Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24833 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23804/2019 proposto da:

A.G., rappresentata e difeso dall’avvocato LUIGI

MIGLIACCIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. 3368/2019 del TRIBUNALE di BARI,

depositata il 28/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Bari disattese l’opposizione proposta da A.G., in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dalla predetta avanzata;

che la decisione di merito, dopo aver giudicato irrilevante l’audizione diretta dell’interessata, la quale aveva prodotto il verbale delle dichiarazioni rese davanti alla Commissione, giudicava insussistente il pericolo grave che avrebbe giustificato il riconoscimento dello status di rifugiato, mancando financo la prospettazione di una situazione di persecuzione e, del pari, il riconoscimento della protezione sussidiaria, avendo la medesima narrato di un mero conflitto familiare (i familiari del marito deceduto la vessavano e lei temeva che potesse essere uccisa da costoro), tenuto conto che nella regione di provenienza Edo State (Nigeria), dalle COI consultate non emergeva una situazione di conflitto armato, caratterizzato da violenza generalizzata;

che la decisione in parola negava, del pari, la “sussistenza di indici di tratta, come delineati dalle Linee Guida UNHCR”, poichè la richiedente non era stata “vittima d’inganno e sfruttamento sessuale lungo l’itinerario che l’ha condotta, poi, in Italia”, in quanto la “donna” che l’aveva presa in carico non le aveva fatto fare alcun giuramento o profferito minaccia;

che, inoltre, prosegue la motivazione del provvedimento, il racconto “a tratti generico e stereotipato, si mostra nel complesso contraddittorio, e dunque inattendibile”, risultando poco plausibile che la istante, seppure minacciata, fosse rimasta nella sua località di provenienza per tre anni, oltre a risultare vaga la narrazione della lite familiare; inoltre, solo in un secondo momento aveva dichiarata di essere coniugata con l’uomo poi deceduto;

che, quanto alla protezione umanitaria, non emergeva allegazione di alcun diritto assoluto oggetto di effettiva lesione;

ritenuto che la richiedente ricorre sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, avverso la statuizione e che il Ministero dell’Interno si è tardivamente costituito, al solo fine di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione;

considerato che con i tre motivi, tra loro correlati e connessi, la ricorrente prospetta l’omesso esame di fatti decisivi al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria (primo motivo) e umanitaria (terzo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; violazione degli artt. 4 e 10 della Convenzione n. 197 del Consiglio d’Europa in materia di contrasto alla tratta degli esseri umani, degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, artt. 4 e 5, 5, art. 6, comma 2 e art. 14, lett. b), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis e art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, evidenziando, in sintesi, che:

– il Tribunale non aveva in alcun modo preso in esame il narrato della donna, che, le gravi e reiterate violenze patite avevano reso “caotico e confuso”, ma dal quale era agevole cogliere una condizione di schiavitù sessuale, che, attraverso una intermediaria, l’aveva condotta prima a (OMISSIS) e poi a (OMISSIS) (perchè in quest’ultima città c’era più vita), trovando comprensibile spiegazione nel vissuto e nel pregiudizio esistenziale patito la contraddizione, dall’avere prima riferito di aver rifiutato di “lavorare in strada” a Milano, affermando poi esattamente il contrario, indicando financo il luogo della prostituzione (nei pressi della stazione di (OMISSIS), vicino a un supermercato);

– solo lo stress emotivo aveva reso la narrazione confusa, ma non perchè i fatti non fossero veri, fatti peraltro dimostrati dalla puntuale indicazione dei luoghi;

– la donna aveva anche riferito delle minacce nei confronti dei figli e delle violenze fisiche patite al fine di continuare a prostituirsi;

– il Tribunale era venuto meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria, sia a riguardo delle “schiave del sesso di (OMISSIS)”, sia allo sfruttamento in Italia;

– la decisione non aveva tenuto conto della condizione di grave vulnerabilità della richiedente, escludendo la tratta sulla base di una lettura parziale della vicenda, nè aveva valutato la violenza di genere in Nigeria, che avrebbe leso in maniera irreversibile i diritti fondamentali della donna, sola e priva di assistenza, una volta rientrata in Patria;

considerato che il complesso censuratorio appare fondato in quanto:

a) la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145);

b) a tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talchè appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo a priori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto;

c) siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914);

d) il Tribunale di Bari, piuttosto che prendere in esame il complesso della vicenda narrata, in tutti i suoi profili ha reso una motivazione monca e, pertanto, apparente, che non mostra di aver vagliato la totalità delle ragioni esposte dalla richiedente, nè di aver considerato le condizioni di speciale vulnerabilità del soggetto narrante (se del caso esercitando poteri istruttori ad hoc), in particolare, manca un compiuto esame motivazionale del profilo della tratta, che non può essere escluso per il solo fatto che in un passaggio delle dichiarazioni della donna (certamente vulnerata dal difficile vissuto) questa abbia affermato che non le fosse stato richiesto giuramento o brandita minaccia, a fronte del complesso narrativo, dal quale era dato cogliere il contrario;

e) applicando il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite e le ulteriori specificazioni sopra richiamate deve, pertanto, escludersi che la resa motivazione abbia assolto al compito sopra enunciato;

considerato che, pertanto, il provvedimento deve essere cassato con rinvio, e che è opportuno rimettere al Giudice del rinvio il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Bari, altra composizione.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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