Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2484 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 31/01/2017,  n. 2484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 22972/2010 proposto da:

EUROFINANZIARIA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO MERCURI 8, presso l’avvocato EMANUELE SQUARCIA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CESARE MAUPOIL,

ETTORE MAUPOIL, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso

l’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati RENATO SCOGNAMIGLIO, ALESSANDRO CERVINI,

giusta procura speciale per Notaio R.C. di (OMISSIS) –

Rep. n. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1806/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MAUPOIL CESARE che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato PORCELLI VINCENZO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Eurofinanziaria ha convenuto in giudizio Monte dei Paschi di Siena chiedendo la ripetizione degli importi pagati in violazione della L. n. 108 del 1996, in virtù di un contratto di mutuo fondiario stipulato il 17/1/1990 dell’importo di 14 miliardi di Lire con ammortamento in 10 anni e tasso d’interesse 7,75 semestrale, precisando che il Monte dei Paschi non aveva consentito la rinegoziazione del mutuo dopo l’entrata in vigore della normativa antiusura.

Il tribunale ha accolto la domanda di ripetizione dell’indebito all’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, condannando il Monte Paschi di Siena al pagamento della somma di Euro 324.460 con interessi legali a far data dal giugno 1999. In particolare, il Tribunale ha escluso la natura di mutuo fondiario agevolato al contratto in questione ritenendo di conseguenza applicabile la normativa antiusura.

La Corte d’Appello su impugnazione della banca ha invece respinto la domanda proposta da Eurofinanziaria così argomentando:

il quadro probatorio induce univocamente ad affermare che il contratto posto in essere deve qualificarsi di mutuo fondiario agevolato regolato dal D.P.R. n. 7 del 1976.

Tale tipologia contrattuale è assoggettata a normativa speciale che prevale sul regime generale di cui all’art. 1815 c.c.. Ne consegue la legittimità dei tassi d’interesse applicati.

Le puntuali difese dell’appellante fondate sulla normativa dettata in materia di mutui fondiari (D.P.R. n. 7 del 1976, art. 14) sono rimaste prive di replica adeguata.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Eurofinanziaria con cinque motivi. Ha resistito con controricorso il Monte Paschi di Siena. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo viene dedotta sia sotto il profilo del vizio di violazione che ex art. 360 c.p.c., n. 5, ante vigente la erroneità della qualificazione del contratto di mutuo in oggetto come fondiario. La Corte ha adottato un criterio meramente nominalistico. Nella specie non è stato raccolto il credito con obbligazioni garantite (ovvero mediante le cartelle di mutuo fondiario).

Nel secondo motivo viene dedotta sia sotto il profilo del vizio della violazione di legge che ex art. 360 c.p.c., n. 5, ante vigente l’erroneità della decisione della Corte d’Appello relativa all’inapplicabilità nella specie della normativa antiusura anche qualora il contratto fosse regolato dalla lex specialis.

Nel terzo motivo viene dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla qualificazione del mutuo come “agevolato” senza alcuna giustificazione e con palese illegittimità delle conseguenze (inapplicabilità l. n. 108 del 1996) scaturenti da tale qualificazione, meramente affermate. La censura viene formulata al medesimo fine anche ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

L’esame dei primi due motivi deve essere congiunto per ragioni di connessione logica.

L’indagine da svolgere preliminarmente riguarda l’applicabilità della normativa antiusura al contratto dedotto in giudizio anche qualora fosse realmente qualificabile come mutuo fondiario, regolato ratione temporis dal D.P.R. 21 luglio 1976, n. 7.

Ritiene il Collegio che il regime derogatorio della disciplina legale imperativa relativa all’ambito di esplicazione dell’autonomia negoziale in ordine all’applicazione degli interessi passivi, moratori o compensativi, sia limitato alla non vigenza per contratti di mutuo fondiario del divieto di anatocismo. L’indice normativo dal quale si trae tale conclusione è dettato dall’art. 14, del D.P.R. sopra citato che così recita:

“Il pagamento delle rate di ammortamento dei prestiti non può essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute a tale titolo producono, di pieno diritto, interesse dal giorno della scadenza. La misura degli interessi di mora da corrispondersi dai mutuatari agli enti sulle somme dovute e non pagate, stabilita dal primo comma della L. 17 agosto 1974, n. 397, art. 2, può essere modificata con decreto del Ministro per il tesoro, sentito il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio”.

