Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24841 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 06/11/2020), n.24841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17600/2015 R.G. proposto da:

P.F., P.M., P.L. e P.V.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Francesco De Santis, con domicilio

eletto in Roma, Viale Cortina d’Ampezzo, n. 269, presso il suo

studio, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n.

12;

– controricorrente –

Equitalia Nord s.p.a. e Equitalia Sud s.p.a.

– intimate –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 106/07/2015, depositata il 7 gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 novembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ordinanza della Cassazione n. 14720/2010 veniva respinto l’appello proposto dalla società Stock House di P.V. & C sas, oltre che dai soci P.V., P.L., P.M. e P.F., avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 321/07, che aveva respinto l’appello da essi proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale, che aveva rigettato il ricorso proposto contro gli avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle entrate per Iva e Irap, in relazione a fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, per gli anni 1998 e 1999.

2. A seguito degli avvisi di accertamento Irpef, emessi in base al principio di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, nei confronti dei soci, veniva notificata agli stessi cartella di pagamento per l’importo iscritto a titolo provvisorio. Successivamente veniva notificato ai soci un’ulteriore cartella iscritta dopo la pronuncia della Commissione tributaria regionale della Campania.

3. Con riferimento alla cartella relativa alla prima iscrizione provvisoria la Corte di Cassazione, in relazione al solo P.F., con ordinanza n. 13318/10, depositata in data 1-6-2010, annullava la sentenza n. 322/07 della Commissione regionale della Campania, per difetto di contraddittorio nei confronti degli altri soci, sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario, rimettendo le parti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento.

4. In questo procedimento (n. 17600/2015), in primo grado il solo P.F. impugnava la cartella di pagamento iscritta a titolo provvisorio (OMISSIS) per Euro 302.156,81. A seguito della pronuncia della Cassazione, che con la succitata ordinanza n. 13338/10 aveva annullato la decisione della CTR della Campania (322/07) per difetto di contraddittorio con i soci, il processo era tornato in primo grado, con la partecipazione, dopo la riassunzione da parte di P.F., anche di P.V., P.L. e P.M..

4.1. La Commissione tributaria provinciale di Benevento accoglieva il ricorso in quanto dalla scrittura privata di scioglimento della società di persone con firme autenticate da parte del notaio Iannella in data 4-9-1999, risultava che le quote dei soci accomandanti erano ciascuna dell’1 %. L’atto di scioglimento non era stato contestato dalla Agenzia delle entrate.

4.2. Con l’atto di appello l’Agenzia delle entrate contestava che i primi giudici avevano accolto il ricorso basandosi soltanto su una copia fotostatica priva di attestazione di conformità all’originale, mentre l’Ufficio aveva opposto a tale copia il dato contrastante rinvenuto nell’Anagrafe Tributaria, desunto dalla dichiarazione dei redditi della società. Inoltre, nel corso del giudizio di appello l’Agenzia depositava un nuovo documento, denominato “documento in originale rilasciato dalla Camera di Commercio di Benevento”, consistente in altra fotocopia della scrittura privata del 4-9-1999, da cui risultava che le quote dei soci accomandanti erano del 33% per ciascuno, mentre quella dell’accomandatario era dell’1%.

4.3. La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate, rilevando che dalla scrittura privata prodotta dalla Agenzia delle entrate le quote dei soci accomandanti erano del 33 %, che la produzione di nuovi documenti era sempre ammissibile in appello ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, che l’ordinanza della Cassazione 13318/10 non aveva acclarato che la partecipazione di P.F. era dell’1 %.

5. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione tutti i soci. P.F. ha depositato memoria scritta.

