Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2482 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 04/02/2020), n.2482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17323/2014 R.G. proposto da:

Fides s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Toniolatti e dall’Avv.

Luciano Garatti, elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, Via della Giuliana n. 63, in virtù di procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla Via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria di II grado di

Trento, n. 52//01/2013, depositata il 13 maggio 2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21 novembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria di II grado di Trento accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria di I grado di Trento, che aveva accolto il ricorso presentato dalla Fides s.r.l. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2004, con applicazione degli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis. In particolare, il giudice di appello accoglieva l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado sollevata dalla Agenzia delle entrate, per la prima volta, in sede di appello, in quanto l’avviso di accertamento era stato notificato alla società il 5-12-2008 ed il ricorso era stato spedito per la notifica il 5-2-2009, quindi tardivamente. Per la Commissione di II grado la data di ricezione dell’avviso di accertamento è quella del 5-12-2008, e non quella del 9-12-2008, come sostenuto dalla società, anche in ragione della distinta del portalettere da cui risultava che l’atto era stato consegnato il 5-12-2008. La questione in ordine alla illegibilità della data di ricezione dell’avviso era stata sollevata tardivamente dalla contribuente, come pure tardiva era la deduzione che la firma apposta dal “titolare” della società sull’avviso ( T.M.), nello spazio riservato alla firma del destinatario, non era stata mai apposta dal T.. La società avrebbe dovuto, dunque, proporre querela di falso.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e con riferimento al combinato disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3 (per aver ritenuto che la data di notifica a mezzo posta possa essere provata in base alla copia semplice dell’avviso di accertamento ed alla copia semplice della distinta del portalettere)”, in quanto il solo documento idoneo a provare il perfezionamento della notifica degli atti impositivi è rappresentato dall’originale dell’avviso di ricevimento. Incombeva sulla Agenzia delle entrate l’onere di provare il momento di decorrenza del termine di decadenza dell’impugnazione producendo copia autentica dell’atto impugnato.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine all’eccezione relativa all’illegibilità, nell’avviso di ricevimento, della data di ricezione dell’atto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e con riferimento all’art. 112 c.p.c.”, in quanto, a fronte della eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività, sollevata per la prima volta in sede di appello dalla Agenzia delle entrate, la società appellata, con le controdeduzioni, ha evidenziato che la data dell’avviso era del tutto illeggibile nella indicazione del giorno (ma non del mese) di ricevimento della notifica a mezzo posta. Il giudice di appello ha, quindi, omesso di pronunciare su tale questione, limitandosi ad affermare la tardività della eccezione.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (laddove si ritiene inammissibile in quanto tardiva l’eccezione riguardante l’illeggibilità della data – in relazione al giorno apposta sull’avviso di ricevimento relativo alla notifica a mezzo posta dell’atto impositivo)”, in quanto proprio perchè l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività era stata sollevata, per la prima volta, in sede di appello dalla Agenzia delle entrate, la appellata società non poteva che sollevare le sue difese in sede di controdeduzioni in appello, palesando l’illegibilità della data apposta sull’avviso di ricevimento.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (laddove si ritiene inammissibile in quanto tardiva l’eccezione riguardante la mancata firma di T.M., legale rappresentante della ricorrente, dell’avviso di ricevimento relativo alla notifica a mezzo posta dell’atto impositivo)”, in quanto proprio perchè l’Agenzia delle entrate solo in sede di appello aveva sollevato l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, producendo in quella sede la copia dell’avviso di accertamento, la società appellata non poteva che esporre le sue difese in sede di controdeduzioni in appello.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e /o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, comma 2, (laddove si ritiene che le eccezioni riguardanti l’illeggibilità della data – in relazione al giorno – apposta sull’avviso di ricevimento relativo alla notifica a mezzo posta dell’atto impositivo e la nullità della notifica a causa della mancata firma da parte di T.M., legale rappresentante della ricorrente, dell’avviso di ricevimento de quo, avrebbero dovuto essere oggetto di specifico motivo di appello incidentale)”, in quanto sul punto mancava l’interesse ad impugnare, non essendovi soccombenza, in quanto il giudice di primo grado non si è pronunciato sull’eccezione riguardante la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento, sia in relazione alla illeggibilità della data sia in relazione alla sottoscrizione di T.M..

