Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24835 del 09/10/2018
Cassazione civile sez. lav., 09/10/2018, (ud. 16/05/2018, dep. 09/10/2018), n.24835
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26648-2016 proposto da:
D.S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE
MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che
la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
UMBRIA TPL E MOBILITA’ S.P.A. in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO
23/A, (STUDIO LEGALE PROIA & PARTNERS) presso lo studio
dell’avvocato SIMONE PIETRO EMILIANO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato STEFANO GIUBBONI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
BUSITALIA SITA NORD S.R.L., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,
presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– intimata –
avverso la sentenza n. 186/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,
depositata il 28/09/2016 R.G.N. 137/2016.
Fatto
RILEVATO CHE:
1. la Corte di appello di Perugia respingeva il reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale di Perugia che, pronunciando in merito al licenziamento intimato da Umbria Mobilità Esercizio srl (poi incorporata da Busitalia Sita Nord S.r.l.) a D.S.S., lo dichiarava legittimo;
2. per la cassazione della sentenza D.S.S. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, con cui deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., comma 4 e della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 1 e 2, (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver la sentenza impugnata erroneamente affermato che il licenziamento non derivava dal trasferimento d’azienda;
3. hanno resistito, con controricorso, Umbria TPL e Mobilità S.p.A. nonchè Busitalia Sita Nord S.r.l.;
4. parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ..
Diritto
CONSIDERATO CHE:
il motivo è infondato;
l’art. 2112 c.c., comma 4, nella parte rilevante ai fini di causa, stabilisce: “Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sè motivo di licenziamento (…)”:
nell’interpretare la disposizione in oggetto, questa Corte ha osservato, con argomentazioni qui condivise, che “se il trasferimento non può, come tale, costituire ragione giustificativa del licenziamento, a norma dell’art. 2112 c.c., comma 4, non può tuttavia impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che esso abbia fondamento nella struttura aziendale” (cfr. Cass. nr. 22476 del 2016; Cass. nr. 15495 del 2008);
nella fattispecie di causa, rappresenta circostanza pacifica la contestualità del trasferimento del ramo d’azienda (nel quale lavorava l’odierna ricorrente da Umbria TPL e Mobilità Spa a Umbria Mobilità Esercizio Srl – poi incorporata da Busitalia Sita Nord srl -) e dell’atto di recesso intimato dalla cessionaria Umbria Mobilità Esercizio S.r.l. alla dirigente D.S.S.;
nondimeno risulta accertato – con giudizio di fatto in questa sede non censurato – che il recesso della lavoratrice ha trovato motivo nella parziale esternalizzazione delle funzioni assegnate alla D.S. e nell’accentramento, delle restanti, al vertice aziendale, in ragione della nuova organizzazione aziendale;
in tal modo, il licenziamento non è in rapporto causale diretto ed immediato con il trasferimento del ramo d’azienda ma piuttosto con il nuovo assetto organizzativo (che ha comportato la soppressione del posto di lavoro della dipendente) e dunque con una ragione diversa dalla vicenda traslativa, a nulla rilevando, invece, la simultaneità degli eventi; la sentenza che ciò ha ritenuto risulta, dunque, immune dalle censure sollevate;
le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna controricorrente, in Euro 3.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15/0 ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018