6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, mentre non hanno svolto difese Equitalia Nord S.p.A. ed Equitalia Sud S.p.A., intimate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione di questo procedimento n. 17600/2015 (relativo alla cartella di pagamento riferita alla iscrizione provvisoria), i ricorrenti P.F., P.M., P.L. e P.V., deducono “violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., in relazione agli artt. 214 e 215 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto il giudice di appello ha deciso la controversia dando ragione all’Agenzia delle entrate, sulla scorta dell’atto di scioglimento della società, in data (OMISSIS), prodotto in fotocopia solo in sede di appello, da cui emergeva che la quota dei soci accomandanti era del 33 % e non dell’1 %. Tuttavia, già con il ricorso in riassunzione i ricorrenti avevano prodotto in giudizio analoga fotocopia, sempre in data (OMISSIS), attestante però la partecipazione dei soci accomandanti alla società nella misura dell’1/0 e non del 33%. A fronte di tale produzione in prime cure l’Agenzia delle entrate non ha provveduto al disconoscimento ai sensi dell’art. 214 c.p.c., mentre solo in sede di appello ha prodotto analoga scrittura, con la stessa data, ma di contenuto diverso. In assenza del tempestivo disconoscimento della scrittura che doveva avvenire in sede di controdeduzioni nel giudizio di primo grado, la copia della scrittura privata del (OMISSIS) deve ritenersi conforme all’originale acquisito agli atti del notaio rogante. Nessun valore, invece, può essere attribuito alla copia ulteriore, ma di contenuto diverso, dello stesso atto prodotta in appello dall’Agenzia delle entrate.

2. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 e 2719 c.c., in relazione agli artt. 115,214 e 215,221 e ss. c.p.c., nonchè agli artt. 2727 e ss. c.c., e agli artt. 2730 e ss. c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto la scrittura prodotta in appello dalla Agenzia delle entrate non poteva travolgere l’efficacia ormai consolidata fin dal precedente grado di giudizio, per effetto del mancato disconoscimento ex art. 2719 c.c. da parte della Agenzia delle entrate. Nè la prima scrittura privata prodotta in primo grado dai soci poteva essere travolta dalle risultanze della dichiarazione dei redditi della società Stock House. Per effetto del mancato disconoscimento della scrittura privata prodotta in primo grado, quest’ultima, nella parte in cui reca le dichiarazioni di volontà, raccolte dal Notaio, dei soci accomandanti e del socio accomandatario relative alla ripartizione delle quote, aveva la stessa efficacia della scrittura originale con firma autenticate, ai sensi dell’art. 2702 c.c.. Pertanto, l’Agenzia delle entrate avrebbe potuto superare tale efficacia probatoria solo con la proposizione della querela di falso. Nè tale efficacia probatoria fino a querela di falso poteva essere superata dalla dichiarazione fiscale resa dalla società, essendo quest’ultimo una mera presunzione semplice proveniente dalla società terza e non dai soci accomandanti. Nè tale dichiarazione dei redditi era assimilabile ad una confessione.

3. Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti si dolgono della “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Nullità della sentenza (art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.)”, in quanto con la produzione del nuovo documento in appello, relativo alla ripartizione interna delle quote societarie, l’Agenzia delle entrate ha introdotto una nuova tematica nel giudizio.

3.1. I motivi primo, secondo e terzo, che vanno trattati congiuntamente per regioni di stretta connessione) sono infondati.

3.2. Invero, nel corso del giudizio di primo grado in riassunzione, proveniente dall’ordinanza della Cassazione 13318/10, che aveva dichiarato la nullità dell’intero giudizio, per difetto di contraddittorio tra tutti i soci litisconsorti necessari , dovendo determinarsi la rispettiva quota societaria di ciascuno, i soci ricorrenti in riassunzione hanno prodotto la fotocopia della scrittura privata autenticata dal notaio, in data (OMISSIS), recante la dicitura “originale” sulla prima pagina, nonchè l’autentica notarile sull’ultima pagina, con numero di repertorio ((OMISSIS)), sigillo e timbro del Notaio I., ed attestazione di copia conforme all’originale sempre a cura del Notaio I., con cui si attestava che le quote dei soci accomandanti P.L., P.M. e P.F. era dell’1% e quella del padre P.V. accomandatario era del 97%.

