Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24847 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 06/11/2020), n.24847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28547-2014 proposto da:

S.S., SOCIETA’ IMMOBILIARE DEPOSITI INDUSTRIALI SPA

(SIDI SPA) M.M., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

BROCHIERO MAGRONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II DI ROMA UFFICIO

CONTROLLI in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE III DI ROMA UFFICIO

CONTROLLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2227/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 09/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I tre contribuenti qui ricorrenti sono soci della soc. Stesim Immobiliare srl che era attinta da accertamento per l’anno 2005 con rideterminazione delle vendite immobiliari perfezionate in quel periodo di imposta.

La procedura di accertamento con adesione della Stesim Immobiliare srl non si esperiva ritualmente nei termini per un vizio di notifica, donde risultava anche tardivo il suo ricorso alla CTP che, pur vedendo una rimodulazione a ribasso per autotutela dell’Ufficio nel corso del procedimento, veniva rigettato per questo profilo di rito, senza entrare nel merito delle doglianze di merito, tra cui quella del mancato rispetto del termini di 60 giorni tra fine delle operazioni presso la sede del contribuente e notifica dell’avviso di accertamento.

2. Spiccavano coeve distinte impugnazioni anche i soci della Stesim srl, ricorrenti in questa sede, in quanto su di loro si rifletteva la presunzione di ripartizione del maggior reddito non dichiarato, secondo la percentuale di ciascuno al capitale sociale della contribuente prima accertata. Anche tali giudizi esitavano in rigetto, per intervenuta definitività dell’accertamento in capo alla società immobiliare, non avendo fatto valere vizi propri dei singoli soci contribuenti, ma solo profili di illegittimità della procedura verso la società.

Su queste stesse ragioni era confermata la sentenza di primo grado, con rigetto dell’appello, qui impugnato per cassazione con due motivi, cui replica con controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo viene prospettata violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa o quantomeno insufficiente motivazione in relazione a punti decisivi della controversia e prospettati dalle parti ricorrenti. Nella sostanza si lamenta che il giudice di secondo grado abbia ritenuto i motivi doglianza prospettati dai soci non autonomi rispetto all’accertamento in capo alla società, divenuto definitivo. Dalla lettura del ricorso per cassazione si evince che i soci abbiano sì presentato autonomi ricorsi, ciascuno impugnando l’avviso di accertamento a lui destinato, ma con argomenti – tra cui quello del mancato rispetto del termine di 60 giorni tra conclusione della verifica e notifica dell’accertamento – relativi alla ritualità e fondamento dell’accertamento primigenio in capo alla società, divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini.

Il presunto difetto di omessa pronuncia sui motivi di appello dei soci (non qui ritrascritti) doveva esser fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, come ha più volte ribadito questa Corte, affermando che l’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cfr. Cass. V, n. 7871 del 18/05/2012, Rv. 622908 – 01; VI -L n. 329/2016).

In disparte altresì i profili di inammissibilità del motivo perchè coniato sul testo previgente dell’art. 360, n. 5, nonchè di autosufficienza del motivo, circa la riproduzione delle doglianze prospettate nei gradi di merito, in questo senso la sentenza qui gravata risulta congruamente motivata dove ha fatto riferimento alla presunzione di distribuzione in capo ai soci del maggior utile (a questo punto, definitivamente) accertato in capo alla soc. Stesim srl, secondo legge nell’interpretazione costante di questa Corte regolatrice.

Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018).

Il motivo è inammissibile e comunque infondato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si propone censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nella sostanza lamentando non sia stato rispettato il termine di 60 giorni tra chiusura delle operazioni di verifica presso la sede della contribuente accertata e la notifica dell’avviso di accertamento. Il motivo è inammissibile per violazione della regola secondo cui ogni atto autonomamente impugnabile può essere impugnato per i vizi propri (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19). L’eccezione secondo cui l’avviso di accertamento sarebbe stato notificato prima del decorso del termine dilatorio dei sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è eccezione propria del soggetto che ha subito la verifica nei locali dell’azienda, quindi poteva essere dedotta soltanto dalla società oggetto di verifica in loco e non dai soci ai quali è notificato il succedaneo avviso di imputazione pro quota degli utili non contabilizzati dalla società di capitali a ristretta base azionaria.

Il motivo è dunque inammissibile.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro quindicimila/00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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