Tale deroga, peraltro non è più vigente così come evidenziato dalla pronuncia 22/5/2014 n. 11400 di questa Corte che si riproduce: “Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, (cosiddetto t.u.b.), secondo il quale qualsiasi ente bancario può esercitare operazioni di credito fondiario la cui provvista non è più fornita attraverso il sistema delle cartelle fondiarie, la struttura di tale forma di finanziamento ha perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sottrazione al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c., rinvenibili nel carattere pubblicistico dell’attività svolta dai soggetti finanziatori (essenzialmente istituti di diritto pubblico) e nella stretta connessione tra operazioni di impiego e operazioni di provvista, atteso che gli interessi corrisposti dai terzi mutuatari non costituivano il godimento di un capitale fornito dalla banca, ma il mezzo per consentire alla stessa di far fronte all’eguale importo di interessi passivi dovuto ai portatori delle cartelle fondiarie (i quali, acquistandole, andavano a costituire la provvista per l’erogazione dei mutui). Ne consegue che l’avvenuta trasformazione del credito fondiario in un contratto di finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado su immobili, comporta l’applicazione delle limitazioni di cui al citato art. 1283 c.c., e che il mancato pagamento di una rata di mutuo non determina più l’obbligo (prima normativamente previsto) di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte rappresentata dagli interessi corrispettivi, dovendosi altresì escludere la vigenza di un uso normativo contrario”. La applicazione ratione temporis del citato art. 4, non autorizza, tuttavia, a ritenere, in mancanza di qualsivoglia indicatore normativo proveniente dalla disciplina di settore e dal sistema legislativo di tutela penale e civile dall’usura, che, limitatamente ai contratti di mutuo fondiario, si possa eludere il divieto di applicazione di tassi usurari in ordine agli interessi corrispettivi dovuti in virtù dell’accensione di un mutuo. La natura del divieto, la sua inderogabilità assoluta, la sanzione penale che ne accompagna la violazione ex art. 644 c.p., così come novellato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 1, e la correlata sanzione civile della non debenza di alcun interesse in caso di superamento del tasso soglia ex art. 1815 c.c., comma 2, così come novellato dalla L. n. 108 del 1996, art. 4, inducono univocamente a ritenere che il sistema antiusura abbia un’ applicabilità generale (con riferimento alle tipologie contrattuali previste dalla L. n. 108 del 1996, art. 2) e non possa desumersene alcuna deroga in via interpretativa essendo necessaria un’espressa indicazione legislativa contraria.

– Stabilita l’applicabilità, in astratto ed in via generale, anche ai contratti di mutuo fondiario del sistema normativo antiusura contenuto nella citata L. n. 108 del 1996, occorre verificarne l’incidenza in concreto, ancorchè la questione non sia stata trattata dalla Corte d’Appello, dal momento che, ove se ne dovesse escludere l’applicabilità al contratto in oggetto, in quanto sorto anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, si dovrebbe concludere il giudizio con una statuizione di rigetto con correzione della motivazione in diritto. Sull’efficacia della normativa antiusura sui contratti sorti anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, ma che hanno avuto vigenza anche successivamente ad essa, è intervenuta la legge d’interpretazione d’autentica introdotta dal D.L. 29 settembre 2000, n. 394, art. 1, convertito nella L. 28 febbraio 2001, n. 24, stabilendo che “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. La norma è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002, nella quale si afferma “La norma denunciata trova giustificazione, sotto il profilo della ragionevolezza, nell’esistenza di tale obiettivo dubbio ermeneutico sul significato delle espressioni “si fa dare (…) interessi (…1 usurari” e “facendo dare (…) un compenso usurario” di cui all’art. 644 c.p., in rapporto al tenore dell’art. 1815 c.c., comma 2, (“se sono convenuti interessi usurari”) ed agli effetti correlativi sul rapporto di mutuo. Il D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, nel precisare che le sanzioni penali e civili di cui all’artt. 644 c.p., e art. 1815 c.c., comma 2, trovano applicazione con riguardo alle sole ipotesi di pattuizioni originariamente usurarie, impone tra le tante astrattamente possibili un’interpretazione chiara e lineare delle suddette norme codicistiche, come modificate dalla L. n. 108 del 1996, che non è soltanto pienamente compatibile con il tenore e la ratio della suddetta legge ma è altresì del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza. La fattispecie sottoposta vaglio della Corte Costituzionale è identica a quella sottoposta al presente giudizio.