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 221 c.p.c., dell’art. 2700 c.c. e degli artt. 2714,2717,2718 e 2719 c.c. (laddove si contesta alla odierna ricorrente di non aver proposto la querela di falso in assenza dell’originale dell’atto pubblico)”, in quanto la querela di falso può essere proposta contro l’originale dell’atto pubblico, ma non contro una mera copia semplice. Nel caso in esame la società ha disconosciuto la scrittura privata prodotta in copia, in quanto ha disconosciuto la sottoscrizione ad opera del suo legale rappresentante. Il giudice di appello non può, quindi, ritenere che l’avviso di ricevimento in copia, disconosciuto, possa avere la stessa efficacia dell’originale. Non doveva, allora, essere proposta querela di falso, essendo stata disconosciuta la copia dell’atto.

6.1. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati, per le ragioni di cui in motivazione.

Invero, la società ricorrente, dopo avere ricevuto la notificazione dell’avviso di accertamento e dopo aver proposto ricorso, ha dedotto, in sede di appello, quando l’Agenzia delle entrate ha, per la prima volta, sollevato la questione della tardività del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, che la data della ricezione era illeggibile, sicchè non poteva essere identificata con sicurezza nel 5-12-2008 (come chiedeva l’Agenzia delle entrate), ma nel 9-122008, e che la sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento, prodotto in copia semplice, non era dell’apparente sottoscrittore ( T.M.), disconoscendo espressamente, quindi, tale sottoscrizione.

6.2. La prima questione che va affrontata attiene al riparto dell’onere della prova in ordine alla tempestività della impugnazione.

La società invoca la giurisprudenza di legittimità per cui, in tema di contenzioso tributario, quando il ricorrente deduca che la tardività del ricorso è dipesa dall’omessa notifica del provvedimento impugnato, in applicazione dei criteri di cui all’art. 2697 c.c., non è suo onere fornire la prova negativa dell’omessa notifica, ma incombe alla parte cui sia stato notificato il ricorso, qualora eccepisca l’inosservanza del termine di decadenza di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, provarne il momento di decorrenza producendo copia autentica dell’atto impugnato, corredata dalla relata di notifica (Cass. 24 luglio 2009, n. 17387). In tale pronuncia si legge che “se è vero che è onere dell’impugnante dare la prova della tempestività dell’impugnazione”, tuttavia “questa Corte ha avuto modo di chiarire che, a norma dell’art. 2697 c.c., la stessa parte impugnante non deve dimostrare che il provvedimento non le sia stato notificato, mentre incombe alla parte cui sia stato notificato un atto d’impugnazione, qualora eccepisca la necessità dell’osservanza del termine di decadenza per detta impugnazione e l’avvenuto superamento del medesimo, provarne il momento di decorrenza, producendo copia autentica dell’atto impugnato, corredata della relata di notificazione” (anche Cass., 19072/2004; Cass., 6239/1996).

Va anche evidenziato che non può l’amministrazione finanziaria far valere il principio secondo cui grava sull’opponente l’onere di provare la tempestività dell’iniziativa giudiziaria da lui intrapresa, posto che tale regola presuppone che l’atto, contro cui l’opposizione sia stata rivolta, sia stato “validamente notificato in data certa”; dovendosi altrimenti escludere che sia positivamente identificabile l’esatto dies a quo per il decorso del termine decadenziale di impugnazione (Cass., 13 novembre 2018, n. 29133; Cass., 17 agosto 2016, n. 17122).

Non era, dunque, onere della società contribuente, una volta da quest’ultima eccepita la mancata notificazione dell’atto impositivo, fornire la dimostrazione che quest’ultimo le era stato recapitato il 9-12-2008, dovendo, invece, essere l’ente impositore a fornire la prova, mediante la produzione dell’originale dell’avviso di ricevimento (dopo l’espresso disconoscimento della propria sottoscrizione da parte della società, avvenuto in udienza subito dopo la produzione di copia dell’avviso di ricezione da parte dell’Agenzia delle entrate nel giudizio di secondo grado), della data certa di avvenuta notificazione.

Nella specie, come detto, la società ha disconosciuto espressamente la firma del legale rappresentante ” T.M.” apposta sull’avviso di ricezione, eccependo di non avere mai ricevuto la notificazione dell’atto impositivo.

