Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24837 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18428/2016 proposto da:

M.G., e M.C., rappresentati e difesi

dall’Avvocato PROSPERO PIZZOLLA, ed elettivamente domiciliati presso

lo studio dell’Avv. Giuseppe Aprile, in ROMA, V.le delle MILIZIE 38;

– ricorrenti –

contro

Z.S., C.R., C.G., e

CA.RA., rappresentati e difesi dall’Avvocato BUONO GIANPAOLO, ed

elettivamente domiciliati presso il suo studio, in BARANO d’ISCHIA,

P.zza SAN ROCCO 26;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1775/2016 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,

pubblicata il 3/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 27.1.1998, T.L. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli Z.S., C.F., C.O., al fine di: 1) sentir dichiarare che il terreno della T., sito in (OMISSIS), non era gravato da alcuna servitù di passaggio a favore dei terreni di proprietà dei convenuti; 2) ordinare ai convenuti di non più praticare servitù di passaggio a piedi e con mezzi meccanici sul terreno e in particolare sul viale sterrato di proprietà T.; 3) condannarei i convenuti al risarcimento dei danni subiti e subendi da quantificarsi in corso di causa o liquidati equitativamente dal Giudice e in proporzione; 4) condannare i convenuti alle spese di lite; 5) munire la sentenza di ogni altro provvedimento di legge.

Si costituivano in giudizio i convenuti i quali, nel contestare l’assunto attoreo, dichiaravano che i fondi di loro proprietà avevano sempre avuto natura agricola essendo stati coltivati a vigneto e che l’accesso a detti fondi sarebbe stato garantito da un viottolo (più precisamente da un “letto di lava”) che, nel (OMISSIS), era stato trasformato in strada carrabile e che da tale data si sarebbe praticato anche il passaggio carrabile. I convenuti chiedevano il rigetto della domanda attorea, dichiarando che l’attrice non aveva provato la titolarità dei fondi di cui assumeva di essere proprietaria, non potendo ritenersi tale la nota di trascrizione dell’atto per Notar S. del 9.5.1947. I medesimi spiegavano domanda riconvenzionale onde sentir dichiarare la comunione incidentale more collatione agrorum della stradina in oggetto, riconoscendo che i convenuti praticavano il passaggio quali comunisti; dichiarare, in ogni caso, che i fondi di proprietà dei convenuti avevano il diritto di passaggio pedonale sulla stradina medesima, per maturata usucapione, ex artt. 1158 e 1146 c.c.; in via gradata, ricorrendo le condizioni di legge, ai sensi dell’art. 1051 c.c., comma 1, in relazione all’art. 1053 c.c., dichiarare coattivamente costituita servitù di passaggio, pedonale e carrabile, a favore dei fondi dei convenuti, determinando l’indennità eventualmente dovuta all’attrice. Con condanna dell’attrice alle spese di lite.

Si costituivano in giudizio M.G. e M.C., quali unici eredi di T.L., deceduta il (OMISSIS), i quali dichiaravano di voler proseguire il giudizio riportandosi a tutte le difese e richieste attoree.

Espletata C.T.U. ed acquisiti chiarimenti, nonchè prova testimoniale e interrogatorio formale degli attori, con sentenza n. 11257/2009, depositata in data 13.10.2009, il Tribunale di Napoli rigettava le domande attoree e accoglieva la domanda riconvenzionale dichiarando acquisito per usucapione ex art. 1158 c.c. il diritto di servitù di passaggio pedonale e carrabile sul viale sterrato che insiste sul fondo attualmente di proprietà M.G. e C., per l’accesso ai fondi di proprietà dei convenuti; rigettava la domanda riconvenzionale volta alla dichiarazione della comunione incidentale del viale sterrato e dichiarava assorbita nella pronuncia l’ulteriore domanda riconvenzionale relativa alla costituzione di servitù coattiva; dichiarava compensate le spese di lite.

Avverso detta sentenza proponevano appello M.G. e C. chiedendone la riforma. Con il primo motivo di appello, essi deducevano che il Tribunale non avrebbe tenuto conto, nel dichiarare l’usucapione, che gli acquisti dei convenuti risalivano a epoca recente (per i C. al (OMISSIS) e per Z. al (OMISSIS)) con la conseguenza che non poteva ritenersi trascorso il ventennio necessario all’invocata usucapione, anche perchè nei titoli di provenienza non vi era alcuna indicazione del passaggio attraverso il viale, per cui doveva ritenersi che il Giudice di primo grado non avesse correttamente applicato l’art. 1146 c.c., in tema di accessio possessionis, al fine di unire al proprio il possesso del dante causa. Con il secondo motivo gli appellanti censuravano la sentenza impugnata in quanto essa avrebbe erroneamente valutato le risultanze della documentazione acquisita e della prova orale; in particolare, non risultava provato che il tracciato esistesse già nel (OMISSIS) in quanto tale circostanza era desumibile da atti prodotti dai convenuti, ma dal contenuto estremamente generico e dalle risultanze della prova testimoniale, laddove gli appellanti contestavano l’attendibilità dei testimoni addotti dai convenuti.

