Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24828 del 04/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 04/10/2019), n.24828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7797-2018 proposto da:

B.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MEDAGLIE

D’ORO, 110, presso lo studio dell’avvocato Lino Mancini,

rappresentato e difenso dall’avvocato Luca Barsotti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 13230/2017 del TRIBUNALE di BOLOGNA,

depositato il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NLWRO DI

MARZIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – B.K. ricorre per tre mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 14 febbraio 2018 con cui il Tribunale di Bologna ha respinto l’opposizione dal medesimo spiegata avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di rigetto della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – L’amministrazione intimata non ha spiegato difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. Il primo motivo denuncia error in indicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 4 e 5, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, nonchè violazione del principio dell’onere della prova attenuato, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non credibile la narrazione dei fatti posti a sostegno della domanda.

Il secondo motivo denuncia error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dei principi nazionali, comunitari e internazionali in materia di protezione internazionale, violazione e falsa applicazione della convenzione di Ginevra del 1951, violazione e falsa applicazione della direttiva 2004/83/C, art. 2, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5,6,7,8 e 14, censurando la decisione impugnata per aver negato la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale o sussidiaria.

Il terzo motivo denuncia error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dei principi nazionali, comunitari e internazionali in materia di protezione umanitaria, violazione dell’art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, violazione della convenzione di Ginevra del 1951, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, violazione del principio di atipicità dell’istituto della protezione umanitaria, censurando la decisione impugnata laddove non aveva riconosciuto i presupposti per la il riconoscimento della protezione umanitaria giacchè “se il ricorrente tornasse in patria si troverebbe in concreto pericolo di vita”.

Ritenuto che:

4. – Il Collegio ha disposto la redazione del provvedimento in forma semplificata.

5. – Il ricorso è inammissibile.

5.1. È inammissibile il primo motivo.

Il Tribunale ha ritenuto che: “Le dichiarazioni del ricorrente non possono ritenersi tali da comprovare la sussistenza del pericolo addotto e posto a fondamento della domanda, ossia l’effettivo pericolo di subire conseguenze pregiudizievoli dagli usurai, in conseguenza del mancato pagamento del prestito. In primo luogo, le dichiarazioni del ricorrente appaiono contrastanti – quanto all’epoca di concessione del prestito – con la stessa documentazione prodotta in giudizio (relativa al prestito che il ricorrente avrebbe ricevuto, senza che sia stata, comunque, fornita alcuna motivazione in ordine alla mancata produzione della documentazione dinanzi alla Commissione): secondo quanto riferito dal ricorrente sia in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale sia in giudizio il prestito sarebbe stato concesso per pagare il suo viaggio in Libia (da dove si sarebbe poi imbarcato per l’Italia) – viaggio avvenuto nel mese di maggio del 2016 – ma il documento prodotto (ed in particolare il contratto relativo al prestito effettuato dalle tre persone, nominativamente indicate) si riferisce ad un contratto concluso nell’anno 2014, e quindi ben due anni prima della partenza del ricorrente dal Bangladesh. Le dichiarazioni da lui rese non sono, poi, coerenti quanto alle modalità del prestito che il ricorrente avrebbe ricevuto dai tre creditori: in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale il ricorrente aveva dichiarato che il prestito era pari a 7 lakh in totale, somma complessivamente dovuta ai tre creditori (che pure lavoravano separatamente), precisando che sua madre doveva 7 lakh a tutti e tre e che erano i creditori a decidere, fra loro, quanto doveva “prendere” ciascuno, mentre in giudizio il ricorrente ha specificamente indicato l’importo prestato da ciascun creditore, quale risultante dalla documentazione prodotta solo in giudizio (documentazione che, come già detto, reca una data del prestito risalente addirittura a due anni prima rispetto all’epoca in cui il ricorrente aveva richiesto il prestito necessario per il viaggio). 1.1 ricorrente, inoltre, non ha compiuto ogni ragionevole,for5z:o per circostanziare la domanda, avendo egli descritto solo genericamente le minacce che avrebbe ricevuto dai creditori (e a lui riferite dalla madre), ed anche sul punto ha reso affermazioni non coerenti, dichiarando solo in giudizio che erano state proferite minacce con riferimento ci suo figlio (circostanza, questa, mai dichiarata davanti alla Commissione” quando aveva riferito unicamente delle richieste di soldi da parte dei ereditari e delle generiche ‘pressioni” a sua madre). Lo stesso ha, altresì, reso dichiarazioni non plausibili e non ha, poi, dimostrato che il pericolo da lui paventato possa considerarsi effettivo: appare poco probabile che in caso di rientro nel Paese d’origine gli usurai possano attentare alla vita o all’integrità fisica dell’istante, posto che ciò non determinerebbe il soddisfacimento del loro credito; mentre le minacce riguardanti il figlio del ricorrente (che i creditori avrebbero minacciato di “portare via”) risultano poco plausibili, avuto riguardo al lungo lasso di tempo trascorso dal nje rito prestito (quasi due anni, o secondo quanto risultante dall’atto prodotto ben più di 3 anni, nel corso dei quali il ricorrente ed i suoi familiari non avrebbero mai corrisposto nulla ai ereditarli, sena che sia mai stata attuata nessuna delle minacce profferite”.

Orbene, se, da un lato, la valutazione che precede, conforme al paradigma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, attiene al merito della controversia e pertanto insindacabile in questa sede, dall’altro lato il ricorrente non richiama a proposito il principio secondo cui la credibilità delle dichiarazioni del richiedente non può essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell’esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati (Cass. n. 8282 del 2013), giacchè in questo caso si tratta di una totale inattendibilità del racconto nel suo complesso.

5.2. – inammissibile il secondo motivo.

In esso, difatti, non è contenuta alcuna doglianza riferibile al significato ed alla portata applicativa delle pur numerose ed eterogenee norme richiamate in rubrica, ma vi è soltanto una del tutto generica doglianza in ordine alla circostanza secondo cui il ricorrente, in caso di rientro nel suo paese, il Bangladesh, si troverebbe esposto a grave rischio per l’incolumità: doglianza, questa, del tutto priva di senso una volta esclusa in radice la credibilità del ricorrente.

5.3. – E’ inammissibile il terzo motivo.

Sostiene il ricorrente che la motivazione addotta dal giudice di merito sarebbe sommaria e non si misurerebbe col carattere di atipicità della protezione umanitaria, protezione umanitaria che, secondo quanto si sostiene nel motivo, sarebbe da ricondurre essenzialmente al pericolo connesso al rimpatrio in Bangladesh “a seguito delle ritorsioni a cui può essere soggetto per mano degli usurai”: tesi nuovamente priva di senso, una volta esclusa la credibilità del ricorrente in ordine al racconto concernente il prestito menzionato.

6. Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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