– Deve, tuttavia, rilevarsi che anche dopo l’intervento legislativo d’interpretazione autentica e l’avallo della Corte Costituzionale gli orientamenti giurisprudenziali, ed in particolare quelli di questa Corte manifestano un netto contrasto.

– Una delle opzioni interpretative esclude che, all’esito dell’interpretazione autentica intervenuta D.L. n. 394 del 2000, ex art. 1, convertito nella L. n. 241 del 2001, il superamento del tasso soglia degli interessi corrispettivi originariamente convenuti in modo legittimo (senza oltrepassare il limite dell’usurarietà), in corso di esecuzione del rapporto possa determinarne ex artt. 1339 e 1418 c.c., la riconduzione entro il predetto tasso soglia stabilito dalla legge così come integrata dai D.M. periodicamente emanati al riguardo. Viene valorizzato, da quest’orientamento, il dato testuale del D.L. n. 394 del 2000, art. 1, ed in particolare la locuzione “indipendentemente dal loro pagamento”. La legittimità iniziale del tasso convenzionalmente pattuito spiega la sua efficacia per tutta la durata del contratto nonostante l’eventuale sopravvenuta disposizione imperativa che per una frazione o per tutta la durata del contratto successiva al suo sorgere ne rilevi la natura usuraria a partire da quel momento in poi.

– Questo orientamento, formatosi su fattispecie consistenti in contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, ha trovato recente conferma nella sentenza 29/1/2016 n. 801 così massimata: “I criteri fissati dalla L. n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all’entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, (conv., con modif., dalla L. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione. In precedenza il medesimo principio è contenuto nella sentenza 19/3/2007 n. 6514 (in motivazione) e 27/9/2013 n. 22204 in motivazione. Si ritiene di non citare le numerose sentenze massimate che affermano i medesimi principi ma riguardano rapporti del tutto esauriti e non ancora in corso al momento della vigenza della L. n. 108 del 1996 (a titolo esemplificativo si citano Cass. 25/3/2003 n. 4380; 19/3/2007 n. 6514 e 17/12/2009 n. 26499).

Parallelamente all’orientamento illustrato se ne sviluppato uno speculare di recente confermato dalla pronuncia 17/8/2016 n. 17150 così massimata: “Le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con la L. n. 108 del 1996, art. 4), pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito”. Questa pronuncia, unitamente a molte altre relative a fattispecie identiche non contiene nello sviluppo motivazionale, il riferimento espresso alla citata norma d’interpretazione autentica (D.L. n. 394 del 2002, art. 1) ed al successivo avallo della Corte Costituzionale (si richiamano al riguardo anche le sentenze 14/3/2013 n. 6550, n.602 del 2013; 17854 del 2007). Nella pronuncia 31/1/2006 n. 2140 si fa, invece, espresso riferimento, a differenza che nelle altre, all’intervenuta legge d’interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 4, e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002. Ugualmente il richiamo si ritrova nella sentenza n. 11638 del 2016.

– In conclusione, evidenziato il radicale contrasto anche sincronico tra i due orientamenti, il Collegio ritiene di rimettere la causa al Primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite di questa Corte.

PQM

dispone la trasmissione del procedimento al Primo presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite civili.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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