare effettività a tali doveri; 3) rilevando che la sanzione irrogata non poteva ritenersi eccessiva, risultando proporzionata alla gravità delle violazioni addebitate ed alle sanzioni inflitte agli altri soggetti interessati dal provvedimento sanzionatorio.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 25 ottobre 2017, ricorre T.G., affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso la Banca d’Italia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, e della circolare della Banca d’Italia 7 maggio 2008, n. 269 nonchè delle Disposizioni di vigilanza del 18 dicembre 2012 e vizio di omessa pronuncia, censura la sentenza impugnata nella parte in cui, nel disattendere l’eccezione di decadenza, ha affermato che le violazioni contestate erano emerse soltanto a seguito della verifica ispettiva del 2015, avendo avuto la precedente ispezione del 2013 un oggetto diverso. Questa conclusione, sostiene il ricorrente, è errata non avendo la Corte esaminato con la dovuta attenzione gli accertamenti ispettivi svoltisi una prima volta nel 2011 e poi nel 2012, che contenevano critiche all’assetto del governo aziendale ed al sistema dei controlli interni. In particolare ciò risulta dalla comunicazione del 3 agosto 2012, nella quale si affermava che “La situazione aziendale del Gruppo Cassa di Risparmio di Cesena risulta connotata da elementi di debolezza riguardanti, in particolare, l’assetto del governo aziendale” e si rilevavano inadeguatezze nel sistema dei controlli interni “con specifico riferimento al monitoraggio del credito, alla funzione di compliance e all’ispettorato”. A seguito di tali ispezioni la Banca d’Italia aveva avviato un procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 144 TUB, poi concluso con un provvedimento di archiviazione, che riteneva insussistenti o rimediate le irregolarità contestate. Tali fatti, debitamente risultanti dai documenti prodotti, sono stati invece del tutto trascurati dal giudice a quo che, se li avesse esaminati, avrebbe dovuto concludere nel senso che le violazioni contestate nel 2015, almeno fino al 30 aprile 2013, erano già ricomprese negli accertamenti ispettivi del 2011, 2012 e 2013.

Si aggiunge in ogni caso che, anche a voler considerare solo l’ispezione del 2015, dalla data in cui essa ha avuto termine (24 luglio 2015), alla formale contestazione delle pretese irregolarità, pervenuta all’interessato solo il 23 dicembre 2015, erano già trascorsi ben più di 90 giorni e che, pur essendo necessario considerare a tal fine un certo tempo per consentire all’Autorità di valutare i risultati dell’attività ispettiva, esso nella specie superava i due mesi e doveva pertanto ritenersi ingiustificato.

1.1. – Il mezzo appare infondato e in parte inammissibile.

La Corte territoriale ha respinto l’eccezione di decadenza sollevata dall’opponente affermando l’autonomia e quindi la diversità tra la verifica ispettiva svoltasi nel 2015, sulla base della quale sono stati accertati gli addebiti e quindi emesso il provvedimento sanzionatorio opposto, e quella precedente del 2013; ha in particolare sostenuto che quest’ultima aveva avuto un oggetto diverso, mirato alla verifica dell’adeguatezza delle rettifiche di valore sui crediti in sofferenza nonchè delle relative politiche e prassi applicative, mentre quella del 2015 aveva interessato la complessiva governance dell’intermediario, la sua organizzazione, il sistema dei controlli, il processo del credito nei suoi aspetti fondamentali e non si era occupata in particolare del tema della trasparenza dei rapporti con la clientela. Ha altresì aggiunto, a precisazione, che “l’addebito n. 3, costituito dai rilevi nn. 4, 10, 11 e 12 1 e 2 c. del rapporto ispettivo del 2015 non aveva alcuna attinenza con l’accertamento del 2013 ed altrettanto era da dirsi per l’addebito n. 4, con riferimento al rilievo n. 7, riferendosi lo stesso a due posizioni creditorie ad incaglio (gruppo Lugo Immobiliare e gruppo Q.- S.), nemmeno menzionati nella precedente ispezione”.

Tanto precisato, la prima censura appare inammissibile perchè, muovendo dalla premessa che gli addebiti contestati fossero stati già sufficientemente accertati nell’ispezione del 2012, investe un accertamento del giudice di merito che, fondandosi sull’indagine relativa all’oggetto e alle risultanze delle due ispezioni, si è risolto nella valutazione e ricostruzione di un fatto, vale a dire in un giudizio che non è sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, non potendo apprezzarsi la fondatezza della censura se non attraverso una rivalutazione, non consentita in questa sede, dei documenti di causa.

Infondata appare invece la doglianza che lamenta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, individuato nella verifica ispettiva del 2012, atteso che essa, come risulta evidente dalla lettura della decisione, è stata presa in considerazione e valutata dalla Corte territoriale.

