Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24846 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 06/11/2020), n.24846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28505/2014 R.G. proposto da:

P.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Lovati, in

virtù di mandato in calce al ricorso, elettivamente domiciliata

presso il suo studio in Vigevano, Via Cesarea n. 59;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 2672/2014, depositata il 21 maggio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pavia che aveva accolto il ricorso presentato da P.M. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per gli anni 2006 e 2007, avendo rilevato la titolarità da parte della contribuente di una residenza principale, con rate di mutuo pari ad Euro 2.237,39 nel 2006 e ad Euro 11.580,19 per il 2007, di due residenze secondarie, di due autoveicoli, di investimenti patrimoniali per Euro 187.000,00 relativi all’acquisto di due immobili in (OMISSIS) nel 2007, e di un altro immobile nel 2008. Il giudice di appello rilevava che la contribuente non aveva fornito la prova contraria, con la dimostrazione della sussistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte. In particolare, la stessa non aveva documentato la provenienza del denaro rinvenuto sui suoi conti correnti, limitandosi solo ad affermare, in sede di accertamento con adesione, di avere ricevuto donazioni dal padre e, successivamente, in sede di contenzioso, di averle ricevute dalla madre. Negli anni la contribuente aveva ricevuto anche somme rilevanti in monete metalliche (Euro 25.000,00 il 21-4-2006 ed Euro 45.000,00 il 26-9-2006).

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Anzitutto, si rileva che non può essere accolta l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla Agenzia delle entrate con il controricorso, relativamente al mancato deposito da parte della ricorrente della copia autentica della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Infatti, per questa Corte, il ricorso di cassazione non è improcedibile ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per omesso deposito da parte del ricorrente della sentenza impugnata, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice in quanto prodotta dalla parte resistente, atteso che una differente soluzione, di carattere formalistico, determinerebbe un ingiustificato diniego di accesso al giudizio di impugnazione in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (Cass., n. 4370/2019).

Nella specie, sulla copia della sentenza della Commissione regionale in atti risulta apposta la certificazione di conformità all’originale in data 2-10-2014.

1.1. Con il primo motivo di impugnazione (dovendosi considerare tale, in assenza di numerazione da parte della ricorrente, quello trascritto a pagina 3 del ricorso per cassazione) la contribuente deduce la “nullità della sentenza e/o del procedimento”, in quanto la notifica dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate non le era stato notificato. In particolare, rileva che aveva eletto domicilio in primo grado presso l’Avv. Rosmery Patrizi, in Pavia, Piazza del Carmine, n. 4, ma il suo Avvocato aveva cambiato studio nel maggio del 2012, spostandosi in Vigevano, Via Cesarea n. 59, dandone comunicazione al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati in Pavia in data 16-7-2012. Analoga comunicazione era stata effettuata anche dall’Avv. Ernestina Salvadeo, anch’essa domiciliata in Pavia a Piazza del Carmine n. 4, chiedendo la cancellazione della domiciliazione dell’Avv. Patrizi dal proprio studio. Tuttavia, l’Agenzia, dopo aver tentato la notifica dell’appello in Vigevano, via Carrobbio n. 16, con restituzione del plico per irreperibilità, aveva tentato di notificare l’appello presso il precedente studio professionale in Pavia in data 28-11-2013. La notifica dell’impugnazione, pur indirizzata ad un domicilio errato, ossia quello di Pavia, però, era stata ritirata da persona ignota che aveva apposto falsamente la firma “Rosemary Patrizi”, sicchè l’Avv. Patrizi aveva esposto denuncia dinanzi alla Procura della repubblica presso il Tribunale di Pavia Il processo di appello, quindi, si è svolto senza la presenza della contribuente.

2. Con il secondo motivo di impugnazione (dovendosi considerare tale, in assenza di numerazione da parte della ricorrente, quello trascritto a pagina 4 del ricorso per cassazione), la ricorrente deduce la “decadenza del termine fissato per la notifica”, in quanto l’indicazione del domicilio professionale, necessaria per la validità della richiesta della notifica, rappresenta un adempimento preliminare posto a carico del notificante, che è in grado di assolverlo agevolmente attraverso un semplice accesso all’albo professionale. Vi è stata, quindi, decadenza derivante dalla inosservanza del termine fissato per la notificazione dell’atto di citazione in appello dell’Agenzia delle entrate del 13-11-2013, nonchè di tutti gli atti consequenziali e della sentenza della Commissione regionale. In via incidentale la P. propone querela di falso chiedendo “che vengano disposti gli accertamenti tecnici opportuni utilizzando le scritture di comparazione.

2.1. Il primo motivo è fondato.

2.2. Invero, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, prevede che “le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni di domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione”. Al comma 2 si dispone che “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione di domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”.

2.3. Nella specie, però, non è la parte ad aver effettuato una variazione di domicilio, ma è il difensore domiciliatario ad avere trasferito il proprio studio da Pavia, Piazza del Carmine n. 4, a Vigevano, Via Cesarea n. 59.

Pertanto, per questa Corte, qualora la parte nel conferire la procura al proprio difensore elegga domicilio presso lo studio professionale del medesimo, il procuratore non ha l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio, essendo previsto tale onere soltanto per il domicilio eletto autonomamente, mentre l’elezione operata dalla parte ha solo funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, sicchè in questi casi è onere del notificante di effettuare apposite ricerche per individuare il nuovo luogo di notificazione, ove quello a sua conoscenza sia stato mutato (Cass., sez 5, 30 luglio 2002, n. 11223).