6.3. Quanto alla ritenuta tardività delle contestazioni della società all’avviso di ricevimento prodotto in copia semplice dalla Agenzia delle entrate, nel giudizio di appello, deve rilevarsi che tali contestazioni non potessero essere escluse dal divieto di eccezioni nuove in appello di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in quanto la società appellata, in sede di controdeduzioni, si è limitata a contestare la leggibilità della data di consegna di avviso di ricezione ed a disconoscere la sottoscrizione del legale rappresentante. Trattasi, quindi, di eccezioni che non potevano essere sollevate dalla parte se non in sede di appello, quando l’Agenzia ha prodotto l’avviso di ricevimento in copia ed ha sollevato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività.

In tal senso si è espressa questa Corte, seppure con riferimento al giudizio di primo grado, in cui l’Agenzia delle entrate aveva eccepito la tardività del ricorso della contribuente in sede di controdeduzioni, e quest’ultima aveva eccepito la nullità della notifica dell’atto impugnato, solo con la memoria notificata alla controparte ai sensi del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 24. Per questa Corte, infatti, la parte ha facoltà di contraddire in ordine a questioni rilevate o rilevabili d’ufficio dal giudice o introdotte dalla controparte, nei limiti in cui ciò non determini un allargamento della causa petendi, individuata in relazione ai motivi di impugnazione dedotti con il ricorso introduttivo (Cass. 4 ottobre 2018, n. 24305). In tal caso, infatti, l’allegazione del contribuente (in relazione alla nullità della notifica dell’atto impugnato) non determina un’alterazione della originaria causa petendi, risolvendosi nell’illustrazione di un’argomentazione a sostegno della sussistenza di uno dei requisiti di ammissibilità del ricorso (la sua tempestività).

Nè doveva essere proposto appello incidentale da parte della società, in quanto non vi era stata soccombenza sul punto, essendo stato accolto il ricorso di primo grado nel merito. Solo in sede di appello l’Agenzia delle entrate per la prima volta ha sollevato l’eccezione di tardività del ricorso originario della contribuente, limitandosi a produrre solo la copia dell’avviso di ricezione della raccomandata, senza il deposito dell’originale, anche dopo il formale disconoscimento della sottoscrizione da parte della società.

6.4. Va affrontata, ora, la questione della efficacia del disconoscimento della sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento prodotto solo in copia dalla Agenzia delle entrate in sede di appello.

6.5. L’art. 2719 c.c. prevede sul punto che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.

L’art. 2712 c.c. (riproduzioni meccaniche) dispone che “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche…formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

L’art. 214 c.p.c., poi, prevede che “colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione”.

L’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, stabilisce, quindi, che “La scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta: … 2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”.

Sul punto va anzitutto chiarito che, nel processo tributario, in forza del rinvio operato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma, il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione, e a tale accertamento procede ove ricorrano le medesime condizioni che il codice di rito prescrive per l’esperibilità della procedura di verificazione nonchè, in caso positivo, con l’esercizio dei poteri istruttori e nei limiti delle disposizioni speciali dettate per il processo tributario (Cass., sez. 5, 31 marzo 2011, n. 7355). La tempestività del disconoscimento deve valutarsi con riferimento alla proposizione del ricorso con cui è impugnato l’atto impositivo fondato sulla scrittura privata, quando è il contribuente onerato del disconoscimento (Cass., sez 5, 17 maggio 2019, n. 13333):

6.6. Per questa Corte l’art. 2719 c.c. esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche e si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c.. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell’originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche “aliunde” (Cass., 13 giugno 2014, n. 13425; Cass., sez. 2, 20 febbraio 2018, n. 4053, per la quale il disconoscimento deve avvenire in modo formale e specifico; Cass., sez. 3, 25 febbraio 2009, n. 4476; Cass.,sez. 5, 18 giugno 2004, n. 11419; Cass., 20 giugno 2019, n. 16557, che richiede per il disconoscimento formale una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale).

Inoltre, si è affermato che la copia fotostatica di un documento ha lo stesso valore dell’originale e la sua stessa efficacia probatoria solo se la sua conformità all’originale non viene contestata dalla parte contro cui è prodotta, secondo il principio fissato dall’art. 2712 c.c., applicabile anche nel processo tributario (Cass., 22 maggio 2003, n. 8108).

Si è precisato da parte di questa Corte che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la documentazione perchè inammissibile ed irrilevante”, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., sez 3, 3 aprile 2014, n. 7775; sez. 5 Cass., 13 dicembre 2017, n. 29993). Il disconoscimento di un documento in copia, ai sensi dell’art. 2719 c.c., deve essere specifico, quindi riferito ad una copia concretamente individuata e successivo, effettuato cioè dopo la produzione in giudizio della copia medesima (Cass., sez. 5, 30 gennaio 2006, n. 1991).