La censura che assume che il termine di decadenza si sarebbe in ogni caso consumato una volta considerata la data in cui è terminata l’ispezione (24 luglio 2015) e quella in cui la contestazione è stata notificata al ricorrente (18 dicembre 2015) va dichiarata inammissibile. Il giudice a quo, infatti, ha respinto il motivo sulla base del rilievo che il termine di decadenza invocato “non decorre dalla data di chiusura dell’ispezione, in quanto l’accertamento si perfeziona con l’apposizione del visto del Direttore centrale per la vigilanza bancaria e finanziaria, a norma del provvedimento della Banca d’Italia del 18/12/12”, visto che nella specie era intervenuto il 26 ottobre 2015. Poichè tale ratio della sentenza non risulta investita da censure, ed appare di per sè sufficiente a sorreggere la statuizione impugnata, il relativo motivo va dichiarato inammissibile.

2. – Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 2381 c.c., dal comma 3 al comma 6 e art. 2392 c.c., nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., e vizio di omessa motivazione su fatti decisivi della controversia oggetto di discussione tra le parti, lamentando che la Corte territoriale abbia ritenuto l’opponente responsabile nonostante che egli ricoprisse la carica di consigliere non esecutivo del consiglio di amministrazione. La Corte ha invero ritenuto di giustificare tale conclusione sulla base del rilievo “che incombe individualmente su ciascuno degli amministratori l’obbligo di vigilare sulla corretta gestione della società e, per il caso di ravvisate irregolarità, il dovere di sollecitare l’azione, da parte dell’organo collegiale, delle deliberazioni necessarie a correggere le carenze riscontrate”. Tale affermazione sconta, ad avviso del ricorso, evidenti errori di diritto, atteso che a seguito della riforma del diritto societario, che ha modificato l’art. 2392 c.c., gli amministratori di società non sono più sottoposti ad un generale obbligo di vigilanza, potendo essi essere ritenuti responsabili delle irregolarità commesse soltanto se, per le informazioni ricevute o dagli stessi acquisite, sono a conoscenza di fatti pregiudizievoli. E’ quindi necessaria, a tal fine, la conoscenza effettiva delle irregolarità ovvero della loro oggettiva conoscibilità per l’esistenza di segnali di allarme percepibili e invece dolosamente o colposamente ignorati.

Nel caso di specie l’errore di diritto commesso dalla Corte territoriale l’ha portata altresì ad ignorare le allegazioni con cui l’opponente aveva dedotto di avere preso iniziative per conoscere l’effettiva situazione della gestione condotta dal direttore generale, senza però ricevere risposte esaurienti, recandosi tre volte presso l’allora direttore generale della Filiale di (OMISSIS) della Banca d’Italia per evidenziare le proprie difficoltà nella gestione poco trasparente della Cassa di risparmio di Cesena e come dimostrato dalle missive inviate nel 2013 in cui lamentava la mancanza di trasparenza della direzione generale e richiedeva specifici documenti. La Corte di merito avrebbe pertanto dovuto considerare le iniziative prese dal ricorrente per agire in modo informato e la manifestazione del suo dissenso dall’attività di gestione bancaria. Sotto altro profilo la Corte è incorsa in errore per non avere accertato l’effettiva presenza di segnali di allarme in ordine alle irregolarità contestate che avrebbero dovuto indurre il ricorrente, anche in epoca precedente, ad altre iniziative.

3. – Il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione dell’art. 2392 c.c., comma 1 e art. 2381 c.c., comma 5, censura la decisione impugnata per avere affermato la responsabilità del ricorrente sulla base del rilievo che nel settore bancario vigono principi in materia di flussi informativi e di circolazione di informazioni tra gli organi sociali ed all’interno degli stessi volti a dare effettività ai doveri degli amministratori non esecutivi di vigilare sulla corretta gestione e di intervenire richiedendo all’organo collegiale le opportune iniziative per rimediare alle criticità emerse. Sostiene in contrario il ricorso che nella specie mancava invece un flusso informativo completo, adeguato e tempestivo in grado di portare a conoscenza del consiglio di amministrazione le criticità e i rilievi che man mano venivano sollevati durante le verifiche ispettive, atteso che alle ripetute richieste degli amministratori il direttore generale ed il presidente avevano sempre comunicato che gli ispettori della Banca d’Italia non avevano rilevato nulla di anomalo, tanto che il ricorrente aveva potuto apprendere delle irregolarità soltanto in occasione della notifica delle contestazioni. La Corte non ha poi considerato che l’archiviazione disposta dalla Banca d’Italia sui rilievi ispettivi del 2013 aveva ingenerato un principio di affidamento e rassicurato il ricorrente, tenuto conto anche delle sue iniziative volte ad ottenere informazioni sulla gestione. In tale contesto si rileva che gli addebiti rivolti al ricorrente peccavano altresì di indeterminatezza, in quanto la Banca d’Italia avrebbe dovuto specificare quali condotte organizzative e gestionali avrebbero dovuto porre in essere gli organi delegati e quali segnali esterni o di allarme si sarebbero manifestati in ordine a simili omissioni.

