Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24846 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 09/10/2018), n.24846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5063-2014 proposto da:

BANCA CR FIRENZE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 332, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO, rappresentata e difesa

dall’avvocato VITTORIO BECHI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE 39,

presso lo studio dell’avvocato RACHELE VACCA DE DOMINICIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato COSIMO MASTRANGELO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

L.D.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 188/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/02/2013, R.G.N. 976/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Firenze ha rigettato il gravame proposto dalla Banca Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accertato il demansionamento subito da S.M. a decorrere dal mese di ottobre del 1988 ed aveva condannato la banca al risarcimento del danno non patrimoniale, comprensivo del danno biologico e di quello morale ed esistenziale conseguente alla lesione della dignità della persona ed all’immagine professionale. In accoglimento dell’appello incidentale del S., poi, ha liquidato a titolo risarcitorio l’ulteriore somma di Euro 60.000,00 personalizzando il danno, già liquidato in base alle Tabelle del Tribunale di Milano, in considerazione della durata del demansionamento protrattosi per sei anni. Quanto alla appellata L.D., la Corte ha evidenziato che la stessa, evocata in giudizio solo in quanto parte del giudizio di primo grado, non si era costituita e non aveva quindi riproposto le domande avanzate in primo grado.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre la Banca Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a. e formula due motivi. Resiste con controricorso Maurizio S.. L.D. è rimasta intimata. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., comma 1 e dell’art. 1226, 2727, 2729, 2043, 2059 e 2697 c.c. nonchè degli artt. 2, 3 e 32 Cost. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Sostiene la ricorrente che in forza del principio di unitarietà del danno non patrimoniale non è ammissibile l’autonoma categoria del danno esistenziale e la liquidazione di un ulteriore posta di danno costituirebbe una inammissibile duplicazione risarcitoria.

4. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata l’omessa, l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.1. Deduce la Banca che la Corte di appello avrebbe immotivatamente riconosciuto la necessità di personalizzare il risarcimento del danno non patrimoniale – già liquidato dal giudice di primo grado con riguardo alle tabelle del Tribunale di Milano, che già ricomprendono nella quantificazione del punto oltre che il danno biologico anche quello alla sfera soggettiva, morale e assistenziale – ancorando la sua decisione alla durata del demansionamento (Euro 60.000,00 per un demansionamento protrattosi per sei anni) e senza precisare altro quanto all’incidenza sulla vita e la personalità del lavoratore.

5. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

5.1. Il primo motivo è infondato. La Corte di appello ha dato conto puntualmente delle ragioni per le quali ha ritenuto necessario personalizzare il danno evidenziando che in relazione alla durata del demansionamento ed alla comprovata incidenza dello stesso nella vita familiare del lavoratore ne era risultata provata una incidenza meritevole di considerazione. Ha dato atto della presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgono a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, procedendo così alla personalizzazione e dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari. In tal modo il giudice di appello si è attenuto ai principi dettati da questa Corte che, con riguardo all’applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, finalizzate a soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, ha stabilito che affinchè al giudice, nell’effettuare la necessaria personalizzazione del risarcimento in base alle circostanze del caso concreto, sia consentito di superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle, è necessario che la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'”id quod plerumque accidit”, e che dia adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate (Cass. 23/02/2016 n. 3505, 15/05/2018n. 11754).

5.2. Il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile. Nel denunciare una immotivata personalizzare del danno non patrimoniale sulla base di parametri incerti deduce che la Corte non avrebbe chiarito in che modo e perchè il demansionamento, al di là della sua durata, avrebbe inciso sulla vita e la personalità del lavoratore. Osserva al riguardo il Collegio che la censura non tiene conto del fatto che alla controversia trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella riformulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. Come è stato autorevolmente ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. ss.uu. 07/04/2014 n. 8053) ed è oramai acquisito pacificamente, tale disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Nella sua nuova formulazione con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Tanto premesso osserva il Collegio che con la sua censura la Banca propone invece una sua lettura delle emergenze istruttorie diversa rispetto alla ricostruzione operata dalla Corte di merito senza evidenziare quale sia stato nello specifico il fatto decisivo il cui esame avrebbe determinato una diversa decisione della controversia.

6. In conclusione la sentenza deve essere integralmente confermata. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5000,00 per compensi professionali Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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