Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24850 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. II, 04/10/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 04/10/2019), n.24850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. est. Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.N., rappresentato e difeso per procura speciale in calce

al ricorso dagli Avvocati Andrea Galante e Gianluca De Angelis,

elettivamente domiciliato presso lo studio degli Avvocati Andrea

Galante e Paolo Luccarelli in Roma, via del Consolato n. 6;

– ricorrente –

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa per procura speciale in calce al

controricorso dagli Avvocati Olina Capolino, Donatella La Licata e

Donato Messineo dell’Avvocatura della Banca stessa, elettivamente

domiciliata presso gli stessi in Roma, via Nazionale n. 91;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 7353 della Corte di appello di Roma, depositato

il 14 settembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

marzo 2019 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Celeste Alberto, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

uditi gli avvocati Massimo Serra, per delega dell’Avvocato

Luccarelli, e l’Avvocato Donato Messineo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto n. 7353 del 14. 9. 2018 la Corte di appello di Roma rigettò l’opposizione proposta da R.N. avverso il provvedimento n. 180 del 28 marzo 2013 che, nella sua qualità di componente del Comitato direttivo e di vice direttore generale responsabile della direzione commerciale privati del Monte dei Paschi di Siena, gli aveva irrogato la sanzione amministrativa di Euro 90.000,00 per la violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari. La Corte territoriale, per quanto qui interessa, motivò la decisione affermando: che non era fondata l’eccezione preliminare di incostituzionalità, per violazione della Legge di delega n. 154 del 2014, del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 1, comma 53, lett. e), f), g), h) e i) di modifica del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 143 in materia di giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative bancarie, atteso che: il riferimento compiuto dal legislatore delegante alla revisione della procedura sanzionatoria ex art. 145 TUB va interpretato in maniera omnicomprensiva e sistematica, comprendendo tutti i profili sostanziali e processuali; erano inapplicabili all’opponente le nuove disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 72 del 2015, che avevano modificato gli artt. 144 ter e quater TUB, in quanto successive alla commissione degli illeciti contestati, non avendo questi natura sostanzialmente penale con conseguente non applicabilità del principio del favor rei; che gli illeciti contestati risultavano provati e che l’opponente ne era responsabile, attenendo le violazioni alla competenze ed all’attività da lui svolta come componente del Comitato direttivo e di vice direttore generale responsabile della direzione commerciale privati della banca.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13 marzo 2017, ricorre R.N., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso la Banca d’Italia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso deduce illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145 come modificato dal D.Lgs. n. 72 del 2015, in relazione all’art. 76 Cost., per difetto assoluto di delega, e conseguente illegittimità del rito applicato dalla Corte di appello al giudizio di opposizione. Con tale mezzo il ricorrente reitera l’eccezione già svolta nel giudizio di merito, rappresentando che la Corte territoriale ha applicato una disciplina processuale illegittima in quanto introdotta da un decreto emanato dal Governo in assenza della necessaria delega legislativa, atteso che nè la direttiva UE del 26 giugno 2013, richiamata dalla Legge di delega n. 154 del 2014, nè quest’ultima contenevano alcuna disposizione che autorizzasse la riformulazione della disciplina del giudizio di opposizione in materia di sanzioni bancarie. Chiede pertanto che la relativa questione di legittimità sia rimessa alla Corte costituzionale.

1.1. – Il motivo appare inammissibile.

Costituisce orientamento costante di questa Corte che la valutazione negativa del giudice di merito circa la rilevanza e la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale non può costituire motivo di ricorso per cassazione, avendo tale delibazione carattere puramente ordinatorio, essendo riservato il relativo potere decisorio alla Corte costituzionale, e, d’altra parte, in quanto la stessa questione può essere riproposta in ogni grado di giudizio.

Tanto precisato la questione sollevata non appare nè rilevante nè fondata.