6.7. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 4, prevede, poi, che “unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato, se notificato, o i documenti che produce, in originale o fotocopia”.

L’art. 221, comma 5, quindi, dispone che “ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e documenti di cui ai precedenti commi”.

Si è ritenuto che, in tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 4, la produzione, da parte del ricorrente, di documenti in copia fotostatica costituisce modalità idonea per introdurre la prova nel processo, atteso che, ai sensi dell’art. 2712 c.c., è onere dell’Amministrazione finanziaria contestarne la conformità all’originale, in presenza della quale il giudice è tenuto a disporre la produzione del documento in originale ai sensi del D.Lgs. n. 546 cit., ex art. 22, comma 5, (Cass., sez. 5, 27 aprile 2015, n. 8446; Cass., sez 5, 23 ottobre 2016, n. 22770; Cass. Sez. 5, 11 maggio 2018, n. 11435).

6.8. L’art. 2702 c.c. prevede che “la scrittura privata fa piena prova fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

L’art. 2700 c.c. dispone che “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.

Pertanto, se la copia dell’atto pubblico non è stata disconosciuta ritualmente e tempestivamente ex artt. 214 e 215 c.p.c., ha la stessa efficacia delle “autentiche”, ai sensi dell’art. 2719 c.c., in quanto quest’ultima norma è applicabile sia alle copie delle scritture private che alle copie degli atti pubblici.

6.9. Va chiarito, però, che l’avviso di ricevimento ha natura di atto pubblico, per costante giurisprudenza di questa Corte. In particolare si è affermato che, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, l’avviso di ricevimento, il quale è parte integrante della relata di notifica, avendo natura di atto pubblico, costituisce il solo documento idoneo a provare – in riferimento alla decorrenza dei termini connessi alla notificazione – l’intervenuta consegna del plico con la relativa data e l’identità della persona alla quale è stato recapitato, salvo che detta data manchi o sia incerta, ipotesi nelle quali i termini decorrono dal giorno riportato nel timbro postale; pertanto, la parte che intenda contestarne il contenuto deducendo l’incompatibilità tra la data di ricezione ivi apposta e quella risultante dal menzionato timbro ha l’onere di proporre querela di falso, a meno che dallo stesso contesto dell’atto non emerga in modo evidente che il pubblico ufficiale ha compiuto un mero errore materiale nella sua redazione, il quale ricorre nel caso di indicazione di data inesistente o anteriore a quella della formazione dell’atto notificato o non ancora maturata (Cass., sez 6-2, 21 marzo 2019, n. 8082; Cass., sez 6-2, 3 settembre 2019, n. 22058; Cass., sez 6-5, 5 dicembre 2017, n. 29022, in relazione alla notifica di cartella di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26; Cass., sez 5, 5 agosto 2016, n. 16448).

Infatti, in caso di notifica a mezzo del servizio postale, l’avviso di ricevimento prova, fino a querela di falso, la consegna al destinatario a condizione che l’atto sia stato consegnato presso il suo indirizzo e che il consegnatario abbia apposto la propria firma, ancorchè illeggibile o apparentemente apocrifa, nello spazio dell’avviso relativo alla “firma del destinatario o di persona delegata”, risultando irrilevante, in quanto non integra una nullità ex art. 160 c.p.c., l’omessa indicazione dell’indirizzo del destinatario sulla ricevuta di ritorno (Cass., sez 6-5, 31 luglio 2015, n. 16289; Cass. Sez. un., 27 aprile 2010, n. 9962).

6.10. Infatti, l’art. 2719 c.c. si applica anche alle copie di atti pubblici.

Invero, per questa Corte la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell’atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., richiesta dalla legge in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, può avvenire anche mediante l’allegazione di fotocopie non autenticate, ove manchi contestazione in proposito, poichè la regola posta dall’art. 2719 c.c. – per la quale le copie fotografiche o fotostatiche hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, non solo se la loro conformità all’originale è attestata dal pubblico ufficiale competente, ma anche qualora detta conformità non sia disconosciuta dalla controparte, con divieto per il giudice di sostituirsi nell’attività di disconoscimento alla parte interessata, pure se contumace – trova applicazione generalizzata per tutti i documenti (Cass., sez. 6-3, 8 settembre 2017, n. 21003; Cass., sez 5, 27 luglio 2012, n. 13439).

