Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24818 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. I, 06/11/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 06/11/2020), n.24818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9615/2019 proposto da:

K.P., elettivamente domiciliato in Roma presso la CANCELLERIA

civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE e rappresentato e difeso

dall’avvocato Anna Moretti, in forza di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 4118/2019 della Corte d’appello di MILANO,

depositata il 14/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8/10/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 4118/2019, depositata in data 14/09/2019, ha respinto il gravame di K.P., cittadino del (OMISSIS), avverso decreto del Tribunale che aveva rigettato la richiesta dello stesso, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno ritenuto, al pari del giudice di primo grado, il racconto del richiedente (essere fuggito dal Paese d’origine, dopo avere ucciso uno dei malviventi che avevano aggredito, per ragioni collegate al bestiame di proprietà, lui ed il padre, rimasto ucciso nell’aggressione, temendo ritorsioni da parte della famiglia del malvivente) non integrante, essendo riferite solo minacce e violenze private, in difetto di pericolo di danno grave, i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, anche D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non potendo la concessione di tale misura protettiva essere giustificata dalla situazione generale del Paese d’origine, non emergendo dalle “fonti” consultate (essendo il sito del Ministero degli Esteri rivolto ai soli cittadini italiani in viaggio all’estero) una situazione di violenza indiscriminata, nè rilevando qualsiasi riferimento alla Libia, Paese di transito; non ricorrevano neppure i presupposti per la concessione della protezione umanitaria, in difetto di situazioni di personale vulnerabilità e non essendo da solo sufficiente il percorso di integrazione avviato in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, K.P. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1 bis, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di un frettoloso esame della situazione socio politica del Paese d’origine, in assenza di consultazione di fonti aggiornate sui conflitti etnici esistenti in (OMISSIS) e sulle aggressioni ad opera di gruppi armati composti da allevatori e sul rischio di attentati terroristici; b) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 3, comma 3 e commi 5, 6, 7 e art. 14, non avendo la Corte d’appello adempiuto al proprio obbligo istruttorio officioso in relazione alle condizioni della Costa d’Avorio; c) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al diniego della protezione umanitaria, non avendo la Corte d’appello correttamente esaminato la documentazione prodotta, in ordine alle condizioni del Paese d’origine del richiedente ed ai rapporti di lavoro avviati in Italia.

2. Le prime due censure, presentando elementi di connessione, possono essere esaminate congiuntamente e sono fondate.

Il ricorrente si duole della violazione da parte della Corte di appello dell’obbligo di cooperazione istruttoria sulla situazione socio-politica nel Burkina Faso, non avendo la Corte compiuto alcun approfondimento, sulla base di fonti aggiornate, a fronte dei Report di Amnesty International 2016/2017 (dell’ultimo rapporto 2017-2018), allegati in appello dal richiedente.

La Corte d’appello, valutando come credibile il racconto del richiedente ma correlato a mera vicenda di minacce e violenze private, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c), anche perchè nel Burkina Faso, sulla base delle “fonti ufficiali” consultate, non vi è una situazione di violenza generalizzata, non essendo rilevanti le informazioni rese dal Ministero degli Esteri sul sito “(OMISSIS)” e non risultando il Paese oggetto di specifiche direttive sul rimpatrio da parte dell’UNHCR.

In generale, sull’obbligo di cooperazione istruttoria si è chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).

Sempre in tema (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

La giurisprudenza di questa Corte ha poi affermato che “D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale” (Cass. ord. n. 30105 del 2018).

Al fine di ritenere adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria, il giudice è tenuto quindi ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. ord. n. 11312 del 2019), in quanto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. 13897/2019).

Peraltro, se la parte ha offerto in visione le COI al momento in cui introduce la domanda, e tra essa e il momento della decisione trascorre del tempo o accadono eventi rilevanti, il giudice deve integrarle con COI più aggiornate (Cass. 28990/2018). Le COI devono infatti essere pertinenti e dirette a far luce sui fatti già dedotti dal ricorrente, ed il concetto stesso di pertinenza va necessariamente coniugato con quello della loro attualità (Cass. 2125/2020).

Orbene, il ricorrente indica, nel ricorso, quali sono le fonti aggiornate allegate in appello e di cui la sentenza non fa cenno.

Nella decisione impugnata, non sì è fatto riferimento ad alcuna fonte per descrivere da dove si è tratto il giudizio sull’assenza di conflitti interni o violenza indiscriminata nel Paese d’origine.

3. Il terzo motivo, attinente alla protezione umanitaria, è di conseguenza assorbito.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo, e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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