Si è precisato che, nel processo tributario, le variazioni del domicilio eletto o della residenza o della sede, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, sono efficaci nei confronti delle controparti costituite dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata loro notificata la denuncia di variazione; tale onere è previsto per il domicilio autonomamente eletto dalla parte, mentre l’elezione del domicilio dalla medesima operata presso lo studio di qualsiasi difensore, citato D.Lgs., ex art. 12, ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del procuratore medesimo. In tale caso, il difensore domiciliatario non ha a sua volta l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio ed è, invece, onere del notificante di effettuare apposite ricerche per individuare il nuovo luogo di notificazione, ove quello a sua conoscenza sia mutato, dovendo la notificazione essere effettuata al domicilio reale del procuratore anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte (Cass., sez. 5, 30 novembre 2017, n. 28712;Cass., 22 marzo 2017, n. 7527; Cass., 29 maggio 2013, n. 13366; Cass., 7 settembre 2010, n. 19134; Cass., 5 febbraio 2009, n. 2776; Cass., 2 dicembre 2005, n. 26313, analogamente a quanto avviene nel giudizio civile (Cass., 26 giugno 1992, n. 7990; Cass., 24 gennaio 2000, n. 533086; Cass., 3 novembre 2000, n. 14698).

La notifica presso il domicilio dichiarato nel giudizio “a quo”, che abbia avuto esito negativo perchè il procuratore si sia successivamente trasferito altrove, non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali) anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, poichè il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, e non sussiste alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo, tale onere essendo previsto, infatti, per il domicilio eletto autonomamente, mentre l’elezione operata dalla parte presso lo studio del procuratore ha solo la funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, sicchè costituisce onere del notificante l’effettuazione di apposite ricerche atte ad individuare il luogo di notificazione. Siffatto onere non si pone affatto in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., potendo essere svolta agevolmente l’attività di ricerca posta a carico della parte, sicchè non è configurabile alcuna lesione del canone della ragionevolezza nè alcuna limitazione del diritto di difesa (Cass., 7 giugno 2017, n. 14083).

Peraltro, tale regola vale per l’elezione di domicilio avvenuta presso qualsiasi difensore ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, in quanto relativamente a tutte le categorie ivi contemplate sono soddisfatte le esigenze di pubblicità dei relativi studi (Cass., 5 febbraio 2009, n. 2776, con riferimento all’ applicazione di tale regola ad un difensore diverso da avvocato).

2.4. Pertanto, la notifica dell’appello avrebbe, dunque, dovuto essere eseguita presso il nuovo studio sito in Vigevano, anche in assenza della comunicazione della variazione.

In tal caso, non può ritenersi perfezionata la notifica dell’appello all’originario indirizzo dello studio, in Pavia, successivamente trasferito a Vigevano.

In alcuni casi si è ritenuta valida la notifica nel luogo originariamente dichiarato, in assenza della denuncia della variazione, ma la sede dello studio era rimasta immutata, essendo stato piuttosto aggiunto un ulteriore domiciliatario o revocato il mandato (Cass., 22 settembre 2011, n. 19324; Cass., 20 aprile 2016, n. 7938).

Tuttavia, trattasi di notifica nulla, ma non inesistente, sicchè deve trovare applicazione l’art. 291 c.p.c., con la rinnovazione della notifica dell’atto di appello da parte della Commissione tributaria regionale.

2.5. Infatti, la notifica dell’atto di appello all’indirizzo del precedente difensore domiciliatario è solo nulla, ma non inesistente, con possibilità di rinnovazione della stessa ai sensi dell’art. 291 c.p.c.. Nel caso che ci riguarda, dunque, è vero che la notifica è stata tentata nel precedente domicilio del difensore, ma tale notifica è avvenuta, con la consegna ad un soggetto che si è qualificato come il difensore domiciliatario (Rosmery). Per questa Corte, a sezioni unite, (Cass., sez. un., n. 14916 del 2016), la notifica è inesistente solo nel caso in cui non vi sia stata proprio alcuna consegna, ma “l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”. In questo caso, invece, v’è stata la notifica, anche se l’avvocato domiciliatario ha disconosciuto tale firma.

3. Quanto alla domanda di querela di falso presentata dalla ricorrente in questa sede, si rileva che per questa Corte, in tema di contenzioso tributario, la querela di falso è (rilevante e) proponibile nel giudizio di cassazione soltanto nei casi in cui concerna documenti attinenti al relativo procedimento e non anche quanto riguardi quelli che il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione impugnata, l’eventuale falsità dei quali, ove definitivamente accertata, potrà essere fatta eventualmente valere, nelle forme e nei limiti consentiti dall’ordinamento processuale generale e tributario, come motivo di revocazione della sentenza impugnata, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, e art. 395 c.p.c., n. 2, (Cass., 4 aprile 2018, n. 8377; Cass., 15 dicembre 2000, n. 15885; Cass., 14 giugno 1999, n. 5884).

Invero, nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione. Pertanto, essa può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito (Cass., 29 gennaio 2019, n. 2343).

Nel giudizio di cassazione, dunque, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito, la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2, costituisce, una volta accertata la falsità dell’atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di “invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito” (Cass., 23 ottobre 2014, n. 22517).

4. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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