6.11. Pertanto, poichè la società, in sede di controdeduzioni in appello, ha disconosciuto espressamente la sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento dal proprio legale rappresentante, l’Agenzia delle entrate avrebbe però dovuto produrre il documento in originale, al fine di consentire alla ricorrente di proporre querela di falso, il cui giudizio deve necessariamente svolgersi sull’originale (Cass., 30 settembre 2011, n. 19987).

7. Nè può trovare applicazione la giurisprudenza di legittimità, invocata dalla Agenzia delle entrate in sede di controricorso, in ordine alla notifica dell’atto all’addetto alla sede della società di cui all’art. 145 c.p.c..

Infatti, va precisato che la società ricorrente ha ricevuto la notifica dell’avviso di accertamento presso la propria sede sociale, con atto sottoscritto apparentemente dal legale rappresentante della stessa ( T.M.), ma con sottoscrizione apposta sul rigo destinato alla firma del “destinatario della persona giuridica”, con a fianco la dicitura “Titolare”.

Per questa Corte, se la notifica è effettuata ai sensi dell’art. 145 c.p.c. presso la sede legale ad un soggetto che si qualifica come “addetto alla sede”, si presume che quel soggetto abbia poi comunicato l’avvenuta ricezione.

Infatti, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede (art. 145 c.p.c., comma 1), senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria non occasionalmente ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica. Ne consegue che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere una sua dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno (Cass., 20 novembre 2017, n. 27420).

Si è aggiunto che la disposizione dell’art. 46 c.c., secondo cui, qualora la sede legale della persona giuridica sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima, vale anche in tema di notificazione, con conseguente applicabilità dell’art. 145 c.p.c. Ne consegue che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario o postale risulti, in tali sedi, la presenza di una persona che si trovava nei locali, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, senza che il notificatore debba accertarsi della sua effettiva condizione, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare la mancanza dei presupposti per la valida effettuazione del procedimento notificatorio (Cass., se 5, 7 marzo 2012, n. 3516). La società, in tali ipotesi, deve, quindi, provare che la persona che ha ricevuto l’atto non era alle sue dipendenze, non era addetta neppure alla ricezione di atti, per non averne nai ricevuto incarico alcuno (Cass., sez 3, 14 giugno 2005, n. 12754; Cass., sez 2, 23 gennaio 2001, n. 904).

Nel caso in esame, invece, la sottoscrizione di ” T.M.” è stata apposta sull’avviso di ricevimento, non nella casella “addetto alla sede”, ma in quella “destinatario persona giuridica”, con a fianco la specificazione “Titolare”.

Il giudice di appello, quindi, ha errato nell’affermare che la società, dopo aver espressamente disconosciuto la sottoscrizione di ” T.M.” vergata nella copia dell’avviso di ricezione, avrebbe dovuto e potuto “tempestivamente proporre querela di falso, lasciando all’amministrazione in quella sede il dovere di produrre il richiesto originale”. Non può, dunque, essere condivisa l’affermazione del giudice di appello per cui “poichè tale querela non è stata mai presentata, l’avviso di ricevimento deve ritenersi regolare in ragione della sua natura di atto pubblico munito di fede privilegiata”. Con il tempestivo ed espresso disconoscimento della sottoscrizione, apparentemente vergata dal legale rappresentante, da parte della società, la copia dell’avviso di ricezione, depositata in appello dalla Agenzia delle entrate, in assenza della produzione in giudizio dell’originale da parte di quest’ultima, non ha l’efficacia dell’atto pubblico.

Inoltre, quanto alla asserita illeggibilità della data apposta sull’avviso di ricezione, la questione potrà essere affrontata dal giudice del rinvio.

8. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria di II grado di Trento, in diversa composizione, che si adeguerà al seguente principio di diritto “in tema di processo tributario, nel caso in cui l’Amministrazione eccepisca solo in appello la tardività del ricorso introduttivo del giudizio, depositando copia dell’avviso di ricezione della raccomandata di spedizione dell’atto impositivo, ove il contribuente deduca la nullità della notifica disconoscendo espressamente, in tale sede, l’autenticità della sottoscrizione del proprio legale rappresentante, senza che l’Amministrazione produca l’originale dell’avviso di ricezione, la copia dello stesso non può avere l’efficacia dell’atto pubblico; sicchè nei suoi confronti non deve essere esperita la querela di falso, il cui giudizio deve necessariamente svolgersi sull’originale”, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria di II grado di Trento, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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