Sotto altro profilo si deduce che non si poteva pretendere che il ricorrente si attivasse per far adottare dalla banca un sistema organizzativo e di controllo interno che venne introdotto in modo organico soltanto a seguito di direttive e regolamenti comunitari adottati nel 2014, anche considerato che gli amministratori non esecutivi non dispongono di adeguati strumenti di valutazione del merito del credito e quindi della correttezza dei processi valutativi di risk management.

4. – I due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione oggettiva, sono infondati.

La decisione della Corte territoriale va condivisa, apparendo conforme, tanto nelle sue premesse in diritto quanto nella conclusione raggiunta nel caso di specie, all’orientamento già espresso da questa Corte, e richiamato dallo stesso giudice a quo, secondo cui il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c. non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega (Cass. n. 2737 del 2013).

E’ stato altresì affermato che il consigliere di amministrazione non esecutivo di società per azioni, in conformità al disposto dell’art. 2392 c.c., comma 2, che concorre a connotare le funzioni gestorie tanto dei consiglieri non esecutivi, quanto di quelli esecutivi, è solidalmente responsabile della violazione commessa quando non intervenga al fine di impedirne il compimento o eliminarne o di attenuarne le conseguenze dannose (Cass. n. 27365 del 2018; Cass., S.U., n. 20933 del 2009).

In contrario non appare significativo il richiamo fatto nel ricorso alla riforma del diritto societario, atteso che se il legislatore del 2003 ha espunto dall’art. 2932 c.c., comma 2, l’obbligo di vigilanza sull’andamento generale della gestione, l’art. 2381, u.c., dispone che “Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato” e che “ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”.

Tanto precisato, merita aggiungere che le deduzioni svolte dal ricorrente, in ordine tanto alle iniziative che egli avrebbe posto in essere, senza successo, per acquisire informazioni sulla gestione della banca da parte del direttore generale, quanto in merito all’assenza in atto nell’organizzazione interna della Cassa di flussi di informazioni idonei ed efficaci per rappresentare le criticità poi riscontrate in sede di ispezione, difettano del necessario requisito della decisività e vanno pertanto apprezzate, sotto il profilo sollevato, come del tutto irrilevanti. Il dovere di agire informato da parte dei componenti del consiglio di amministrazione, come sopra delineato, non può dirsi infatti assolto nella mera richiesta di informazioni all’organo esecutivo, ma deve tradursi, tanto più nel caso in cui esse non siano esitate ovvero si presentino generiche o comunque non esaurienti, in iniziative concrete di proposta all’organo collegiale volte a correggere tale disfunzione. In ogni caso il componente, al fine di separare la sua responsabilità da quella della banca, deve manifestare in modo formale, all’interno delle sedute del consiglio di amministrazione, il proprio dissenso da una organizzazione e gestione dell’attività che già solo per tale fatto non appare conforme alle principi di buona amministrazione ed alle normativa particolarmente stringente in materia bancaria.

Tale inosservanza si colora poi di particolare pregnanza alla luce delle violazioni contestate, relative alle carenze del sistema di governo e dei controlli interni, sia sotto il profilo delle strutture che dello spettro operativo, e criticità nel funzionamento e negli indirizzi strategici del consiglio di amministrazione e nella gestione del credito.

Nel caso di specie si rileva inoltre che in sede di ricorso i fatti che sono stati addotti a titolo di scriminante della responsabilità del ricorrente appaiono esposti mediante richiamo e riproduzione di una memoria depositata nel corso del giudizio di merito, senza che gli atti ivi indicati siano riprodotti nel loro esatto contenuto, mancanza che impedisce di apprezzarne la specifica ed intrinseca rilevanza anche sotto il profilo del denunziato vizio di omesso esame di fatti decisivi.

5. – Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione della L. n. 689 del 1981, art. 11 nonchè delle Disposizioni di vigilanza del 18 dicembre 2012, Sezione II, paragrafo 1.6, censurando la sentenza impugnata per avere disatteso il motivo che denunziava come eccessiva la sanzione irrogata, senza considerare a tal fine tutti i parametri di graduazione della sanzione previsti dalla normativa.

5.1. – Il motivo è infondato, avendo la Corte territoriale valutato la contestazione sul punto sollevata dal ricorrente, affermando che l’entità della sanzione inflitta appare proporzionata alla gravità delle violazioni addebitate e anche alle altre sanzioni inflitte agli altri soggetti coinvolti, giudizio che, risolvendosi in una valutazione discrezionale del giudice di merito, non è suscettibile di sindacato da parte di questa Corte (Cass. n. 9126 del 2017; Cass. n. 2406 del 2016).

6. – In conclusione il ricorso va rigettato.

7. – Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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