Con sentenza n. 1775/2016, depositata in data 3.5.2016, la Corte d’Appello di Napoli rigettava il gravame, condannando gli appellanti alle spese di lite del grado di appello.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione M.G. e M.C. sulla base di 3 motivi; resistono Z.S., C.R., G. e Ra. con controricorso. Entambe le parti hanno depositato rispettive memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 948,1027,1031,1032,1061,1071,1079,1140 c.c., art. 1146 c.c., comma 2, artt. 1158,1163,1571,2697 c.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”. Osservano i ricorrenti che nell’atto notarile del 28.7.1987, denominato “datio in solutum-vendita”, con il quale C.O. e F. erano diventati proprietari, era specificato che gli acquirenti erano in precedenza affittuari, per cui avevano la detenzione ab immemorabile. Anche la Corte d’Appello riconosceva che gli appellati, prima di diventare proprietari, fossero affittuari. Di conseguenza, gli appellati, prima degli acquisti della proprietà dei rispettivi fondi, non avevano il possesso, ma erano solo meri detentori qualificati. La Corte di merito avrebbe dovuto considerare che il nuovo orientamento giurisprudenziale (l’accessione si produce anche se il diritto non si è ancora perfezionato e dello stesso non è stata fatta menzione nell’atto di trasferimento del fondo dominante) non fosse applicabile alla fattispecie, proprio in quanto gli appellati non erano possessori.

1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1031,1061,1140,1168,2697 c.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”, poichè, a giudizio della Corte distrettuale l’utilizzazione della cava come discarica sul fondo della T. risaliva al (OMISSIS). Osservano i ricorrenti che tale cava – come risulta dalle planimetrie allegate alla prima e seconda relazione di CTU – era ricompresa nella particella 190, di proprietà della T. e solo per effetto del completamento del suo riempimento quale discarica (anni 1979-1980, come individuati dalla Corte) aveva potuto creare il collegamento verso i fondi detenuti dagli odierni resistenti, per cui il transito poteva essere stato effettuato solo in epoca successiva agli anni 1979-1980.

1.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la “Violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1031,1061 c.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”, richiamando il costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai fini dell’acquisto per usucapione, non sia sufficiente l’esistenza di una strada, essendo essenziale che essa sia stata posta in essere al preciso fine di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente e, pertanto, un quid pluris che dimostri la sua specifica destinazione all’esercizio della servitù. Nella fattispecie, i Giudici di merito si sarebbero limitati a motivare l’accoglimento delle domande riconvenzionali dei convenuti in virtù delle sole dichiarazioni testimoniali e della documentazione prodotta dai medesimi convenuti: elementi di prova che avevano dimostrato come i convenuti avessero “posto in essere per il periodo superiore al ventennio un comportamento rilevante ai fini in oggetto”. Ma tali motivazioni risultavano insufficienti rispetto al principio enunciato dalla Suprema Corte, essendosi omesso di valutare se la strada in questione presentasse segni oggettivi di destinazione specifica all’utilità dei pretesi fondi dominanti.

2. – In considerazione della loro connessione logico-giuridica e la analoga modalità di formulazione, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – I motivi stessi sono inammissibili.

2.2. – In primo luogo, va rilevato che, in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 6734 del 2020; Cass. n. 26790 del 2018).

Pertanto, nella formulazione del motivo di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei ed incompatibili, facenti riferimento (come nella specie) alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione e la analisi di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto (che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma) e quello del vizio di motivazione (che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione) (cfr. anche Cass. n. 26874 del 2018; conf. Cass. n. 19443 del 2011).

Ma anche a voler ritenere ammissibile il ricorso, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, allorchè esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass. sez. un. n. 9100 del 2015; Cass. n. 8915 del 2018), la ragione di inammissibilità, nella specie, va ravvisata nella mancata specificità del profilo riguardante l’asserito vizio di violazione e falsa applicazione di legge, così come riferito congiuntamente a plurime disposizioni del codoce civile.

2.3. – Ciò premesso, va infatti rilevato (con riguardo sempre al profilo attinente alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie).

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della mera indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Viceversa, dal canto loro, così come articolate, le censure di violazione di legge si risolvono sostanzialmente nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ciò in quanto, il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).

2.4. – Quanto poi al profilo attinente alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012 e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 3.05.2016) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i ricorrenti avrebbero dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è alcuna idonea e spcifica indicazione.

2.5. – Peraltro, è principio consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui la motivazione (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, in cui essa risulta analitica, congrua e coerentemente supportata) risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004). Ed è altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).

2.6. – Orbene, è facile rilevare che le censure formulate si sostanziano nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso del procedimento, cosi mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018), giacchè la valutazione del materiale probatorio (in particolare del corredo testimoniale) operata dalla Corte d’appello è sorretta da argomentazioni logiche e coerenti tra loro, con motivazione sufficiente e non contraddittoria.

3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore delle due controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida, per ciascuna, in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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