Tale scrittura privata prodotta in fotocopia non è stata oggetto di disconoscimento da parte della Agenzia delle entrate, nel corso del giudizio di primo grado, in quanto quest’ultima si è limitata a produrre la copia della dichiarazione dei redditi della società con cui si attribuivano ai soci accomandanti le quote del 33 % ed al socio accomandatario quella dell’1%.

4. L’art. 2719 c.c. prevede sul punto che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.

L’art. 2712 c.c. (riproduzioni meccaniche) dispone che “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche…formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

L’art. 214 c.p.c., poi, prevede che “colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione”.

L’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2 stabilisce, quindi, che “La scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta:…2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”.

Sul punto va anzitutto chiarito che, nel processo tributario, in forza del rinvio operato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma, il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione, e a tale accertamento procede ove ricorrano le medesime condizioni che il codice di rito prescrive per l’esperibilità della procedura di verificazione nonchè, in caso positivo, con l’esercizio dei poteri istruttori e nei limiti delle disposizioni speciali dettate per il processo tributario (Cass., sez. 5, 31 marzo 2011, n. 7355). La tempestività del disconoscimento deve valutarsi con riferimento alla proposizione del ricorso con cui è impugnato l’atto impositivo fondato sulla scrittura privata, quando è il contribuente onerato del disconoscimento (Cass., sez 5, 17 maggio 2019, n. 13333).

4.1. Per questa Corte l’art. 2719 c.c. esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche e si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c.. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell’originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche “aliunde” (Cass., 13 giugno 2014, n. 13425; Cass., sez. 2, 20 febbraio 2018, n. 4053, per la quale il disconoscimento deve avvenire in modo formale e specifico; Cass., sez. 3, 25 febbraio 2009, n. 4476; Cass., sez. 5, 18 giugno 2004, n. 11419).

Inoltre, si è affermato che la copia fotostatica di un documento ha lo stesso valore dell’originale e la sua stessa efficacia probatoria solo se la sua conformità all’originale non viene contestata dalla parte contro cui è prodotta, secondo il principio fissato dall’art. 2712 c.c., applicabile anche nel processo tributario (Cass., 22 maggio 2003, n. 8108).

Si è precisato da parte di questa Corte che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la documentazione perchè inammissibile ed irrilevante”, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., sez 3, 3 aprile 2014, n. 7775; sez. 5 Cass., 13 dicembre 2017, n. 29993). Il disconoscimento di un documento in copia, ai sensi dell’art. 2719 c.c., deve essere specifico, quindi riferito ad una copia concretamente individuata e successivo, effettuato cioè dopo la produzione in giudizio della copia medesima (Cass., sez. 5, 30 gennaio 2006, n. 1991).

4.2. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 4, prevede, poi, che “unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato, se notificato, o i documenti che produce, in originale o fotocopia”.

L’art. 22 comma 5, quindi, dispone che “ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e documenti di cui ai precedenti commi”.

Si è ritenuto che, in tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 4, la produzione, da parte del ricorrente, di documenti in copia fotostatica costituisce modalità idonea per introdurre la prova nel processo, atteso che, ai sensi dell’art. 2712 c.c., è onere dell’Amministrazione finanziaria contestarne la conformità all’originale, in presenza della quale il giudice è tenuto a disporre la produzione del documento in originale citato D.Lgs. n. 546, ex art. 22, comma 5 (Cass., sez. 5, 27 aprile 2015, n. 8446; Cass., sez 5, 23 ottobre 2016, n. 22770; Cass. Sez. 5, 11 maggio 2018, n. 11435).

4.3. La mancata contestazione della conformità della copia all’originale, fa sì che la fotocopia dell’atto di scioglimento della società debba considerarsi come riconosciuta.

