Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24834 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21618/2019 proposto da:

E.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MANZONI, 81, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA CONSOLO, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. 3117/2019 del TRIBUNALE di BARI,

depositato il 07/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO.

La Corte:

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto del 7/6/2019, il Tribunale di Bari ha respinto il ricorso proposto da E.J. avverso la decisione della Commissione territoriale, di reiezione delle domande di protezione internazionale ed umanitaria, ritenendo non credibile la narrazione del ricorrente (la parte aveva riferito di essere divenuto omosessuale nel college frequentato a (OMISSIS), che era stato prelevato da ragazzi del suo villaggio per essere “purificato con un sacrificio prima di essere consegnato alla polizia”, di essere riuscito a fuggire per recarsi prima in Niger e poi in Libia, ove era stato arrestato su denuncia del suo datore di lavoro di fronte alle richieste di essere pagato, di essere riuscito a fuggire grazie ad un amico e di essere arrivato in Italia), contraddittoria, anche alla luce della disposta audizione; il Tribunale, in particolare, ha evidenziato che il ricorrente aveva risposto alle domande relative alla realizzazione ed all’esperienza della propria identità di genere in maniera generica, stereotipata o inverosimile ed ha riscontrato differenze rilevanti tra quanto esposto in sede amministrativa e quanto affermato nel corso dell’audizione giudiziale.

Il Tribunale, avuto riguardo alle fonti internazionali e ministeriale citate, ha esaminato la situazione nella zona di provenienza del ricorrente, l’Edo State, concludendo nel senso della insussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c); ha negato infine la protezione umanitaria, stante l’insussistenza di situazione di vulnerabilità e la mancanza di allegazioni sull’eventuale incidenza delle vicende vissute in Libia sulla persona e condizione personale del richiedente.

Avverso detta pronuncia ricorre E.J. sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno si difende con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e denuncia il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5; sostiene che nella fase giudiziale non è stato svolto alcun tipo di indagine istruttoria ulteriore rispetto alla fase amministrativa, e che il Tribunale ha apoditticamente ritenuto non credibile il ricorrente, senza porre domande specifiche o ulteriori, per chiarirsi gli eventuali dubbi sulla verosimiglianza del racconto; adduce che il Tribunale avrebbe dovuto variare le fonti internazionali accreditate, rispetto a quelle valutate dalla Commissione.

Il motivo è inammissibile.

Come risulta evidente dai rapidi accenni all’espositiva del motivo, il ricorrente si limita a sostenere la necessità di “un accertamento autonomo” da parte del Tribunale e che l’audizione giudiziale(che risulta essere stata svolta) avrebbe dovuto sostanziarsi in domande specifiche per scavare nella storia narrata ed acquisire l’estrema certezza della non credibilità.

Il ricorrente, pertanto, del tutto ipoteticamente e genericamente sostiene la necessità di ausilio di “altre” fonti e di ricorso ad “altre” domande, neppure indicate, senza in alcun modo confrontarsi con gli specifici rilievi e conclusioni sulla non credibilità, come esposti dal Tribunale.

Il riferimento, in rubrica, al vizio motivazionale non risulta neppure sviluppato nella parte espositiva ed è quindi pianamente inammissibile.

Col secondo mezzo, il ricorrente si duole della mancata considerazione della situazione nel paese di transito, la Libia, ove sono praticati trattamenti inumani e degradanti, che si ripercuotono sulla salute fisica e psichica del migrante, che già solo per questo si trova in una particolare condizione di vulnerabilità.

Sostiene che non sarebbe stata valorizzata l’audizione giudiziale “al fine di acquisire una più incisiva conoscenza delle condizioni personali del richiedente, anche in relazione al transito in Libia”.

Ora, detta deduzione è meramente generica ed esplorativa, come tale inammissibile; anche a tacere da detto rilievo, va rilevato che il ricorrente non ha allegato in qual modo il periodo trascorso in Libia abbia inciso sulle sue condizioni, come già rilevato dal Tribunale.

Ed infatti, la stessa pronuncia 2861/2018, citata dal ricorrente, ha affermato che nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, ma tale profilo può essere valutato solo ai fini della ricostruzione della vicenda individuale e, di conseguenza, della credibilità del dichiarante; e vedi la successiva pronuncia 31676/2018, che ha aggiunto che l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide, e il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese.

Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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