Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24835 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 15/09/2021), n.24835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8241/2020 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Cogliati

Dezza, con studio in Roma, e dall’Avv. Giorgio Quadri, con studio in

Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in margine al

controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

del Lazio 5 dicembre 2018 n. 8540/07/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 28 aprile 2021 dal

Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio 5 dicembre 2018 n. 8540/07/2018, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRPEF ed IRAP relative all’anno 2005, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti di M.G. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 19 gennaio 2017 n. 971/39/2017, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado sul presupposto che l’amministrazione finanziaria fosse decaduta per la notifica dell’avviso di accertamento dopo la scadenza del termine ordinario, ritenendo l’inapplicabilità del raddoppio dei termini in presenza di reato. M.G. si è costituito con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta redatta dal relatore designato è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza, il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, nonché falsa applicazione della L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 132, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che il raddoppio dei termini di accertamento esigesse la comunicazione della notizia di reato entro l’ordinario termine di decadenza.

Ritenuto che:

1. Il motivo è parzialmente fondato.

1.1 In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come è stato chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass., Sez. 6-5, 28 giugno 2019, n. 17586; Cass., Sez. 5, 2 luglio 2020, n. 13481; Cass., Sez. 5, 28 gennaio 2021, n. 1883; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9958).

1.2 Ora, secondo l’insegnamento di questa Corte, i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, per l’IRPEF e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, per l’IVA, come modificati dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo: Cass., Sez. 5, 13 settembre 2018, n. 22337), anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11 preleggi, comma 1, (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33793; Cass., Sez. 6-5, 26 novembre 2020, n. 27033; Cass., Sez. 6-5, 1 marzo 2021, n. 5578 e 5579; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9958).

1.3 Inoltre, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, per l’IRPEF e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, per l’IVA, come modificati dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 130, 131 e 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass., Sez. 5, 14 maggio 2018, n. 11620; Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33793).

1.4 Infatti, secondo il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, sono, comunque, fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del medesimo decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5, notificati alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015 (Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33793).

1.5 Ne’ tale raddoppio è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando “né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)” (Cass., Sez. 5, 9 agosto 2016, n. 16728; Cass., Sez. 6-5, 9 marzo 2020, n. 6668).

1.6 Da ciò discende che il contribuente, ove voglia contestare l’accertamento compiuto oltre il termine ordinario, dovrà denunciare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia e non potrà mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né infine dal punto di vista del suo autore (Cass., Sez. 5, 2 luglio 2020, n. 13481).

1.7 Del pari, sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato.

1.8 Dalla giurisprudenza citata si evince, dunque, un favor del legislatore per il raddoppio dei termini in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa), in ossequio al principio costituzionale di cui all’art. 53 Cost. (capacità contributiva) ed all’art. 112 Cost. (obbligo di esercitare l’azione penale e interesse della collettività al perseguimento dei reati) tutte le volte in cui tale raddoppio del termine non incida su diritti fondamentali del contribuente, quali il diritto di difesa, diritto che nel caso di specie non appare compromesso da un uso pretestuoso o strumentale del termine, tenendo conto che la polizia tributaria aveva comunicato la denuncia all’autorità giudiziaria il 9 aprile 2010 e che l’avviso di accertamento per l’anno 2005 era stato notificato l’8 luglio 2014.

Ne’ rileva la successiva pronunzia di assoluzione in sede penale del contribuente dai reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 4 e 5 (nella specie, con sentenza depositata dal Tribunale penale di Roma il 13 febbraio 2014 n. 8313 e divenuta irrevocabile il 7 luglio 2014), essendo indifferente tale sopravvenienza sulla durata dei termini per l’accertamento.

Difatti, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass., Sez. 5, 30 maggio 2016, n. 11171; Cass., Sez. 6-5, 9 marzo 2020, n. 6668).

1.9 Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale ha fatto malgoverno del principio enunciato, laddove essa ha apoditticamente ritenuto che il raddoppio dei termini di accertamento esigesse la comunicazione della notizia di reato e la notifica dell’avviso di accertamento entro il termine ordinario di decadenza del 31 dicembre 2010, senza tener conto che l’avviso di accertamento per l’anno 2005 era stato notificato l’8 luglio 2014, e, quindi, prima del 31 dicembre 2016.

1.10 Ad ogni modo, il raddoppio dei termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 43, comma 3, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, non può valere anche in ordine all’accertamento per l’IRAP relativa all’anno 2005, in relazione al quale la sentenza impugnata deve essere confermata.

Difatti, non essendo l’IRAP un’imposta presidiata da sanzioni penali, è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (tra le altre: Cass., Sez. 6-5, 3 maggio 2018, n. 10483; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2020, n. 4742; Cass., Sez. 5, 13 gennaio 2021, nn. 340 e 341).

2. Pertanto, stante la parziale fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può trovare accoglimento per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti specificati in motivazione con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata nei limiti specificati in motivazione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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