Sotto il primo profilo va considerato che la nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 72 del 2015 per il giudizio di opposizione a sanzioni bancarie trova applicazione, ai sensi dell’art. 2, comma 5, di detto decreto, solo ai giudizi introdotti successivamente alla sua entrata in vigore, laddove il giudizio de quo era già pendente a tale data. L’unica eccezione, con riferimento alla applicabilità della nuova disciplina, riguarda, a norma del già citato art. 2, comma 5, la disposizione che prevede l’udienza pubblica in luogo di quella camerale. Ma trattasi, all’evidenza, di una novità che, essendo stata introdotta a garanzia dell’opponente, non ha leso alcun suo interesse o diritto di difesa, aumentandone semmai le potenzialità. Del resto il ricorso non enuncia in quale modo l’applicazione della nuova disposizione l’abbia pregiudicato.

L’eccezione, inoltre, appare manifestamente infondata, tenuto conto che la L. n. 154 del 2014, art. 3, comma 1, n. 1, lett. i), delegava il Governo a rivedere ” la disciplina delle sanzioni amministrative pecuniarie prevista dall’art. 144 e la relativa procedura sanzionatoria”, la quale è dettata dall’art. 144 anche con riguardo al giudizio di opposizione dinanzi alla Corte di appello. Ne discende che, come rilevato dal giudice a quo, la delega ha riguardato anche la nuova disciplina del relativo processo.

2. – Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU e art. 111 Cost., in combinato disposto con gli artt. 115,187 e 202 e seguenti c.p.c., censurando la decisione impugnata per avere omesso di valutare l’ammissibilità e fondatezza delle istanze istruttorie con cui l’opponente, al fine di dimostrare che egli non era responsabile personalmente delle violazioni contestate, aveva chiesto di provare per testi che il Comitato direttivo della banca era privo di qualsiasi autonomia direttiva e non era dotato di alcuna funzione deliberativa, che solo con le modifiche introdotte nel gennaio 2012 gli erano state attribuite funzioni di indirizzo e gestione operativa di situazione specifiche e che al responsabile della Direzione commerciale privati erano ricondotte deleghe, competenze e responsabilità di natura eminentemente commerciale su macro-segmenti di clientela di propria pertinenza. Sostiene il ricorso che il rigetto delle istanze di prova sarebbe illegittimo in quanto fondato sul presupposto che il giudizio di opposizione a sanzioni bancarie non richieda lo svolgimento di una fase istruttoria vera e propria. Tale configurazione del giudizio si tradurrebbe però in una grave violazione dei diritti di difesa dell’interessato e sarebbe in contrasto con le norme della Convenzione EDU a garanzia del diritto di difesa. Si chiede quindi a questa Corte, qualora ritenga che la preclusione dell’attività istruttoria sia dipendente dal carattere sommario del rito di opposizione, di sollevare la questione della sua compatibilità con gli artt. 6 della Convenzione EDU e dell’art. 111 Cost.

3. – Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sostenendo che la decisione accolta dalla Corte di appello di non dare ingresso all’attività istruttoria richiesta dall’opponente è contraria ai principi convenzionali a garanzia del diritto di difesa, tenuto conto che la sanzione inflitta, secondo i parametri fissati dalla CEDU, ha natura sostanzialmente penale, con l’effetto che nei relativi giudizi va garantita in misura piena l’attività difensiva dell’incolpato ed il giudice non può non consentire l’ingresso delle prove da questi richieste.

3.1. – I due motivi, da trattarsi congiuntamente, sono entrambi inammissibili.

Come esposto nello stesso ricorso, la Corte di appello, con l’ordinanza del 19 febbraio 2016, richiamata anche nel decreto, ha respinto l’istanza di prova per testi chiesta dall’opponente ritenendo “che i capi 1) e 2) vertono su circostanze da dimostrare come prova negativa, il capo 3) verte su circostanza documentata e/o documentabile, i capi 4) e 5) sono valutativi”.

