Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24848 del 24/11/2011

Cassazione civile sez. I, 24/11/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 24/11/2011), n.24848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13652/2009 proposto da:

B.B. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso l’avvocato D’AMATI

DOMENICO, rappresentata e difesa dagli avvocati MONDIN Claudio,

CAMPESAN ALDO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15765/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/09/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto depositato il 23/4/2008, la Corte d’appello di Venezia ha respinto la domanda proposta da B.B., intesa ad ottenere l’indennizzo per il danno non patrimoniale sofferto dalla ricorrente per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti alla Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale-pensioni civili, con ricorso depositato il 17 dicembre 1997, per ottenere il riconoscimento ai fini pensionistici dell’intero beneficio economico attribuito dall’art. 13 del Regolamento Organico sullo stato giuridico e trattamento economico del personale dipendente dal Provveditorato al Porto di Venezia, definito con sentenza di rigetto del 27/5/06, n. 541/2006.

La Corte d’appello, premesso che la ricorrente non aveva fornito alcun impulso processuale, nè era comparsa all’udienza di discussione della causa, ha ritenuto la piena consapevolezza della infondatezza della pretesa da parte della B., quanto meno dal dicembre 1994, per cui ha escluso il danno non patrimoniale, a ragione del protrarsi del giudizio.

Ricorre la B. sulla base di nove motivi. Il Ministero ha depositato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono intesi a denunciare la violazione della L. n. 89 del 1991, della CEDU, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea come interpretata dalla Corte EDU , degli artt. 24, 102, 103, 111, 113 Cost., e vizi motivazionali, lamentando nel complesso l’erroneità del decreto impugnato, per avere escluso il danno non patrimoniale della B., ritenendo che la stessa non avesse subito ansia o patema d’animo per l’esito del processo che, intentato nella consapevolezza della estrema opinabilità, peraltro da una categoria di lavoratori collettivamente, non aveva potuto ingenerare nella parte alcuna concreta ragionevole aspettativa, ancor più trattandosi di domande infondate e pretestuose, intese in realtà a sollecitare una modifica dell’Ordinamento.

Il Giudice del merito, in tal modo, ha ritenuto di escludere nel caso la presunzione di danno non patrimoniale per la durata irragionevole del giudizio presupposto, alla stregua del rilievo della mancanza sin dall’inizio in capo alla ricorrente della concreta e ragionevole aspettativa dell’esito dell’azione proposta, peraltro di natura collettiva.

Ciò posto, deve invece rilevarsi come, secondo l’orientamento di questa Corte, debba ritenersi irrilevante il fatto della conclusione negativa del giudizio presupposto e che tale esito fosse in qualche modo prevedibile, giacchè l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo nè incide di per sè sulla tutela indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che la parte si sia resa responsabile, e ne sia data la prova, di lite temeraria o,comunque di un vero e proprio abuso del processo, per esempio artatamente resistendo in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, atteso che in tal modo, viene a difettare proprio la condizione soggettiva di incertezza (vedi a riguardo la pronuncia 2385/2011, che ha escluso il danno nel caso di consapevolezza della parte del fondamento della pretesa ex adverso azionata, nonchè le pronunce 18780/2010, 2385/2011, 9938/2010, tra le tante).

Il decreto impugnato va pertanto cassato e, alla stregua del principio costituzionale della durata ragionevole del processo ex art. 111 Cost., e dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali art. 117 Cost., deve farsi uso del potere di decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2.

Nella specie, il giudizio presupposto è durato otto anni e cinque mesi; trovano applicazione i principi seguiti da questa Corte anche per i giudizi instaurati avanti al giudice amministrativo, nel senso che la lesione del diritto alla definizione del processo nel termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione va riscontrata, anche per le cause davanti al Giudice pensionistico, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, mentre l’omissione od il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo o di sollecitazione o di trattazione anticipata, pur quando prevista dalla prassi degli uffici giudiziari quale strumento acceleratorio, non implica il trasferimento sulla parte della responsabilità dello Stato per il superamento della scadenza ragionevole, nè il differimento della decorrenza del termine ragionevole di durata dalla data della proposizione della domanda, collocandosi la mancata presentazione di istanza acceleratoria sul terreno della valutazione della entità del patema d’animo sofferto a ragione del ritardo, e quindi della misura del ristoro da riconoscersi in termini di equa riparazione (così tra le ultime, nel giudizio pensionistico, Cass. 3782/2006 e 8156/2006 e nel giudizio amministrativo, Cass. 14753/2010, Cass. 1365/2008, S.U. 28507/2005, Cass. 19804/2005).

In adesione all’orientamento assunto dalla pronuncia 14753/2010,in accoglimento del ricorso in base ai principi sopra enunciati, considerate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al giudice contabile oltre i limiti ragionevoli di durata, che ha evidenziato, in relazione al comportamento della parte, uno scarso interesse alla causa, nonchè considerate la natura e la consistenza della pretesa azionata e i margini di riduzione ricavabili dalle decisioni della CEDU del 16 marzo e del 6 aprile 2010, l’indennizzo può essere liquidato nella misura forfettaria complessiva di Euro 4650,00, con gli interessi legali dalla domanda sino al saldo.

Attesa la soccombenza, l’Amministrazione va condannata alla rifusione alla ricorrente delle spese del giudizio di merito e di legittimità, negli importi indicati in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione , cassa il decreto impugnato e,decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 4.650,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio di merito e di legittimità, che determina per il giudizio di merito, nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti, ed Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, e per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2011

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