L’art. 2702 c.c. prevede che “la scrittura privata fa piena prova fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

4.4. Tuttavia, l’efficacia di piena prova della scrittura privata riconosciuta è meno ampia rispetto a quella dell’atto pubblico, la cui area probatoria è sensibilmente più estesa, comprendendo oltre alla provenienza delle dichiarazioni, anche la data di formazione e il compimento dei fatti, operativi o dichiarativi, che il pubblico ufficiale attesta essersi realizzati in sua presenza per iniziativa propria o delle parti comparenti.

In particolare, si è ritenuto che il riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell’art. 215 c.p.c. e la verificazione della stessa ex art. 216 stesso codice, attribuiscono alla scrittura il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l’art. 2702 c.c., della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate, sicchè il contenuto di queste ultime può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi (Cass., sez 3, 30 giugno 2015, n. 13321; Cass., sez L., 12 maggio 2008, n. 11674; Cass., sez 2, 30 maggio 2007, n. 12695; Cass., sez L., 25 ottobre 1993, n. 10577;Cass., 2 gennaio 1998, n. 5; Cass., sez 2, 14 luglio 1988, n. 4611; contra solo Cass., 8 maggio 1981, n. 3009 e Cass., 6 dicembre 1972, n. 3532).

Pertanto, essendo il valore di prova legale della scrittura privata riconosciuta o da considerarsi tale, limitato alla provenienza della dichiarazione del sottoscrittore e non estendendosi al contenuto della medesima, la querela di falso è esperibile unicamente nei casi di falsità materiale per rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione e non in quella di falsità ideologica per impugnare la veridicità di quanto dichiarato, al qual fine può farsi invece ricorso alle normali azioni atte a rilevare il contrasto tra volontà e dichiarazione (Cass., sez 1, 10 aprile 2018, n. 8766; Cass., sez 3, 2 giugno 1999, n. 5383).

4.5. Pertanto, l’Agenzia delle entrate, pur non avendo disconosciuto tempestivamente la copia dello scioglimento societario, ed essendosi verificato il riconoscimento tacito di cui all’art. 215 c.p.c., tuttavia non aveva alcun obbligo di proporre la querela di falso della scrittura riconosciuta, potendo contrastare il contenuto probatorio di tale documento in ogni modo.

Del tutto legittima, in quanto consentita ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, è stata, allora, la produzione in giudizio di altra copia del medesimo documento recante però la ripartizione interna delle quote nella misura del 33 per i tre soci accomandanti e dell’1 % per il socio accomandatario.

Peraltro, la copia prodotta dalla Agenzia delle entrare è pacificamente quella proveniente dalla Camera di commercio, ove ovviamente l’atto di scioglimento è stato iscritto presso il registro delle imprese.

L’Agenzia delle entrate ha anche prodotto, già dal giudizio di primo grado, la dichiarazione dei redditi della società di persone, rinvenuta nell’Anagrafe tributaria, con la ripartizione delle quote per il 33 % a favore dei soci accomandanti e per 111 % a favore del socio accomandatario P.V.. Di tale documento il giudice di appello non fa menzione nella sentenza impugnata.

La Commissione regionale, dunque, ha operato una valutazione tra i documenti in atti ritenendo maggiormente attendibili i due documenti prodotti dalla Agenzia delle entrate rispetto a quello prodotto in primo grado dai ricorrenti. Nessuna violazione di legge è, dunque, rinvenibile nella sentenza del giudice di appello. Questi, appunto, ha affermato che dalla scrittura privata di scioglimento della società, depositata alla Camera di commercio dal Notaio I.M. in allegato alla prescritta denuncia, in data (OMISSIS), prodotta in appello dalla Agenzia delle entrate, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, risultava che le quote dei soci accomandanti erano del 33% per ciascuno dei tre, e quella dell’unico socio accomandatario era dell’1%.

5. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei contribuenti, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i contribuenti, in solido tra loro, a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto, (con riferimento ai procedimenti 10594/13 e 17600/15) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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