Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24825 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 24825 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 13909-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n.
12, è elettivamente domiciliato per legge;

– ricorrente contro
AVENI ANTONINO (VNANNN38A21L431H), rappresentato e difeso dall’Avv.
Domenico Floramo ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Vanessa
Chinè in Reggio Calabria, alla Via XXV Luglio, 24

-intimato-

g51 -1

1

Data pubblicazione: 05/11/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Reggio Calabria, reso nel procedimento n.
278/2009 V.G., depositato in data 2 marzo 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/12/2012 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

Sentito il Procuratore Generale in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO,

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con decreto depositato il 2 marzo 2012, in
accoglimento, per quanto di ragione, della domanda, proposta da Antonino Aveni, di
equa riparazione per irragionevole durata di un processo da lui promosso innanzi al
Tribunale di Messina con ricorso depositato il 16 luglio 1977, definito in primo grado
con sentenza depositata il 21 gennaio 2009, ha condannato il Ministero della Giustizia al
pagamento della somma di euro 20346,63, in favore del ricorrente, dopo aver rigettato la
eccezione di prescrizione del diritto dedotta dall’Amministrazione.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero della Giustizia sulla base di un unico
motivo. Nella imminenza della data fissata per la udienza, è stata depositata memoria da
parte della difesa del predetto Dicastero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza.
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 2934, 2935, 2947 e
1173 cod.civ. Si rileva che anche il diritto all’equa riparazione, come ogni altro diritto, si
estingue per prescrizione, che può cominciare a decorrere anche durante la pendenza del
processo, dal momento in cui è stato superato il termine ragionevole di durata
prospettabile, ed anche prima della entrata in vigore della legge n. 89 del 2001, in quanto
la CEDU prevede uno strumento di tutela (sussidiario) che, prima della introduzione
della legge Pinto, rendeva quel diritto direttamente azionabile davanti agli organi istituiti
dalla stessa Convenzione da parte del soggetto che avesse subito danni dalla sua lesione.
Né si potrebbe desumere alcun valido argomento contrario alla operatività del termine
2

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

prescrizionale dal fatto che la legge n. 89 del 2001 abbia esplicitamente previsto solo la
decadenza dalla domanda entro il breve termine di sei mesi dal momento in cui la
decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva, in quanto
prescrizione e decadenza hanno presupposti e scopi diversi.
Nella memoria depositata nella imminenza della udienza, il ricorrente Ministero, preso

giustizia chiedendo la compensazione delle spese di lite.
La censura è priva di fondamento.
Come chiarito dalle Sezioni Unite, in tema di equa riparazione per violazione del termine
di ragionevole durata del processo, la previsione della sola decadenza dall’azione
giudiziale per ottenere l’equo indennizzo a ristoro dei danni subiti a causa
dell’irragionevole durata del processo, contenuta nell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n.
89, con riferimento al mancato esercizio di essa nel termine di sei mesi dal passaggio in
giudicato della decisione che ha definito il procedimento presupposto, esclude la
decorrenza dell’ordinario termine di prescrizione, in tal senso deponendo non solo la
lettera dell’art. 4 richiamato, norma che ha evidente natura di legge speciale, ma anche
una lettura dell’art. 2967 cod. civ. coerente con la rubrica dell’art. 2964 cod. civ., che
postula la decorrenza del termine di prescrizione solo allorché il compimento dell’atto o
il riconoscimento del diritto disponibile abbia impedito il maturarsi della decadenza;
inoltre, in tal senso depone, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se
riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di
maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del
processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il
frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che
l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo
ultradecennale nella definizione del processo (Cass., S.U., sent. n. 16783 del 2012.; conf.:
Cass., 16557 e 17277 del 2013).
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del
presente giudizio, non avendo svolto l’intimato alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
3

atto della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 16783 del 2012, si è rimesso a

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, Sottosezione

Seconda, il 4 dicembre 2012.

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