Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24828 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. II, 06/11/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 06/11/2020), n.24828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2482/2016 proposto da:

R.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ERITREA N.

92, presso lo studio dell’avvocato ARTURO IAIONE, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE CARSO 43,

presso lo studio dell’avvocato CARLO GUGLIELMO IZZO, rappresentata e

difesa dall’avvocato SABINO VITAGLIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2716/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata 15/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Oggetto di ricorso è la sentenza della Corte d’appello di Napoli, pubblicata il 15 giugno 2015, che ha accolto parzialmente l’appello proposto da R.R. avverso la sentenza del Tribunale di Avellino n. 1732 del 2009, e nei confronti di R.T. e di N.L..

1.1. Il giudizio di primo grado era stato introdotto nel dicembre 2001 da R.R. per ottenere il rilascio dell’immobile (terreno con fabbricato rurale sito in (OMISSIS)) a lei assegnato in esito a giudizio di divisione ereditaria, con provvedimento del Tribunale di Avellino in data 14 gennaio 2000, e per il risarcimento danni. L’attrice aveva addotto di non essere mai entrata nel possesso del bene in quanto R.T. e N.L., rispettivamente sorella e cognato dell’attrice, se ne erano illegittimamente appropriati, e che nessun effetto aveva sortito la diffida stragiudiziale inviata il 12 luglio 2001.

1.2. I convenuti si erano difesi separatamente, adducendo il N. di essere detentore legittimo dell’immobile in quanto nominato custode giudiziario dei beni pignorati al precedente occupante (il colono S.A.), e la R. di essere estranea ai fatti.

1.3. Il Tribunale accolse la domanda nei confronti del convenuto N., che condannò al rilascio e al risarcimento del danno, quantificato in Euro 15.494,00, e rigettò la domanda proposta nei confronti di R.T..

2. La Corte d’appello ha riformato parzialmente la decisione, ritenendo che fosse provata l’occupazione illegittima dell’immobile anche da parte della R., e che il danno subito dall’appellante ammontasse alla maggior somma di Euro 26.100,00, al cui pagamento ha condannato i coniugi N. – R. in solido.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza R.T. sulla base di due motivi, ai quali resiste con controricorso R.R. che eccepisce la carenza di integrità del contraddittorio per non essere stato evocato in giudizio N.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è privo di fondamento e pertanto la questione della carenza di integrità del contraddittorio, eccepita dalla parte resistente, risulta ininfluente e non sarà esaminata.

Per principio ormai consolidato la Corte di Cassazione, ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentata dall’esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità-integrità del contraddittorio poichè, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo (ex plurimis, Cass. 18/04/2019, n. 10839; Cass. 21/05/2018, n. 12515; Cass. 17/06/2013, n. 15106).

1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. e si lamenta che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciare sulla eccezione di inammissibilità, per il divieto di nova in appello, delle deduzioni (e relative produzioni documentali) riguardanti l’avvenuta installazione del contatore Enel nell’immobile in oggetto da parte dei coniugi N. – R., nonchè l’esistenza di procura rilasciata a N.L. dalla coniuge R.T..

2. La doglianza è inammissibile.

Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (nella specie, la novità delle deduzioni e produzioni di parte appellante) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omessa pronuncia – il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito – mentre può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 14/03/2018, n. 6174; Cass. 12/01/2016, n. 321; Cass. 10/11/2015, n. 22952; Cass. 06/12/2004, n. 22860).

3. Con il secondo motivo, che denuncia violazione degli artt. 186 e 244 c.p.c., nonchè omesso esame della eccezione di nullità delle testimonianze de relato actoris e omessa motivazione, la ricorrente contesta che le affermazioni dei testi raccolte nel presente giudizio ed in quello parallelo instaurato da R.S. (fratello delle parti), dimostrerebbero univocamente la sua partecipazione all’occupazione dell’immobile, come invece affermato dalla Corte d’appello.

3.1. La doglianza è inammissibile.

Premesso che l’apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità (per tutte, Cass. 10/06/2016, n. 11892), e rilevato che il ricorso in esame non contiene la trascrizione integrale delle contestate dichiarazioni, la decisione della Corte d’appello secondo cui era provato che la ricorrente avesse occupato l’immobile unitamente al coniuge N.L. è basata sulla valutazione congiunta delle dichiarazioni testimoniali e del tenore delle difese delle parti, dalle quali era emerso che il N. aveva agito in qualità di procuratore della coniuge ed a tutela delle ragioni di credito della stessa (così a pag. 3 della sentenza).

4. L’inammissibilità dei motivi di ricorso comporta la declaratoria di inammissibilità dell’intero ricorso (Cass. Sez. U 21/03/2017, n. 7155). Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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