Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24838 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 04/10/2019), n.24838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15690-2018 proposto da:

J.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANGELO RANELI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 943/2018 del TRIBUNALE di PALERMO, depositato

il 10/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

il tribunale di Palermo ha respinto l’opposizione presentata da J.O., gambiano, avverso il provvedimento col quale la Commissione territoriale di Trapani gli aveva negato la protezione internazionale e quella umanitaria;

il predetto ricorre adesso per cassazione con tre motivi;

il Ministero dell’Interno non svolge difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente il ricorrente chiede che siano sollevate tre questioni di costituzionalità: (i) del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, (come convertito dalla L. n. 46 del 2017), per violazione degli artt. 3 e 77 Cost., nella parte in cui, prevedendo un differimento dell’entrata in vigore del nuovo rito nei procedimenti di protezione internazionale, non rispetta i presupposti di necessità e urgenza per l’emanazione di un decreto-legge; (ii) del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 – bis, comma 13, come modificato dalla cit. L. n. 46 del 2017, art. 6, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui prevede il termine di trenta giorni per proporre il ricorso per cassazione; (iii) della medesima norma, sempre per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che la procura alle liti debba essere conferita, per il ricorso per cassazione, in data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato sotto pena di inammissibilità;

la prima questione è manifestamente infondata, essendo al riguardo sufficiente rinviare a quanto questa Corte ha già osservato in separato precedente (Cass. n. 17717-18): la disposizione che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito non contrasta coi parametri costituzionali essendo connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime;

la seconda e la terza sono prive di rilevanza, dal momento che nella specie il ricorrente ha giustappunto rispettato entrambe le disposizioni, di cui il collegio non deve fare applicazione in senso deteriore all’esame del ricorso nel merito delle critiche consegnate ai singoli motivi;

col primo mezzo il ricorrente denunzia la violazione della L. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), quanto all’affermata inesistenza di una condizione di conflitto armato in Gambia, determinativa di violenza indiscriminata sull’intero territorio; di tale affermazione il ricorrente critica invero la premessa, in ordine alla necessità che il grado di violenza indiscriminata debba essere di livello molto elevato per potersi inferire una minaccia grave e individuale alla vita e alla persona di un civile;

il motivo è inammissibile poichè la premessa anzidetta non appare decisiva nell’economia della motivazione del giudice a quo;

il tribunale ha difatti accertato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i più accreditati rapporti internazionali (specificamente menzionati) ostavano a ravvisare la dedotta condizione di conflitto armato interno contrassegnato da violenza indiscriminata, essendo stato avviato in Gambia, dopo l’elezione del neopresidente B., un processo di restaurazione del sistema democratico nel rispetto dei diritti umani;

tale essendo l’essenziale ratio decidendi, la critica proposta nel primo motivo non si rivela pertinente e, quanto alle contrarie affermazioni di esistenza, invece, di permanenti condizioni di violenza interna, si sostanzia in un sindacato di fatto;

col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. 25 del 2008, art. 8, comma 3, quanto alla valutazione del periodo di sua permanenza in Libia;

il motivo, che può considerarsi incentrato su entrambi i profili della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, è inammissibile;

nel riferimento all’istituto della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), la censura non tiene conto di quanto sottolineato dal tribunale circa il fatto di non avere il ricorrente, in base al suo racconto, eletto la Libia come proprio paese di riferimento e di potenziale rientro;

la critica a tal riguardo svolta nel motivo postula una distinta situazione intenzionale, il che però – oltre che generico in prospettiva di autosufficienza (non essendo riportato il contenuto delle dichiarazioni rese nelle anteriori fasi, a eventuale confutazione di quanto specificamente affermato dal tribunale) – altrettanto implica un sindacato di fatto;

nel riferimento all’istituto della protezione umanitaria il motivo è invece inammissibile per novità, poichè non risulta, dalla motivazione del decreto, che il permesso per protezione umanitaria sia stato chiesto giudizialmente allegando uno stato di vulnerabilità conseguente al transito e alla permanenza in Libia; e anche su tale punto il ricorso pecca di autosufficienza, non essendo stato riportato il contenuto dell’atto di opposizione;

col terzo mezzo il ricorrente denunzia la violazione del t.u. imm., art. 5, comma 6 e il vizio di motivazione: critica la decisione quanto all’affermazione che l’espatrio sarebbe stato motivato da ragioni solo economiche, ed eccepisce invece che il tribunale avrebbe trascurato quanto dichiarato alla Commissione territoriale, e cioè che l’espatrio era stato determinato da problemi insorti nella propria famiglia dopo la conversione del padre all’islamismo e delle conseguenti possibili ripercussioni; ciò unitamente al fatto che il viaggio era stato intrapreso a soli 8 anni, dopo la perdita di riferimenti parentali, e con avversità e maltrattamenti subiti nel frattempo, a fronte di un nucleo di diritti umani acquisiti per la prima volta in Italia che egli perderebbe se dovesse rientrare di nuovo in Gambia;

il motivo è inammissibile per genericità e perchè tradotto, come gli altri, in un sindacato di merito;

il tribunale ha così motivato la decisione negativa in ordine alla protezione umanitaria: in base alla risultanze (“risulta che”), il richiedente era orfano di padre dall’età di otto anni, ma era stato amorevolmente accudito da una famiglia composta da altri cinque figli e avente come capofamiglia un medico; con tali familiari (acquisiti) il richiedente era rimasto in contatto fino a che, nel 2015, dopo aver esercitato per due anni il mestiere di idraulico, egli aveva deciso di lasciare il paese alla ricerca di migliori condizioni; da qui l’inferenza che trattavasi di soggetto già avviato al lavoro in patria, oltre ivi muniti pure di riferimenti familiari, sicchè solo l’assenza di risorse economiche poteva dirsi al fondo della scelta di lasciare il paese;

la motivazione è plausibile e logica, e non contiene soprattutto errori di diritto;

tutto quanto di diverso affermato nel ricorso è assertivo e privo di autosufficienza, e nessun fatto storico decisivo è dedotto ai fini di un’eventuale omissione motivazionale, nei limiti in cui al richiamato art. 360 c.p.c., n. 5.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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