Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24823 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2018, (ud. 24/05/2018, dep. 09/10/2018), n.24823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16654-2017 proposto da:

PARCO RESIDENZIALE NOCOLINO DI F.T. SAS, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato PAOLA PEZZALI,

rappresentata e difesa dagli avvocati MICHELA GIANNANDREA, MARIA

LETIZIA TOSCO;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALFREDO DI FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 587/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la sentenza di primo grado, in accoglimento della domanda avanzata dalla s.a.s. Società Parco residenziale Nocolino di F.T., dichiarò acquistato per usucapione uno stacco di terreno di proprietà del convenuto B.A.;

che la Corte d’appello di Firenze con la sentenza di cui in epigrafe, in riforma della sentenza del Tribunale, rigettò la domanda della società attrice;

ritenuto che con il primo motivo dell’introdotto ricorso la s.a.s. Società Parco residenziale Nocolino di F.T., denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 112 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta che la controparte non si era doluta con l’atto d’appello dell’attendibilità dei testi dell’appellata e, pertanto, la Corte locale non avrebbe potuto fondare la propria decisione proprio mettendo in dubbio la versione dei predetti testi;

ritenuto che con il secondo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,112,183 e 345 c.p.c.e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, posto in relazione agli artt. 1158 e 1167 c.c., assumendosi che la Corte d’appello non aveva considerato che il tratto di terreno per cui è causa (a suo tempo venduto al B. proprio dalla società oggi ricorrente) si trovava intercluso all’interno del più vasto appezzamento di proprietà della ricorrente e che del predetto stacco il B., per lungo tempo emigrato all’estero, non aveva mai preso effettivo possesso;

considerato che entrambe le doglianze debbono essere dichiarate inammissibili: la Corte d’appello era stata chiamata dallo specifico motivo proposto dall’appellante (cfr. l’ultimo cpv della pag. 3 della sentenza) a un nuovo vaglio di merito e la circostanza della interclusione, addotta come non presa in considerazione, risulta, invece, essere stata tenuta in conto dalla sentenza di secondo grado, la quale, operando la complessiva rivalutazione del materiale probatorio, ha ritenuto che l’aspirante all’acquisto per usucapione non aveva fornito la prova certa di aver esercitato per il tempo necessario il possesso ad usucapionem, escludendo che l’addotta circostanza potesse assumere rilievo decisivo (pag. 6, 3 cpv);

ritenuto che con il terzo motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione agli artt. 2704 e 2697, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,1140 e 1167 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, precisando che la Corte di Firenze aveva erroneamente tratto il convincimento, da un certificato della che la s.a.s. avesse iniziato la coltivazione a cerali del proprio fondo, e, quindi, anche dello stacco di proprietà del B., solo dal (OMISSIS), nel mentre la coltivazione in parola risaliva ad epoca anteriore, prima che fosse stata costituita la società agricola e in attesa dell’approvazione da parte delle competenti autorità amministrative locali di un “piano urbanistico che concedesse la possibilità di edificare” e che, inoltre, il B. non aveva mai nel corso del ventennio compiuto alcuno degli atti interruttivi previsti dalla legge;

considerato che la prospettazione è inammissibile: la ricorrente rimanda, nella sostanza, allo scrutinio di merito in questa sede precluso, senza tener conto della ratio decidendi adottata dalla decisione, la quale ha disatteso la domanda perchè non era rimasto provato il fatto costitutivo del possesso ad usucapionem e non già per l’effetto interruttivo di atti compiuti dal proprietario;

considerato che anche il quarto motivo, con il quale si allega l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), posto in relazione agli artt. 1158 e 1140 c.c., secondo il quale la Corte locale avrebbe dovuto negare agli sporadici accessi, effettuati dal proprietario nel corso degli anni, la forza di atto interruttivo, segue la stessa sorte d’inammissibilità, per omesso raffronto con la ratio decidendi: la domanda è stata disattesa poichè la società oggi ricorrente non è stata in grado di dimostrare di avere posseduto ad usucapionem lo spezzone di terreno in discorso, il quale, secondo l’apprezzamento incensurabile di merito, era rimasto incolto;

considerato che anche il quinto motivo, con il quale si denunzia omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 1167 c.c., nonchè violazione e falsa applicazione dello stesso articolo, perchè la Corte d’appello aveva “accolto la domanda formulata da controparte pur in assenza di allegazione (e prova) di fatti costitutivi di tale domanda ed in assenza di interesse ed utilizzazione economica del bene da parte dei proprietari”, non supera la soglia dell’ammissibilità: a parte la difficile comprensibilità semantica e sussunzione giuridica della affermazione, che assegna al proprietario che resiste alla altrui domanda di usucapione l’onere di provare a fondamento della propria “domanda” non meglio specificati fatti costitutivi e l’ancor più incongruo richiamo ad un interesse ulteriore, rispetto all’esercizio del diritto, valevole erga omnes, esercitato dal proprietario per resistere all’altrui pretesa d’acquisto per usucapione, emerge piuttosto nitidamente l’eccentricità della censura, che è ben lungi dal configgere con la ratio decidendi;

considerato che il sesto motivo, con il quale, senza indicazione di norma violata, la ricorrente parrebbe chiedere inibitoria (ma non è dato sapere di quale statuizione di condanna) e rivendicare, ad un tempo, un regolamento favorevole delle spese, non può che essere dichiarato inammissibile sempre per aspecificità;

considerato che l’esame del ricorso conduce ad affermare che la Corte locale “ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte”; per contro l’esame dei motivi non offre argomentazioni nuove, sulla base delle quali sorga l’opportunità di una rimeditazione;

che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che l’istanza d’interruzione del processo per decesso di F.T., del (OMISSIS), a parte ogni altra considerazione, è destituita di giuridico fondamento, essendo ignoto al giudizio di legittimità l’istituto dell’interruzione per morte della parte (ex multis, da ultimo, Sez. L., n. 1757, 28/1/2016), nel mentre la vicenda traslativa riferita memoria allegata all’istanza in parola (conferimento del terreno da parte del Rasile ad un fondo patrimoniale), a non voler tener conto della apoditticità del narrato, in ogni caso resterebbe regolata dall’art. 111 c.p.c.;

considerato che nulla deve essere disposto in ordine alle spese poichè il B. non ha svolto difese in questa sede;.

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17) applicabile ratto” temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis dello.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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