Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24834 del 20/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/10/2017, (ud. 13/09/2017, dep.20/10/2017),  n. 24834

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23553/2016 R.G. proposto da

T.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 77,

presso lo studio dell’avvocato TOMMASO BOCHICCHIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALFREDO MARTUCCI SCHISA;

– ricorrente –

contro

C.M., da considerarsi, in difetto di elezione in

Roma, domiciliato per legge ivi presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO CARBONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2306/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/06/2016;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 13/09/2017 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

T.M. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2306 del 09/06/2016, con cui la Corte di appello di Napoli ha rigettato il suo appello contro il parziale accoglimento dell’opposizione da lei proposta avverso il precetto notificatole il 04/05/2010 da C.M. e fondato su decreto ingiuntivo non opposto, essendo stato disatteso il motivo relativo all’inesistenza della notificazione di quest’ultimo;

resiste con controricorso C.M.;

è stata formulata proposta di definizione – per inammissibilità in camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modif. dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

non sono depositate memorie ai sensi del comma 2, ultima parte, del medesimo art. 380-bis;

considerato che:

il Collegio ha disposto redigersi la motivazione in forma semplificata;

la ricorrente si duole: col primo motivo, di “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c. nella parte in cui si è ritenuta giuridicamente esistente (seppure nulla) una notifica eseguita secondo quel disposto codicistico presso la residenza precedente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c. laddove si è ravvisata la configurabilità di un vizio di nullità (anzichè di giuridica inesistenza) nonostante la totale e radicale difformità tra paradigma astratto (basato sulla non-conoscibilità della residenza attuale) e fattispecie concreta (nella quale la residenza attuale era viceversa conoscibile)”; col secondo motivo, di “violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27 conv. nella L. n. 248 del 2006 in combinato disposto dell’art. 143 c.p.c.”; col terzo motivo, di “omesso esame di una circostanza circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, relativamente alla cessata attualità del certificato anagrafico presa a riferimento per valutare la correttezza dell’applicazione dell’art. 143 c.p.c.;

i tre motivi sono tutti inammissibili, perchè si infrangono sui principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in punto di non configurabilità dell’inesistenza di una notifica, anche ai sensi dell’art. 143 c.p.c., già idoneamente esposti nella motivazione della qui gravata sentenza a piè di pag. 2, ma ulteriormente consolidati da quello affermato – ex professo per la notifica del ricorso per cassazione, ma agevolmente riferibile alla notifica di ogni atto processuale – dalla recente Cass. 20/07/2016, n. 14916, a mente della quale: “l’inesistenza della notificazione… è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”;

del resto, sul punto già da tempo si è affermato, con specifico riferimento alla notificazione ai sensi dell’art. 143 c.p.c., che “in tema di notificazione di atti giudiziari, quando il destinatario della notifica si sia trasferito…, il notificante… è tenuto in ogni caso a svolgere ulteriori ricerche… prima di procedere alla notificazione nelle forme dell’art. 143 c.p.c., fermo restando che l’omissione di tali incombenze comporta l’inesistenza della notificazione solo se eseguita in un luogo privo di collegamento con il destinatario, determinando, altrimenti, la mera nullità della stessa” (Cass. 31/08/2015, n. 17307): non potendo certo dirsi privo di riferimenti col destinatario della notifica il luogo dove egli risiedeva immediatamente prima di quella e restando allora egli tutelato dalla possibilità, ricorrendone però tutti gli altri presupposti, di reagire avverso la notifica di un decreto ingiuntivo nelle more divenuto esecutivo, mercè l’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c., ove il vizio della notifica integri almeno una nullità rilevante (vedi la giurisprudenza citata espressamente dalla gravata sentenza: pag. 3, righe sedicesima e seguenti);

tanto rende irrilevante pure che il documento anagrafico sia aggiornato o meno, nonchè ogni questione – affrontata come mero argomento ad abundantiam dalla qui gravata sentenza – su altri aspetti di agevole conoscibilità della variazione anagrafica;

il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità; dovendosi dare inoltre atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017

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