Proprio questa motivazione smentisce il presupposto su cui appaiono alimentarsi le censure sollevate, che cioè il giudice a quo abbia respinto le richieste istruttorie sulla scorta di una ritenuta preclusione del diritto di prova nell’ambito dei giudizi in materia di opposizione a sanzioni bancarie. Tale conclusione non appare invero risultare dalla motivazione dell’ordinanza istruttoria, dalla quale invece emerge al contrario che il giudice ha condotto la relativa valutazione sulla base dei criteri ordinari della legge processuale, che sottopongono la richiesta di prova delle parti e quindi il loro ingresso nel giudizio ad un preventivo scrutinio di ammissibilità e rilevanza da parte del giudice (art. 183 c.p.c., comma 7).

Ne discende l’inammissibilità dei motivi, attesa la non corrispondenza tra le critiche sollevate e la motivazione adottata dal giudice di merito. Ne discende altresì la non pertinenza della questione di compatibilità convenzionale prospettata dal ricorrente e altresì l’irrilevanza della deduzione circa la natura sostanzialmente penale della sanzione applicata, atteso che, rinviando l’esame della questione all’esame del quarto motivo, comunque un simile riconoscimento non produrrebbe l’immediata applicazione delle norme processuali penali in materia di prova testimoniale, rimanendo il giudizio di opposizione sottoposto alle regole della istruzione probatoria dettate dalla legge processuale civile.

4. – Il quarto motivo di ricorso, denunziando violazione del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 2, comma 3, in relazione ai principi generali del diritto Europeo, e dell’art. 2, comma 2, ultimo alinea del Regolamento n. 2988 del 1998 CE, deduce che alla stregua della disciplina sopravvenuta le violazioni imputategli sono venute meno, atteso che l’art. 144-ter TUB, introdotto dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 1, comma 52, ancora la responsabilità dei funzionari della banca alla presenza di specifici presupposti, che nel caso concreto non sussistono. La Corte di merito ha ritenuto la modifica normativa non applicabile alla fattispecie sulla base del presupposto che in materia non sarebbe operante il principio del favor rei, ma tale conclusione, si sostiene, sarebbe viziata in quanto la sanzione applicata, alla luce dei criteri enunciati dalla Corte E.D.U., ha natura sostanzialmente penale, in ragione delle sue caratteristiche. Ne discende altresì l’illegittimità dell’art. 2 Decreto citato, che dichiara le modifiche apportate applicabili soltanto alle violazioni commesse dopo la sua entrata in vigore, ragione per cui si chiede, nel caso in cui questa Corte non ritenga l’applicabilità della norma più favorevole, che su tale tema venga sollevata questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia.

4.1. – Il mezzo è infondato.

Costituisce orientamento consolidato di questa Corte che in materia di sanzioni amministrative, la cui disciplina è retta dai principi generali di legalità ed irretroattività, trova applicazione la legge in vigore al momento della accertata violazione, mentre rimangono ininfluenti le modifiche apportate da leggi successive, anche nel caso abbiano contenuto abrogativo (Cass. n. 29411 del 2011; Cass. n. 1789 del 2008). Nel caso concreto va poi sottolineato che, come riconosce lo stesso ricorrente, l’irretroattività della nuova disciplina posta dall’art. 144-ter, introdotta dal D.Lgs. n. 72 del 2015, è espressamente stabilita dallo stesso decreto (art. 2, comma 3).

Il ricorso non contesta tale principio, ma sostiene che nella specie esso non andrebbe applicato per avere la sanzione irrogata, in ragione del suo carattere afflittivo, natura sostanzialmente penale, richiamando al riguardo la giurisprudenza in materia della CEDU, formatasi con riguardo ad altro tipo di violazioni sanzionate dalla CONSOB, con l’effetto di ritenerla sottoposta al principio del favor rei.

L’argomento non è condivisibile ed al riguardo è sufficiente osservare che questa Corte, affrontando la relativa questione, ha affermato che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 144 TUB per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale a quelle irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-ter TUF per manipolazione del mercato, sicchè esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, nè pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (cfr. Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia) (Cass. n. 3656 del 2016).

5. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

6. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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