Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24822 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 27/09/2017, dep.19/10/2017),  n. 24822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17924-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

GIFRAB ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona dell’amministratore

unico e legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI MONTI PARIOLI n.48, presso lo studio dell’avvocato ULISSE

COREA; rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO PIGNATONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/01/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 15/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/09/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di Gifrab Italia spa (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 110/01/2016, depositata in data 15/01/2016, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento emesso per recupero IVA indebitamente detratta in relazione all’anno 2007, avendo l’Ufficio contestato che la cessione delle rimanenze di merce di varie unità di vendita, effettuata, da parte di una società fallita, in favore della Facis spa (e quindi della consociata Gifrab), a distanza di poco tempo dalla cessione, tra gli stessi soggetti, di ramo di azienda, fosse operazione fittizia ed avente finalità elusive, dissimulando un negozio unitario di cessione di azienda, – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che l’Ufficio in sede contenziosa non aveva fornito “prova sufficiente della dedotta unicità dell’operazione di trasferimento, posta in essere dalle società interessate”, essendo la pretesa erariale “basata su insufficienti indizi e sulla supposizione, non adeguatamente provata, che i contribuenti avessero posto in essere distinti atti di cessione (di rami aziendali e di rimanenze merci) per finalità elusive”.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; i Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti.

2. La censura è inammissibile.

Nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, nella denuncia di vizio motivazionale, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”…”. (Cass. sez. unite 8053/2014).

Ne consegue che il concetto di “fatto” va riferito “ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate” (Cass. 12941/2016; Cass. 13711/2016).

Nella specie difetta l’indicazione del fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dalla C.T.R., avendo la ricorrente fatto riferimento, nel ricorso, a fatti afferenti ad altra fattispecie estranea a quella in esame, realizzata in diverso anno d’imposta ed oggetto di altro avviso di accertamento.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Essendo l’amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel caso di prenotazione a debito il contributo non è versato ma prenotato al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore dei ricorrente, recupero dello stesso in danno della parte soccombente).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, a titolo di compensi, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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