Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2485 del 27/01/2023

Cassazione civile sez. I, 27/01/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 27/01/2022), n.2485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15395/2017 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Sardegna n.

38, presso lo studio dell’avvocato Nicastro Lucio, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Mi.Ma., elettivamente domiciliata in Roma, Via Lucio Papirio n.

147, presso lo studio dell’avvocato Lulli Enrico, che la rappresenta

e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

19/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2021 dal cons. Dott. ANDREA FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ordinanza depositata il 19.12.2016, la Corte d’Appello di Roma ha accolto il reclamo proposto da Mi.Ma. avverso il provvedimento del 20.10.2015 del Tribunale di Roma che, nel procedimento di modifica delle condizioni della separazione consensuale omologata promosso dal coniuge M.A., aveva ridotto l’importo dell’assegno di mantenimento posto a carico di quest’ultimo.

Il giudice di secondo grado ha ritenuto che M., titolare di significative quote di partecipazione in diverse società operanti nel settore dell’edilizia, non avesse fornito prova adeguata di un peggioramento delle proprie condizioni economiche e tantomeno di un miglioramento di quelle della moglie, ed ha pertanto integralmente rigettato la domanda dallo stesso avanzata ex art. 710 c.p.c., condannandolo, altresì, al pagamento delle spese processuali.

M.A. ha proposto ricorso per la cassazione della predetta ordinanza, affidandolo a due motivi.

Mi.Ma. ha resistito con controricorso.

Diritto

RILEVATO

CHE:

1. Con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Espone il ricorrente che la Corte d’Appello, nell’affermare che i mancati realizzi delle società a lui riconducibili non erano dovuti ad andamenti passivi delle attività, ma alla decisione di non ripartire gli utili societari (e di mantenere riserve straordinarie), ha omesso di considerare le circostanze, già oggetto di discussione tra le parti, della sua limitata titolarità di partecipazioni societarie e della conseguente sua impossibilità di poter esercitare un effettivo controllo sulle società in questione, ed avrebbe perciò operato una ricostruzione errata e viziata delle vicende concernenti la contrazione dei suoi redditi.

2 Il motivo è inammissibile.

Va osservato che se è pur vero che la Corte di Appello, nelle proprie valutazioni non si è soffermata sulla qualità di socio di minoranza del ricorrente, tuttavia tale profilo non riguarda certo un punto decisivo della controversia.

In particolare, la Corte d’Appello ha confutato la tesi del M., secondo cui la contrazione degli utili delle società partecipate avrebbe determinato un peggioramento delle sue condizioni economiche, evidenziando in modo articolato ed analitico che, a prescindere dai redditi dichiarati, i suoi estratti conto bancari rivelavano ingenti accrediti (per rimborsi, restituzioni, distribuzione utili) provenienti da talune di esse e prelievi (per versamento soci e anticipazioni) in favore di altre; che inoltre dagli stessi e/c emergevano versamenti in contanti, o tramite assegni e bonifici, di notevole ammontare, di cui non era dato cogliere la provenienza; che anche gli addebiti di importi rilevanti per spese effettuate con la carta di credito denotavano “un tenore di vita che non ci si potrebbe permettere con i risicati redditi dichiarati” (pag. 7 ordinanza impugnata).

Inoltre, il giudice di secondo grado ha rimarcato l’omessa produzione in giudizio, da parte del ricorrente, dei bilanci precedenti a quelli riferiti agli anni dallo stesso ritenuti “negativi”, elemento che avrebbe consentito di apprezzare l’effettiva modifica in peggio delle complessive condizioni delle società, “posto che solo dal raffronto della situazione esistente al momento della separazione con quella successiva può valutarsi la modifica dell’assetto economico realizzato tra i coniugi”.

Con tutti questi precisi rilievi il ricorrente non ha inteso minimamente confrontarsi, talché le sue censure, oltre che di merito (essendo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello), si appalesano come generiche.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 sul rilievo che il principio prioritario in materia di revisione delle condizioni di separazione non è solo il mutamento delle circostanze oggettivamente considerato, ma l’attitudine delle stesse ad assicurare la funzione sociale originaria, assistenziale e solidale, dell’assegno di mantenimento, rispetto alla quale la condizione economica di autosufficienza della sig.ra Mi. costituirebbe elemento che non può essere ignorato.

4. Il motivo è inammissibile.

Premesso che il ricorrente invoca principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile, applicandosi per l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione il diverso criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, va rilevato che è orientamento consolidato di questa Corte che il provvedimento di revisione di tale assegno postula non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche dei coniugi, ma anche la sua idoneità a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo. Ne consegue che il giudice della revisione non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già valutate al momento della pronuncia della separazione, né può prendere in esame fatti anteriori alla formazione del titolo, ancorché all’epoca non considerati per qualsiasi motivo, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell’attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se vi siano circostanze sopravvenute che abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto, adeguando, nel caso, l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (Cass. n. 283 del 2020; Cass. n. 28436 del 2017, n. 19605 del 2016).

Nel caso di specie il ricorrente, nell’evidenziare l’asserita autosufficienza economica della moglie, chiede per l’appunto, inammissibilmente, che si proceda ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti e dell’entità dell’assegno pur in presenza di una situazione rimasta immutata dalla data della separazione, secondo quanto accertato dalla Corte d’appello in base ad una giudizio di fatto non sindacabile nella presente sede di legittimità.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accesso di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

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